Nell’immaginario collettivo, la Sicilia è spesso rappresentata come un’isola dalle coste meravigliose, ricoperte di piante aromatiche, agrumi e palme nane, tipiche della macchia mediterranea. Tuttavia, la flora siciliana riserva sorprese anche nell’entroterra, dove possiamo trovare alberi imponenti, tipici di climi più freddi. Uno dei più importanti è l’Abies nebrodensis, conosciuto come l’abete dei Nebrodi (anche se cresce principalmente nelle Madonie, un tempo chiamate anch’esse Nebrodi).
Questo maestoso abete, chiamato localmente “arvulu cruci cruci” per via della disposizione dei rami che sembrano formare delle piccole croci, è una specie endemica della Sicilia a rischio estinzione. Fino al 1900, era persino considerato estinto. Studi condotti da autorevoli ricercatori, come quelli di L. Parducci & Al., suggeriscono che durante la crisi di salinità del Messiniano, con il progressivo disseccamento del Mar Mediterraneo e la formazione di collegamenti terrestri tra l’Africa e il Nord Europa, si verificarono fenomeni di ibridazione tra specie di abeti provenienti da climi molto freddi, come l’abete bianco (Abies alba), e specie adattate a climi più caldi, come l’abete numidico (Abies numidica), dando origine in Sicilia, all’Abies nebrodensis.
Durante l’ultima glaciazione (Glaciazione Würm, avvenuta tra 110 e 12 mila anni fa), il clima era nettamente più freddo rispetto a quello attuale, principalmente a causa della presenza di estesi ghiacciai nell’area mediterranea. Questa situazione determinò un abbassamento del livello del mare, che temporaneamente riaprì un passaggio per la migrazione delle altre specie di conifere in Sicilia, tra cui pini e abeti, che così ripresero a popolare l’Isola. Con la fine dell’era glaciale e il ritiro dei ghiacciai, la Sicilia tornò gradualmente alla sua configurazione attuale, interrompendo questo flusso migratorio e isolando progressivamente l’abete dei Nebrodi dai suoi parenti. Questo permise all’Abies nebrodensis di specializzarsi e diffondersi, a scapito degli abeti bianchi e delle altre conifere, con cui condivideva l’habitat fino a circa 9 mila anni fa, come dimostrano alcuni fossili.
L’Abies nebrodensis aveva così conquistato la Sicilia, diventando una specie endemica, ma non aveva ancora fatto i conti con l’Uomo. Durante l’ultima glaciazione, grazie al calo del livello del mare, un’altra specie arrivò in Sicilia: l’Homo sapiens, l’odierna specie umana (sebbene alcuni studiosi ci definiscano Homo sapiens sapiens, per sottolineare l’eccessiva intelligenza...). Nel corso dei secoli successivi, l’uomo apprezzò molto l’Abies nebrodensis, forse anche troppo, soprattutto la robustezza, il profumo e il potere calorifero del suo legno, portandolo sull’orlo dell’estinzione.
Fortunatamente, la natura riserva spesso sorprese insperate. Nel 1957, in un’area quasi inaccessibile all’uomo ed alle sue accette, gli ultimi 30 esemplari di Abies nebrodensis furono riscoperti. Da allora, grazie all’impegno di numerosi volontari e studiosi, sono stati avviati sforzi per proteggere questa specie attraverso campagne di sensibilizzazione e la coltivazione in vivai o orti botanici, al fine di conservarla e reintrodurla gradualmente nel suo habitat naturale.
Nonostante i progressi compiuti, la popolazione naturale di Abies nebrodensis rimane ancora fragile, con soli circa 150 individui registrati nell’ultimo censimento del 2013. Questo numero è ancora troppo basso per dichiarare la specie al sicuro dall’estinzione, e pertanto è essenziale continuare gli sforzi di conservazione per garantirne il Futuro.
Fonti:
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