Passeggiando per il suggestivo lungomare di Mondello, in direzione di Capo Gallo, uno sguardo attento potrebbe cogliere delle strane ed insolite impronte su alcuni massi lungo la riva del mare. Alcuni romantici potrebbero scorgervi cuori, mentre gli animi più superstiziosi potrebbero interpretarle come zoccoli.
Tuttavia, queste impronte, pur suggerendo tali forme, non corrispondono a né l’uno né l’altro. Si tratta, in realtà, di fossili particolari: i resti di Megalodon gumbeli, un antico e importante bivalve che un tempo popolava le coste dell’antico Mar Tetide, predecessore del Mediterraneo odierno.
Circa 250 milioni di anni fa, durante il Triassico, periodo in cui vivevano delle forme primitive di dinosauri, il clima era caldo e umido. Queste condizioni, unite all’alta temperatura dell’acqua che rimaneva costante intorno ai 25°C anche in inverno, favorivano la formazione di ampie lagune e estese barriere coralline.
Questo ambiente propizio ha portato alla proliferazione di organismi marini tipici delle zone calde, come coralli, spugne, alghe e grandi molluschi bivalvi, tra cui il Megalodon gumbeli.
Questi organismi popolavano i fondali bassi del mare tropicale, svolgendo un ruolo ecologico simile a quello delle attuali Tridacne. Come queste ultime, infatti si nutrivano di plancton e si ancoravano alle barriere coralline tramite il bisso, dei filamenti secreti da una ghiandola che servivano a fissare l’animale a un supporto.
Nel basso bacino che avrebbe poi dato vita a Mondello, poteva accadere che, durante una mareggiata, venissero sepolti da un sottile strato di sedimenti composti da sabbia, fango e carbonato di calcio, intrappolandoli, in questo caso, per milioni di anni anziché solo per un breve periodo.
Durante queste ere, attraverso il processo di fossilizzazione, il sedimento contenente i Megalodon si consolidò, trasformandosi in una roccia dura chiamata dolomia.
Ma non era giunta la fine di questa storia geologica, grandi sconvolgimenti dovevano accadere.
Il Mar Tetide, per via della spinta della Placca Africana contro quella Euroasiatica, iniziò gradualmente a chiudersi, cedendo il passo al Mar Mediterraneo.
Catene montuose si sollevarono, gli atolli e le barriere coralline scomparvero, persino il clima subì modifiche significative e nel frattempo, queste rocce custodivano al loro interno questi importanti e antichi fossili, preservandoli fino all’epoca in cui la Sicilia si configurò nella sua forma attuale.
Arriviamo così all’epoca più recente, è qui che si intrecciano il folklore e la fantasia: durante il Medioevo, i primi inconsapevoli scopritori di questi fossili, guidati dalla semplicità, attribuirono la loro origine alle impronte del diavolo per darne una spiegazione. Si diffuse così la leggenda secondo la quale, giunto sulla Terra, il diavolo si bruciò gli zoccoli al contatto con queste rocce, lasciando indelebili le sue orme sulla superficie rocciosa.
Fonte: “Il Megalodon gumbeli.” Cosmic Noise, s.d., https://www.cosmicnoise.it/o/items/show/157
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