Si celebra oggi la giornata internazionale della felicità istituita dall’Assemblea delle Nazioni Unite nel giugno 2012, con la risoluzione A/RES/66/281. Riflettere sulla felicità assume un significato peculiare nell’attuale contingenza storica, in cui gli individui sono smarriti e, in non pochi casi, stremati da una situazione rispetto alla quale non si intravvede una fuoriuscita definitiva. Stanno venendo alla luce fragilità dirompenti, irrequietezze dilaganti, le quali si accompagnano alla consapevolezza, che non fa certamente difetto ai più avveduti, che sono mutati gli scenari, i paradigmi, i modelli relazionali, in una congerie tumultuosa la quale, non solo rende difficile un’opera di ricomposizione equilibrata, ma soprattutto genera inquietudine a causa di una sorta di sindrome dell’ignoto che ci sta fagocitando. Interrogarsi su quel che rende l’uomo felice, su cosa sia la felicità, costituisce un esercizio lodevole, purché avvenga con la coscienza che essa non si presta ad essere irretita in un concetto; il suo contenuto è plasmabile, poiché sono plurimi i fattori che, secondo combinazioni irriducibili a schemi, possono consentirne l’affermazione. Il latinista Ivano Dionigi ricorda come Agostino parli di ben 288 dottrine che nell’antichità si sono date carico di indagare il tema, ricavandone risposte assolutamente non sovrapponibili. Il che induce a concludere come ogni discorso, da condurre al riguardo, sia irrimediabilmente destinato ad essere condizionato dalla particolare scala valoriale che ciascuno di noi elabora nel corso della propria esperienza. Il ragionamento è reso, in epoca contemporanea, ancor più improbo dalla complessità che, in misura crescente, ha attanagliato la realtà socioeconomica, rendendo difficoltosa l’affermazione di valori condivisi. Le istanze provenienti dalla Comunità appaiono così sempre più disarticolate, sfaccettate, in guisa che non si presenta agevole il compito dei decisori, chiamati a decretare quali interessi e bisogni debbano trovare protezione.
Il confronto è purtuttavia oggi ancor più necessario – e, per certi versi, ineludibile – al fine di tentare, quanto meno, di comprendere il ruolo che l’apparato pubblico è chiamato a rivestire al cospetto dell’insopprimibile anelito alla felicità.
Si è rivelato meritorio, al riguardo, il dialogo promosso il 5 marzo dalla Fondazione Guido Carli sul diritto alla felicità, i cui protagonisti sono stati Gianni Letta e Brunello Cucinelli. Il Presidente Letta, a fronte della proposta di introdurre il diritto alla felicità nel testo costituzionale, ha con acume rilevato come l’art. 3, comma 2 della Costituzione sancisca, laddove fa riferimento all’esplicazione della personalità umana, precise e fondamentali prerogative, le quali lasciano intravedere in controluce lo sfondo lungo il quale si colloca la disposizione. L’incipit iniziale (è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale …..) evoca, d’altra parte, precisi obblighi, in capo allo Stato, rispetto alla realizzazione di un progetto in fase di continuativa e perenne realizzazione.
La Costituzione contiene un affresco di principi dotati di straordinaria efficacia impattante e, come tale, richiede una meticolosa e instancabile attività di concretizzazione. Affinché ne sia assicurato un elevato grado di effettività, la sua attuazione deve poter suscitare l’idea del cantiere, dell’edificio in permanente costruzione, in stretta aderenza con i mutamenti, sovente dai tratti repentini, che caratterizzano la contemporaneità. Le incessanti metamorfosi delle dinamiche sociali ed economiche impongono un impegno che non può conoscere soluzione di continuità.
L’imprenditore Cucinelli, nel mostrare di preferire una declinazione della felicità come aspirazione, piuttosto che alla stregua di diritto, ha evocato un’inemendabile questione: la ricerca della felicità non può essere dissociata dall’atteggiamento assunto da ciascuno di noi. La felicità, se e nella misura in cui la si riesca a raggiungere, rappresenta il frutto della combinazione di plurimi elementi.
Allo Stato il ruolo di garantire condizioni in grado di raggiungere l’obiettivo di un benessere morale e materiale diffuso [attraverso la tutela del lavoro, delle attività economiche, della salute, della libertà di accesso ai percorsi educativi, della libertà di manifestare il proprio pensiero (solo per fare alcuni esempi)], nonché il superamento delle disparità. Obiettivi che nella stagione che stiamo vivendo assumono i tratti della improcrastinabilità, posto che il recupero della serenità perduta, il ribaltamento delle ormai marcate diseguaglianze, è condicio sine qua non affinché tutte le misure da mettere in campo, alla luce dei progetti attualmente in fase di concepimento, siano davvero in grado di condurre a un mutamento di rotta.
A ciascuno il compito di coltivare l’aspirazione alla felicità, alla stregua di canoni informati a un’eticità dei comportamenti. Ciò affinché non manchi mai una componente di responsabilità che, assumendo una prospettiva anche di solidarietà, conduca senza esitazioni al riconoscimento e al rispetto degli altri.
Sensibilizzare sull’etica dei comportamenti, qualunque sia il segmento dell’esperienza umana in cui essi siano destinati a trovare collocazione, può certamente costituire la chiave di volta al fine di imprimere un’accelerazione a un processo di cui molti, ancor più nell’attuale fase, avvertono l’esigenza. Puntare sull’etica significa avvicinare gli individui tra loro, renderli maggiormente partecipi del senso di appartenenza a una comunità, decretando la frantumazione di quell’individualismo e di quell’antagonismo esasperato in cui, a dispetto delle apparenze, in tanti hanno finito col ritrovarsi, maturando sovente un frustrante senso di solitudine.
L’etica in definitiva evoca un approccio virtuoso alla vita che, senza lasciarsi abbacinare dalle brame di ricchezza e di potere, sappia guardare agli altri come a una fondamentale risorsa di prosperità, da salvaguardare attraverso l’impegno di tutti affinché si creino condizioni di benessere generalizzato. Adottando una siffatta prospettiva, non sarà difficile convenire con Seneca che in virtute posita est vera felicitas.
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