Debutta il 6 gennaio 2022, in prima nazionale al Teatro Biondo di Palermo, La concessione del telefono di Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale, adattamento dell’omonimo romanzo dello scrittore siciliano edito da Sellerio.
Protagonista di questo nuovo allestimento dello spettacolo, prodotto dal Biondo di Palermo e diretto da Dipasquale, è Alessio Vassallo nel ruolo di Filippo Genuardi, lo stesso che aveva interpretato nel fortunato adattamento televisivo. Al suo fianco: Cesare Biondolillo, Franz Cantalupo, Cocò Gulotta, Paolo La Bruna, Mimmo Mignemi, Alessandro Pennacchio, Ginevra Pisani, Alfonso Postiglione, Carlotta Proietti, Alessandro Romano.
Le scene sono di Antonio Fiorentino, i costumi di Dora Argento e le di musiche Germano Mazzocchetti.
Repliche fino al 16 gennaio.
La concessione del telefono è una commedia degli equivoci dai risvolti surreali, ambientata sul finire dell’Ottocento a Vigàta, il paese immaginario in cui lo scrittore agrigentino ha ambientato tutti i suoi romanzi, fino alle avventure del commissario Montalbano. La semplice richiesta di attivazione di una linea telefonica, avanzata dal signor Genuardi, innesca una catena di equivoci e imbrogli che diventa metafora di una condizione esistenziale.
La concessione del telefono è, tra i romanzi di Camilleri, uno dei più divertenti, una sorta di commedia degli equivoci ambientata in una terra, la Sicilia, che è metafora di un modo di essere e di ragionare, arcaica e moderna nello stesso tempo, comica e tragica, logica e paradossale.
Cosa indica la ridicola e allo stesso tempo legittima pretesa di un personaggio come Pippo Genuardi, che vuole ottenere una linea telefonica per potersi meglio organizzare con la sua amante? È la metafora di un crudele gioco dell’inutilità umana e sociale o la pessimistica ipotesi di un atavico immobilismo del processo storico di evoluzione dell’individuo e della società?
Camilleri sembra non voler dare risposte, ma allo stesso tempo, con gli strumenti ingegnosi della lingua e del gioco letterario e teatrale, ci pone dinanzi a situazioni paradossali che smascherano le ipocrisie, i pregiudizi e la cattiva coscienza di una comunità molto simile a quella in cui viviamo.
Come sottolinea il regista Dipasquale: «La storia è un sistema di azioni che sommano le quotidiane differenze degli individui, ma il cui conto è sempre in negativo. Nelle maglie di queste continue sottrazioni i tanti Pippo Genuardi, redenti dalla loro ingenuità, rimangono condannati e stritolati dalle mani dei prepotenti di turno. E tutto questo, in forma di metafora storicizzata e storicizzante, non può che accadere a Vigàta, dove i suoi personaggi sono credibilmente fantastici, e paradossalmente veri. Essi sono personaggi di una fiaba realistica, come fiabe sono quelle che Camilleri racconta: v’è l’essenziale della storia, e i meccanismi tra azione e personaggi, azione e morale, sono perfetti. Il resto, il critico retaggio di molta postura letteraria, è lasciato intelligentemente da canto perché il racconto ha uno spessore popolare. Non è sofisticato e non può essere raccontato in modo sofisticato».
Quando Andrea Camilleri, nel 2005, firmò insieme a Dipasquale l’adattamento teatrale del proprio romanzo scrisse: «Non è retorica, ma non ho mai smesso di provare un’autentica emozione, ogni volta che si apre il sipario su un’opera teatrale. Nel caso di un mio romanzo, l’emozione è, per certi versi, doppia, sia pure, per fortuna, mitigata da un certo naturale disincanto che porta un uomo della mia età ad emozionarsi più per le cose degli altri che per le proprie. Sarà il mio destino, sarà la mia vita passata di uomo di teatro, sarà che Dipasquale riesce sempre a convincermi, fatto sta che un altro mio romanzo si trasforma in una pièce teatrale».
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