Una volta, nell’avvicinarsi delle ferie d’agosto, ci si affrettava a chiudere con gl’impegni e gli affari per abbandonarsi a settimane di pausa serena e con la prospettiva di riprendere in autunno il solito iter lavorativo con rinnovata lena e nuove speranze. Oggi non è più così. Sono solo pochi quelli che possono contare su vacanze spensierate, i più, anzi quasi tutti, viviamo questo momento storico nell’ansia di gravissimi problemi incombenti sulla realtà economico-sociale e politica, tali da rendere tutto precario e soggetto ad esiti oscuri.
Si tratta di problemi di varia natura e di varia provenienza, che vanno dalla crisi dell’eurozona, che sembra insolvibile; a quelli dell’Italia preda di una politica esosa e litigiosa, precipitata in recessione; e quelli infine, che più direttamente riguardano la Sicilia, cioè l’enorme deficit finanziario regionale e l’inopinato contenzioso sorto tra la Presidenza della Repubblica e la Procura di Palermo.
Parliamone anche noi, a scopo di ragionata informazione, come è di dovere per un giornalismo libero e mosso da istanze culturali oltre che divulgative.
L’eurozona e l’Italia in crisi
Cominciamo dall’argomento più pesante: la situazione di crisi dell’economia che vede l’Italia nel consesso dell’Europa fragile, vittima di duemila miliardi di debito pubblico sulle spalle e posta sotto attacco dalla speculazione finanziaria internazionale, quella che ha già messo in ginocchio la Grecia e ora la Spagna.
Stando come stanno le cose, ciò che subito balza agli occhi è che la cura anticrisi di Mario Monti risulta fallita. Ma va precisato subito che non tutta la colpa è sua e che comunque questo Monti in fondo ha fatto quel che un medico esperto cerca di fare verso un malato, il quale poi purtroppo non risponde alla funzione dei farmaci somministrati. Allora anziché inveire o illudersi che con altri sarebbe andata meglio, è più logico domandarsi cos’è che non ha funzionato e perché, onde agire di conseguenza.
Anzitutto bisogna considerare che forse Monti non ha ben valutato la micidiale resistenza ai suoi consigli da parte di una Germania arroccata alla sua forza economica che, allo stato attuale è forza antieuropea e nazionalistica: troppi appuntamenti e discussioni non risolutive, troppi distinguo, troppi rinvii, sicché “mentre il medico studia, il malato(l’euro) muore”. Insomma la Germania e il suo spread va il linea con gl’interessi dalla speculazione, e dunque contro questa, e un po’ guardandosi dalla Germania, erano da cercare alleanze più affidabili e sbocchi imprevedibili e spiazzanti. Quando una fortezza risulta inespugnabile è il caso di girarci attorno e studiare quali punti nascosti di penetrazione possono trovarsi.
Intanto nei confronti di questi maledetti mercati, che sono sensibili alle ipotesi e imbestialiscono persino facendo caso a qualche sporadica dichiarazione, sarebbe il caso di cominciare a condurre un’azione mediatica che un po’ ne ridimensioni il credito. A parte la più evidenziata denuncia degli errori in cui sono già incorse, non si potrebbero, ad esempio, creare altre agenzie non anglosassoni, in grado di fornire alle opinioni pubbliche internazionali altri criteri di misurazione della ricchezza? Come non pensare ad agenzie che esaltino la ricchezza della produzione dei beni alimentari nei vari paesi, giacché, non si scappa, i paesi dove c’è da mangiare se la caveranno sempre comunque, e in barba ai prodotti finanziari. Dire ancora una volta che la ricchezza della terra rimane sempre come salvezza non può funzionare contro il terrore dei defaults? Ovviamente ci vuole coraggio di svolte in politica estera, specie per noi e i nostri interessi mediterranei, magari avvisando i nostri partner nordici, per esempio, che la via per la Cina da noi è più agevole. In fondo qualcosa va fatta perché la ricchezza reale conti di più rispetto a quella dei titoli.
Ma questo soprattutto, allo stato attuale, dovrebbe avere una funzione psicologica, dato che appunto mercati e borse pare che procedano per psicologie giornaliere.
Monti e la politica italiana
Monti dunque sarebbe fallito perché all’estero lo ossequiano ma non lo seguono. Lui vuole l’euro, tutti dicono di volere l’euro (mentre è chiaro che alla grossa finanza sta sullo stomaco), però non si procede ad una politica forte a pro dell’euro.
Tuttavia per quanto riguarda la situazione italiana qualche colpa pure lui ce l’ha. E la prima è quella di fidarsi delle teorie e trascurare la sostanza, cioè il non tenere conto a volte del senso concreto delle cose. Per esempio, quando parla di crescita si ha l’impressione che non sappia cosa intenda dire. Crescita è una parola astratta, crescita economica è altra astrazione. In concreto vorrebbe dire che la gente dovrebbe incrementare gli acquisti e questo smuoverebbe in positivo l’economia. Ma la gente non ha soldi, perché gli stipendi per lo più già miseri non solo non crescono più ma diminuiscono per colpa di tasse, balzelli e aumenti incontrollati degli ingredienti essenziali del vivere civile: benzina, luce, gas,trasporti, etc. Cosa può crescere dunque?
Inoltre pare che Monti non si renda conto che gli elogi per le riforme fatte non possono che essere per ipocrisia di facciata. Infatti di queste riforme i mercati se ne sono fatti un baffo. E a ragione. La riforma delle pensioni, apprezzabile senz’altro, non può dare frutti immediati, a parte pure qualche grosso e costoso pasticcio come quello degli esodati; la riforma della legislazione sul lavoro, a parte la solenne sciocchezza che sia il rendere facile i licenziamenti ad aumentare le possibilità di lavoro, non era destinata a far cassa subito. Insomma, a parte quel che è stato investito per modificare situazioni antiche creando pure inconvenienti e qualche caso di illegittimità( vedi, ad esempio, l’obbligo dei conti correnti anche per i poveri), cosa ha messo sul tappeto Monti per far partire nell’immediato un po’ di risveglio dell’economia? Quasi nulla.
Ora , ma non è stato quel che doveva essere prioritario, si è messo mano ai tagli e ai restringimenti contro gli sprechi. Utilissimi, per carità, anche se non sempre coraggiosi e non determinanti contro i privilegi, ma non idonei a convertirsi in ricchezza che renda più chiaro il volto del paese. Monti ha fatto dunque i suoi primi colpi di scopa (per alcuni dei quali siamo ancora al rumore), ma se tutto nella sostanza si presenta più o meno come prima, ci si può meravigliare se lo spread sale sempre come prima?
Ci dibattiamo in un circolo vizioso: non ci sono soldi perché lo stato incassa poco, quelli che potrebbero dare, cioè la classe media, è sistematicamente fatta impoverire, l’Europa ci chiede sacrifici ma contemporaneamente vuole che diventiamo più ricchi, ed è un vero rebus. Come uscirne? Quale a questo punto il pensiero o la proposta dei politici? Cosa ci si può attendere da loro?
Siamo davvero allo squallore. I nostri politici, con inqualificabile cinismo, si adoperano piuttosto a come tutelarsi in vista delle future poltrone. E sono sempre gli stessi. Non hanno preso atto del loro fallimento che oltretutto viene anche da lunghi decenni, e si propongono ancora disinvolti, specie in continua, disgustosa accondiscendenza televisiva. I partiti sono certo indispensabili alla democrazia, ma chi li rappresenta oggi? Solo dei residuati del fallimento di cui sopra, frutto a sua volta di altri fallimenti. Forza Italia, dopo il clamoroso fallimento di Berlusconi, distributore generoso di fatuo e libidinoso ottimismo, ha il coraggio di ripresentare Berlusconi; Bersani è il risultato di una litigiosità inestinguibile della cosiddetta sinistra, sempre priva di idee e proposte effettivamente progressiste; Casini sarebbe l’erede della disfatta democristiana, magari illuso di salvarne qualcosa; di Maroni si aspetta che pesci deve prendere e dove, visto che quelli di Roma ladrona sono finiti in malo modo. Per non parlare delle facce toste che osano proporre la loro novità, come, ad esempio, quel Tremonti, che è il firmatario delle ultime tappe del nostro disastro.
Insomma, per non continuare nella rassegna, concludiamo che sugli attuali politici italiani c’è poco da contare, e forse per questo anche l’Europa e i mercati esprimono perplessità. Questo vuol dire che se il governo Monti non va bene, non abbiamo prospettive politiche dalle quali possa uscirne uno più funzionale. Ed è purtroppo situazione senza sbocco, cioè drammatica.
Il caso Sicilia
E veniamo alle cronache riguardanti la Sicilia, altro tormentone di questa calda estate. In verità la Sicilia è stata sempre un caso nella sua storia e per la sua situazione geografica: staccata dal continente per essere veramente sua parte e troppo vicina ad esso per realizzare una sua costituzione politica effettivamente autonoma ed indipendente. La storia della Sicilia è alla base anche oggi della sua vicenda politica. Ed è pure storia che ricorda l’antico detto Omnes insulani mali sunt, sicani autem pessimi. E che se il detto lo applichiamo agli isolani che fanno politica o con la politica ci campano dobbiamo convenire che davvero è un detto meritato.
Da quando la Sicilia è diventata parte dell’Italia unita non si sono visti che politici dediti al loro tornaconto, come si legge nelle celebri pagine di Pirandello, De Roberto e Tomasi di Lampedusa. E per questo tornaconto è sempre avvenuto lo scambio di appoggi e di favori tra la politica di Roma e quella di Palermo. Così dopo Garibaldi, così nell’attualità: la Sicilia riserva di voti e di consensi, per poi essere accusata come colpevole di mal governo e comunque sempre sovvenzionata perché il mal governo continui. Nessuno dimentica il comportamento di Giolitti quando, per i modi di ottenere consenso in Sicilia, fu definito “ministro della mala vita”; come nessuno dimentica i casi recenti di dissesto finanziario dei Comuni di Catania e di Palermo, aggiustati dai governi non siciliani ma che sui siciliani si erano puntellati. Si spiega così perché si dice che questa Sicilia per l’Italia è un peso ma che l’Italia non può fare a meno della Sicilia, costi quel che costi, anche la violenza. E ne hanno fatto le spese i separatisti del dopoguerra.
In verità non sono mancate, come è certo che non mancano oggi, menti avvedute, espressione di rara intelligenza ed onestà pure siciliane, in vena di venire a capo degli atavici mali, ma non hanno avuto adeguato seguito. Ogni politico di buona volontà che ha preso le redini di questa regione, o non è riuscito ad affrancarsi dalle perverse direttive partitiche romane, o si è adagiato agli ineludibili malanni isolani: il rivendicazionismo e il clientelismo.
La Sicilia è vero che è debitrice di molto e farsi forte nel rivendicare può sembrare fare buona politica per Essa, ma quando poi qualcosa arriva da Roma, perché non si riesce a farla fruttare adeguatamente? Perché la si indirizza sempre a sostegno di uno stato di cose strutturato su incredibili privilegi? E in quanto alle somme che verrebbero da Bruxelles che succede? Perché si perdono?
Il clientelismo poi in Sicilia ha una prassi di esclusività che non ha pari altrove. Quel che viene e va nella politica siciliana è sempre per e a pro di amici. Entrare in qualche modo in qualche giusta clientela è condizione indispensabile pure per l’imprenditoria, per operare nella cultura, persino per godere di una certa serenità di vita e nel lavoro. Nessuno però mette in luce che l’eccesso di clientelismo che blocca un vero risveglio economico e morale della Sicilia è dovuto al fatto che nella politica siciliana circa il clientelismo non esiste una vera opposizione che funzioni: i favori vanno a destra ma, sia pure in minor misura, anche a sinistra. Circa i favori vige un cameratismo di rapporti e di scambi di convenienze per cui, ad esempio, un posticino lo trovi pure se hai l’amico giusto anche a sinistra. E per questo poi ci sono sempre in primo piano le solite personalità ritenute di prestigio che come tali hanno colore politico comodamente intermittente. Vada per tutti l’esempio di quel grande elettore del centro-destra che fu Salvatore Cuffaro, lo stesso cioè che aveva appena finito di essere potente assessore del governo di sinistra.
Ora che la Sicilia è additata a rischio di bancarotta è bene che si sappia che, se la Sicilia non saprà limitare il procedere per clientelismo, quello che moltiplica posti e giustifica privilegi e inefficienze, essa non cambierà mai, si ribatteranno ogni volta accuse e recriminazioni, si provvederà a tamponamenti, ma la si troverà sempre a rischio di fallimento.
Presidente Napolitano
Ultimamente nel tormentone Sicilia è entrato un caso insolito: il Presidente della Repubblica Napolitano ha denunciato alla Corte costituzionale la Procura di Palermo per leso diritto alla riservatezza in un caso di intercettazioni.
Certo sarebbe stato meglio che la vicenda non avesse preso questa piega. Non si tratta del finimondo, ma è quanto basta perché ci sia chi venga a dire: guarda un po’, per il pezzo grosso Mancino si è arrivati a scomodare pure l’alta Corte.
E’ una cosa antipatica però, siamo certi che non inficerà il prestigio del nostro Capo dello Stato, né farà mettere la cenere sul capo ai procuratori palermitani. Tuttavia il caso fa fare qualche opportuna riflessione anche a noi.
Questa Procura di Palermo è tra quelle italiane la più impegnata nelle cronache e forse una maggiore prudenza espositiva glie la si potrebbe consigliare. A parte l’inceppatura in oggetto che va senz’altro tra le cose che capitano, a volte si ha l’impressione, leggendo i giornali, che i casi che la Procura tratta finiscano per sembrare personalizzati come trattarsi di individui in contrasto, accusatore-inquisito, senza la prudenza che sempre richiede l’ipotesi avanzata ma non provata. E si ha l’impressione che si nutra una specie di gelosa custodia dell’acquisita aureola di lottatori per la giustizia, che in fondo nessuno vuole insidiare. Ma ci pare pure chiaro che la colpa di questo sia soprattutto dei mass media, che assediano gli interessati per farne con leggerezza personaggi pubblici ora eroi ora criminali, ma sempre da rotocalco. Resistere ai mass media non è facile, eppure ogni tanto bisogna avere il coraggio di rimandarli ad occuparsi anche di altre cose, fuori dal palazzo di giustizia.
Prof. Elio Giunta
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