“La tradizione dell’Illuminismo in Sicilia - Arte e filosofia” è il tema del Convegno Internazionale di Studi organizzato da Piero Di Giovanni, Caterina Genna e Maria Antonia Rancadore, storici della filosofia di Unipa, che avrà luogo il 12 e 13 novembre alle ore 9,30 presso il Complesso Monumentale dello Steri – Sala Magna Sede del Rettorato dell’Università di Palermo,
In questo Convegno la “filosofia” viene posta a confronto con “l’arte”, un tema trattato da diversi relatori di università italiane e straniere. Nel contesto sarà presentato il volume “Il secolo dei Lumi in Sicilia” (pag. 198) che fa parte della Collana di Filosofia italiana, giunto alla trentesima pubblicazione, ed edito dalla Casa Editrice FrancoAngeli. Il tema proposto con quest’ultimo volume costituisce una riflessione sul secolo XVIII, che in Italia testimonia il processo di unificazione culturale, in anticipo rispetto al processo di unità politica conseguito nel secolo XIX.
“L’Italia, pur essendo stata la culla della civiltà umanistica e rinascimentale, nel corso dell’età moderna non poté vantare di essere una grande potenza – spiega Piero Di Giovanni - né tanto meno una nazione unita. Il nuovo assetto territoriale e geografico dell’Italia e dell’Europa nel Settecento si deve far risalire alla fine della guerra di successione spagnola, conclusasi nel 1713 con la stipula della pace di Utrecht, durante la quale la Sicilia fu assegnata al ducato dei Savoia, che acquisirono il titolo di re di Sicilia; e poiché i Savoia non furono in grado di assoggettare la Sicilia, con il trattato dell’Aja del 1720, questa gli fu sottratta. Conseguentemente tutto il Mezzogiorno e la Sicilia furono assoggettati dall’Austria. Ai Savoia fu assegnata la Sardegna e il loro regno di Sicilia divenne regno di Sardegna, sopravvissuto sino al 1861 con il conseguimento del regno d’Italia. La diffusione dell’Illuminismo nel nostro Paese acquisì un significato particolare con il contributo dato soprattutto da Milano, Napoli e Palermo. Per ciò che attiene al Mezzogiorno e alla Sicilia occorre ricordare che nel 1734 Carlo III di Borbone, figlio di Filippo V e di Elisabetta Farnese, conquistò il Sud e la Sicilia; il 10 maggio 1734, a Napoli, fu insignito del titolo “Neapolis rex”, mentre il 3 luglio del 1735, a Palermo, del titolo “rex utriusque Siciliae”. La presenza di Carlo III a Napoli e a Palermo determinò la rinascita di tutto il Sud sul piano politico e culturale; a Napoli si ricordi la presenza di Gian Battista Vico e di tutti gli illuministi (Francesco Mario Pagano, Antonio Genovesi, Ferdinando Galiani, Giuseppe Palmieri, Gaetano Filangieri), che da Pietro Giannone conducono a Vincenzo Cuoco. A Palermo, città capitale, una posizione di primo piano è stata quella di Tommaso Natale, distintosi da giovane nel 1756. Pur riconoscendo i meriti di Tommaso Natale, non bisogna trascurare quelli di Francesco Paolo Di Blasi, che soprattutto negli ultimi anni di vita, si distinse per avere organizzato un moto rivoluzionario, con l’obiettivo di instaurare in Sicilia uno Stato repubblicano”.
Se ci soffermiamo sulla condizione della Sicilia e di Palermo in particolare, dobbiamo rilevare che dei personaggi come Tommaso Natale e Francesco Paolo Di Blasi, per un verso, e Vincenzo Miceli, per un altro verso, diedero corpo ad una attività culturale e filosofica non marginale. Miceli, Di Blasi e Tommaso Natale lasciarono in eredità un patrimonio di inestimabile valore, destinato a caratterizzare la cultura dell’età contemporanea.
“Tommaso Natale – come scrive Caterina Genna sul volume - fu un personaggio di primo piano del secolo XVIII, proveniva da una famiglia di nobili, dai Marchesi di Monterosato, che gli consentirono di acquisire una cultura di livello europeo, sulla scia delle nuove idee che nel corso del secolo XVIII circolavano liberamente soprattutto a partire dalla Francia. Fu testimone di una cultura di livello europeo e internazionale, formalmente completò la sua esistenza quando l’idealismo aveva preso corpo con la Dottrina della scienza di Fichte a Jena nel 1794 e con la Fenomenologia dello spirito di Hegel nel 1807 a Bamberga. Tommaso Natale elaborò e propugnò idee innovative, pur facendo parte di un ceto nobiliare. A differenza del contesto borghese che si andava affermando a Milano e a Napoli, a Palermo erano i rappresentanti del ceto nobiliare a propugnare le idee “liberali” nel corso del secolo dei Lumi. Negli ultimi anni della sua vita, oltre che alla rilettura delle sue Riflessioni politiche, Tommaso Natale si dedicò alla traduzione dei primi sei libri dell’Iliade, di cui all’edizione apparsa nel 1807 per la Reale Stamperia di Palermo. A completamento della produzione di questo autore, occorre ricordare i manoscritti inediti presso l’Archivio di Stato di Palermo e la Biblioteca Comunale di Palermo.
Oltre i principi del diritto naturale, Tommaso Natale riflette sui contenuti del diritto positivo, che, pur non essendo basato sulla “crudeltà” delle leggi, deve garantire la salvaguardia della giustizia. Possiamo manifestare qualche riserva sul principio della giustizia, che inevitabilmente risulta sottoposto alle dinamiche della storia. Da Platone ai tempi moderni lo stesso concetto di giustizia assume significati variabili a seconda del tempo e del luogo in cui sono concepiti. Nel caso di Tommaso Natale, il relativismo della storia non viene sottaciuto, laddove si sottolinea che «è senza dubbio certo, che gran parte della nostra corruzione, della nostra storta maniera di pensare, e della immoralità delle nostre azioni non d’altronde provenga, che dalla falsa, ed irregolare maniera di educarci, e dall’essersi di già perduto il buon costume di considerare ciò, come una parte principale del pubblico interesse». Leggendo le Riflessioni politiche, troviamo che Tommaso Natale risulta condizionato dal suo contesto sociale, posto che ritiene, seppure in buona fede, che le pene debbano essere comminate, oltre che in funzione alla gravità del reato, a seconda dell’appartenenza ad un determinato ceto sociale. Per Tommaso Natale bisogna tener conto della divisione nelle tre classi dell’aristocrazia, della borghesia e della plebe, proporzionando l’applicazione delle leggi all’appartenenza di uno di questi tre ceti sociali”.
Un altro personaggio di spicco che va ricordato è Francesco Paolo Di Blasi che diversamente da Tommaso Natale era contro le disuguaglianze sociali.
“Francesco Paolo Di Blasi nacque a Palermo nel 1755 presso una famiglia nobile e colta – come scrive sul volume Maria Antonia Rancadore - pienamente inserita in un ambiente intellettualmente raffinato. Crebbe e si formò nell’ambiente culturale vissuto e promosso dagli zii paterni; successivamente entrò in contatto con l’illuminista marchese Domenico Caracciolo, nominato viceré nel 1781, dal quale rimase positivamente influenzato e del quale si guadagnò la stima. Caracciolo veniva da Parigi, dove aveva appreso e vissuto le idee illuministiche, che avrebbe voluto introdurre nel Mezzogiorno con l’obiettivo di attuare una riforma delle leggi e di abolizione di vecchie pratiche finalizzate all’ingiusto sfruttamento dei più deboli. Come era prevedibile, Caracciolo incontrò molte resistenze e scarso appoggio da parte dei nobili e della monarchia. Agli occhi dei pochi che aspiravano a tale rinnovamento, Caracciolo appariva come l’uomo giusto al momento giusto, colui che poteva farsi portavoce ed esecutore di tali idee. I nobili affermavano i loro privilegi e la loro supremazia sui contadini sulla base di norme feudali e obsolete; pertanto il cambiamento doveva partire proprio dalla riforma dei codici civili. Di Blasi, che si era dedicato agli studi giuridici e praticava la professione forense, ritenne di occuparsi in prima persona di quest’opera di raccolta e di analisi delle leggi in Sicilia, effettuandone una selezione, in base alla loro validità, evidenziando quelle che riteneva ormai superate, pertanto nel 1785 chiese al viceré Caracciolo l’autorizzazione a svolgere questo tipo di lavoro.
Al viceré Caracciolo, rimasto in carica fino al 1786, subentrò Francesco d’Aquino, principe di Caramanico. Proprio il viceré Caramanico, con il benestare del Re Ferdinando IV di Napoli (III di Sicilia), diede a Di Blasi l’autorizzazione a curare la raccolta delle “prammatiche”, cioè delle leggi del Regno di Sicilia.
Oltre alla sua professione e al lavoro di raccolta e revisione delle leggi siciliane, Francesco Paolo si dedicò ad altre attività. Perciò è opportuno ricordare che, nel 1790, all’età di 35 anni, insieme al poeta Giovanni Meli, il nostro autore aveva promosso la fondazione dell’Accademia Siciliana, come prosecuzione dell’Accademia dei Pescatori Oretei, il cui iniziatore era stato a suo tempo il padre Vincenzo. L’Accademia, che si riuniva presso la stessa casa di Di Blasi, oltre al Meli, annoverava tra i suoi soci personaggi celebri come Francesco Carì, Mariano Scasso e Francesco Paolo Nascè. In tal senso Pitrè considera che nell’Accademia bisognava scrivere e parlare solo in siciliano: siciliane le poesie, siciliane le prose, siciliane anche le leggi dell’istituto, le quali venivano dettate dal Meli in persona. Il Principe di Trabia, il Conte di Torremuzza, il Marchese di Roccaforte, il Principe di Furnari, nei ventott’anni di fortunosa esistenza di essa vi presero parte attiva, e l’accolsero nei loro palazzi. Le riunioni dell’Accademia, oltre che incontri a tema letterario, offrivano l’occasione per i giovani di confrontarsi su quanto stava accadendo a livello politico in Europa.
L’atmosfera di “terrore” di quel tempo si fece ancora più evidente dopo la morte del viceré Caramanico nel 1795. A lui succedette l’allora arcivescovo di Palermo, Filippo Lopez y Royo, che si mostrò severo e implacabile, propenso all’utilizzo di ogni tipo di mezzo per difendere la monarchia. Con lo scoppio della rivoluzione francese del 1789, Francesco Paolo Di Blasi aveva fatto propri gli ideali repubblicani e libertari; nel 1795, volendo osteggiare il regime autoritario del nuovo viceré Filippo Lopez y Royo, con il barone Ferdinando Porcari promosse una rivoluzione contro la monarchia dei Borbone. L’obiettivo era quello di instaurare in Sicilia un regime repubblicano in sintonia con quello della Francia. Scoperto ed arrestato, il 18 maggio del 1795 fu condannato a morte con altri tre congiurati; Ferdinando Porcari riuscì a fuggire, ma fu messo al bando.
Secondo Di Blasi, la natura stessa tenderebbe a riportare gli uomini allo stadio iniziale, e lo farebbe attraverso le passioni. Gli uomini, seppure nelle loro differenze per così dire acquisite, sono tutti uguali sul piano della varietà dei sentimenti che possono provare e delle emozioni che possono sentire. Tra questi l’avarizia, che fa sembrare insufficienti anche le cose più preziose, e spinge l’avaro a desiderare sempre di più; o l’ambizione, che spinge gli uomini ad ambire ad onori sempre più alti. Questi sentimenti creano una condizione di infelicità in tutti gli individui, nessuno escluso, condizione rispetto alla quale essi sono tutti uguali. Per il nostro autore risulta essere una “difficile impresa” condurre l’uomo a questa verità sulla condizione di uguaglianza “quale lo formò la natura”; tuttavia, la presa di conoscenza di questa verità potrebbe diventare essa stessa motivo di raggiungimento della felicità, perché ci consentirebbe di ripristinare la condizione iniziale e primigenia dell’umanità. Noi siamo abituati a conoscere l’uomo in due maniere distinte: o come i sensi ce lo presentano (e dunque per mezzo di una percezione per così dire diretta, che possiamo effettuare da noi stessi); o come ci viene descritto dagli altri, nei “menzogneri libri”. Da entrambe le fonti ci provengono descrizioni non rispondenti alla verità: sia dai sensi, sia da parte di quegli uomini che hanno tentato di spiegare come è fatto l’uomo, considerato l’ente ragionevole per eccellenza. In questo secondo caso, ci si è limitati a descrivere i vari cambiamenti che hanno subito gli uomini nel tempo, le differenze determinatesi tra di loro, trascurando e dimenticando che per natura siamo tutti uguali.
Secondo Di Blasi, l’uomo, considerato nella condizione primordiale, è abituato ad una vita semplice, senza le comodità offerte dalla vita civilizzata; non desidera lussi, perché non li ha mai sperimentati; non ha bisogno di mille donne, gliene basta solo una. Di Blasi descrive questa condizione di vita semplice, nella quale l’uomo desidera e tiene per sé solo ciò che gli è utile al momento, nella quale il superfluo è lasciato alla natura, ed eventualmente sarà cercato in un secondo momento quando gli servirà; il futuro non lo spaventa, non vi è motivo. Perciò Di Blasi scrive: Il lume interiore, e la conoscenza innata del vero, e del buono lo spingono a non volere, che il suo bene, e a schivare il danno dei suoi simili. In questo stadio primitivo non esistono sentimenti di invidia, di orgoglio, di odio, di ambizione. Se tra due esseri primitivi si innesca una competizione (ad esempio per il cibo), ad un certo punto vincerà il più forte, e il più debole troverà cibo altrove, senza rancore. I sentimenti negativi nei confronti dei propri simili sono sorti con l’incivilimento, ossia con l’inizio della vita in società, quando gli uomini hanno cominciato a desiderare per sé sempre più cose, oltrepassando l’ambito della necessità, sviluppando bisogni sempre maggiori, desiderando sempre di più, anche a scapito dei propri simili.
Le esperienze politiche di Di Blasi conducono alla sua condanna a morte avvenuta il 20 maggio del 1795; non appaia strano che la sua vicenda sia stata ricordata e decantata da due scrittori come Luigi Natoli (autore nel 1907, sotto lo pseudonimo di William Galt, del romanzo Calvello il bastardo) e come Leonardo Sciascia (autore nel 1963 del romanzo Il consiglio d’Egitto). Pur essendo vissuto nel corso del secolo XVIII, Di Blasi può essere considerato un uomo del nostro tempo; ad inizio del secolo XXI i principi della uguaglianza e della equità presentano il carattere dell’attualità e dell’esigenza di riscoprire il nostro passato, per una adeguata consapevolezza del tempo presente”.
Con questo volume su “Il secolo dei Lumi in Sicilia”, i due autori presi in esame Tommaso Natale e Francesco Paolo Di Blasi denotano un forte e marcato interesse per problemi di natura filosofica e sociale, meritevoli di adeguata attenzione.
Per ulteriori informazioni sul Convegno e sul volume consultare il programma.
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