(Adnkronos) - Di salute mentale, nel mondo del calcio, non si parla ancora abbastanza. Nonostante siano molti ormai i giocatori che si avvalgono di professionisti, psicologi dello sport chiamati in gergo 'mental coach', è ancora difficile collegare l'atleta alla persona. Eppure le prestazioni in campo sono direttamente legate a quello che avviene fuori, nella vita quotidiana di giovani costantemente sotto i riflettori, che spesso faticano a gestire soldi e fama. Non è un caso quindi che ormai molte squadre, italiane e straniere, forniscano ai propri tesserati un aiuto psicologico, che possa permettergli di mettere in ordine la propria vita e migliorare, di conseguenza, le proprie prestazioni.Â
E proprio come avviene per i calciatori, anche gli allenatori si ritrovano costantemente a gestire problemi in campo e fuori. I graffi sulla testa di Pep Guardiola, sfoggiati dopo il pari di Champions contro il Feyenoord, partita in cui il suo Manchester City è riuscito a farsi rimontare da 3-0 a 3-3, hanno lanciato un allarme e acceso i riflettori su una vita, quella dei tecnici di calcio, fatta di ansie, stress e pressioni che spesso si somatizzano in veri e propri disturbi psicologici.Â
"Tutti gli allenatori vivono momenti psicologicamente difficili. Ognuno di loro soffre di un diverso tipo di ansia. Non riescono a dormire prima delle partite, o se dormono dormono male. Sono costantemente sotto stress", ha rivelato l'ex ds, tra le altre, di Roma e Inter Walter Sabatini all'Adnkronos, "quello dell’allenatore è un mestiere difficile e spesso ingrato, che ti invecchia. Se guardi le foto di alcuni tecnici quando firmano per una squadra hanno un viso, dopo un periodo che sono in panchina sembrano invecchiati di 40 anni. Mi è capitato spesso di dover affrontare e gestire situazioni in cui un allenatore fosse in un momento psicologicamente difficile, ma non racconterò mai un episodio del genere, nemmeno sotto tortura".Â
Nel corso degli anni sono tanti gli allenatori di Serie A che hanno sofferto di disturbi psicologici. Arrigo Sacchi, dopo una carriera gloriosa tra Milan e Nazionale, lasciò la panchina del Parma, cui era tornato nel 2001 dopo aver annunciato il ritiro, dopo appena 22 giorni. Durante una partita contro il Verona, Sacchi ebbe un attacco d'ansia, rimase vittima dello stress, e disse basta. La 'balorda nostalgia', per citare Olly, degli ultimi tempi di tornare ad allenare, non ha fatto i conti insomma con un lavoro logorante che, senza una vita regolata e le giuste accortezze, può portare a problemi ben più gravi di un esonero.Â
Aldo Agroppi, a causa del troppo stress, si dimise da tecnico del Padova appena tre mesi dopo il suo ingaggio. Francesco Guidolin, per gli stessi motivi, qualche anno fa smise di allenare: "Sono nel momento migliore della mia carriera", disse l'ex tecnico dell'Udinese, "ma sto soffrendo troppo lo stress, non so quanto resisterò". Nel divorzio tra Antonio Conte e la Juventus, nell'estate del 2014, oltre a forti divergenze di mercato, c'erano anche motivi psicologici: "Vi rimetto il mio contratto. Sono stanco, non riesco più a dormire", furono le parole dell'attuale allenatore del Napoli.Â
Cesare Prandelli si dimise due volte. La prima, nel 2004, quando era da poco diventato allenatore della Roma, in seguito alla malattia della moglie, perché "mi sto facendo divorare dalla pressione, ho bisogno di tempo per me". E la seconda, nel 2021, quando disse addio alla Fiorentina e al calcio: "In questo momento della mia vita mi trovo in un assurdo disagio che non mi permette di essere ciò che sono", scrisse in una lettera a cuore aperto, "in questi mesi è cresciuta dentro di me un’ombra che ha cambiato il mio modo di vedere le cose. Sicuramente sarò cambiato io e il mondo va più veloce di quanto pensassi. Per questo credo che adesso sia arrivato il momento di non farmi più trascinare da questa velocità e di fermarmi per ritrovare chi sono veramente". In molti, anche in questo caso, parlarono di stress. Più avanti l'ex ct della Nazionale rivelò di aver sofferto di una forma di depressione, che dalla testa era arrivata fino in campo.Â
I graffi sulla testa di Pep Guardiola, lo scorso dicembre, hanno lanciato l'allarme. Qualcuno ha parlato di autolesionismo, il tecnico catalano ha spiegato di soffrire da un paio d'anni di un problema alla pelle. Quell'immagine, in ogni caso, è entrata nella mitologia di uno degli allenatori più vincenti e rivoluzionari di sempre, considerato da molti un genio ossessivo, per le sue innovazioni tattiche e la cura maniacale in ogni aspetto della propria squadra. Ma Guardiola ha anche raccontato la solitudine dell'allenatore di calcio, di recente ha scoperto che "non c'è nessuna consolazione dalla sconfitta, quando torni a casa e spegni la luce".Â
Nella stagione nera del Manchester City, il tecnico catalano ha accumulato una serie di disturbi psico-somatici, tra cui problemi con il sonno e con l'alimentazione. "Non digerisco più il cibo correttamente", ha raccontato, "è come se fosse cambiato il mio metabolismo. E a volte perdo la testa". Ange Postecoglu, allenatore del Tottenham, ha indicato il suo lavoro come il più difficile del mondo: "Si potrebbe dire che il politico sia il mestiere più duro, ma il nostro è peggio, per durata e longevità . Quante volte ci sono le elezioni? Noi ne abbiamo una ogni fine settimana. Ogni partita può voler dire conferma o esonero".Â
Una visione condivisa dall'allenatore del Real Madrid Carlo Ancelotti che, commentando l'esonero di Paulo Fonseca dal Milan, disse: "Io rimango dell'idea che l'esonero è parte del lavoro. Sono stato esonerato mille volte, quando ci sono problemi nella squadra la responsabilità cade sempre sull'uomo solo, cioè l'allenatore. Non è giusto, ma purtroppo è così, un tecnico nel suo lavoro è piuttosto solo, soprattutto nei momenti di difficoltà ".Â
Gli allenatori sono le prime vittime di una società prestazionale, che non sempre concede il diritto di sbagliare. Ma proprio per la caducità e l'instabilità del ruolo, e per le enormi responsabilità e pressioni che si portano sulle spalle, non possono prescindere da una vita sana fuori dal campo e una salute mentale forte: "L'allenatore è il capo e ricopre un ruolo di responsabilità , ma si trova all’interno di un reticolo formato da società , dirigenti, staff tecnico, giocatori, giornalisti, tifosi. Serve in primis rispetto di ruoli e confini", dice all'Adnkronos Stefano Torroni, psicoterapeuta e psicologo dello sport, membro della Federazione italiana psicologi dello sport e docente del settore tecnico Figc. "Quando un tecnico pensa che debba fare da preparatore, addetto stampa, motivatore, psicologo arrivano i problemi. Attrarre un'infinità di ruoli predispone a perdere stabilità mentale. È fondamentale delegare responsabilità , altrimenti si va in burnout".Â
E l'esaurimento nervoso è soltanto uno dei rischi: "Il burnout è l’inizio, poi quando si esauriscono le energie psicofisiche, la predisposizione alla malattia può essere alta. Dipende dai livelli di stress. L'ansia è un eccesso di futuro, pensare troppo a quello che sarà , a un risultato da ottenere, a quello che potrebbero pensare stampa e tifosi. Spesso non si riesce a gestire il presente e quindi si sfocia in stress da lavoro correlato, si esauriscono le energie. Si rischia, insomma, che l'ombra del fallimento sovrasti ogni cosa".Â
Il risultato rimane la condizione fondamentale per ogni allenatore, così come per ciascun club, ma non può essere tutto quello che conta: "I risultati incidono molto, ovviamente, ma dipende sempre come un allenatore vive il proprio ruolo", spiega Torroni, "le pressioni variano in base alla categoria, ma molto dipende da ogni singola persona. Alcuni allenatori ad esempio hanno difficoltà a comunicare le proprie intenzioni, così vanno in ansia e lo stress inficia la comunicazione. Questo costruisce un sistema autocratico, una modalità dove un allenatore non chiede pareri e di conseguenza aumenta il proprio livello di stress. L'ansia da esonero e del risultato sono la conseguenza finale, ma prima bisogna capire il modo in cui si vive il ruolo. La linea guida per analizzare queste situazioni è sempre la persona. Quindi anche nel caso degli allenatori bisogna indagare com'è la vita fuori dal campo, i suoi limiti caratteriali e umani, che inevitabilmente incidono". (di Simone Cesarei)Â
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