Il 19 luglio di 32 anni fa morivano per mano della mafia il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Eddie Walter Cosina, Vincenzo Li Muli e Claudio Traina.
L'attentato seguì soltanto di due mesi la strage di Capaci, in cui fu ucciso il giudice Giovanni Falcone, segnando uno dei momenti più tragici nella lotta alla mafia. Eventi che hanno cambiato profondamente e per sempre la storia dell’Italia e che ogni giorno noi palermitani ricordiamo con estrema amarezza.
Chi era Paolo Borsellino?
Il giudice Paolo Borsellino nacque a Palermo il 19 gennaio del 1940. Dopo avere frequentato il Liceo classico "Meli" si iscrive alla facoltà di giurisprudenza di Palermo, dove si laureò all'età di appena 22 anni, con 110 e lode. Tra piccoli lavoretti e le ripetizioni Borsellino studiò per superare il concorso in magistratura. E ci riuscì nel 1963.
Fare il magistrato a Palermo non è una professione qualunque. L’amore per la sua terra, per la giustizia gli diedero sin da subito quella spinta interiore che lo portò a diventare magistrato senza trascurare i doveri verso la sua famiglia. Nel 1975 Borsellino venne trasferito al tribunale di Palermo e a luglio entrò all’Ufficio istruzione processi penali sotto la guida di Rocco Chinnici. Con il Capitano Basile lavorò alla prima indagine sulla mafia e da questo momento cominciò il suo impegno senza sosta per sconfiggere l’organizzazione mafiosa. Nel 1980 arrivò l’arresto dei primi sei mafiosi. Nello stesso anno però il capitano viene ucciso in un agguato. Per la famiglia Borsellino arrivò così il momento della prima scorta.
Il Pool di cui entrò a far parte comprendeva quattro magistrati. Falcone, Borsellino e Barrile lavorarono uno a fianco all’altro, sotto la guida di Rocco Chinnici. Borsellino cominciò a promuovere e a partecipare ai dibattiti nelle scuole, parlando ai giovani nelle feste giovanili di piazza, alle tavole rotonde per spiegare e per sconfiggere una volta per sempre la cultura mafiosa.
Poi il dramma. Il 4 agosto 1983 venne ucciso il giudice Rocco Chinnici con un’autobomba. Il "capo" del pool, il punto di riferimento, venne a mancare e si ebbe l’impressione che la mafia avesse ben compreso lo spirito ed il nuovo modo di lavorare dei giudici siciliani. Nel 1984 venne arrestato Vito Ciancimino e si pentì Buscetta. Il ruolo di Borsellino fu fondamentale.
Cominciò così la preparazione del Maxiprocesso: Falcone e Borsellino vennero immediatamente trasferiti all’Asinara per concludere le memorie, predisporre gli atti senza correre ulteriori rischi.
Il l 19.12.1986 Paolo Borsellino prese servizio a Marsala dove per cinque anni guidò una delle Procure più impegnate sul fronte della lotta alla criminalità organizzata.
Ma il clima cominciò a cambiare. Il fronte unico che aveva portato a grandi vittorie della magistratura siciliana e che aveva visto l’opinione pubblica avvicinarsi agli uomini in prima linea e stringersi intorno a loro, cominciò a cedere.
Borsellino scese spesso in campo per cominciare una vera e propria guerra, parlando ovunque di cosa stesse accadendo alla procura di Palermo; sui giornali, in televisione nei convegni.
Cominciarono poi a parlare i pentiti e le indagini su connessioni tra mafia e politica presero forma. Da questo momento gli attacchi a Borsellino diventarono forti ed incessanti. Le indiscrezioni su Falcone e Borsellino quotidiane;
Intanto a Roma venne finalmente istituita la superprocura e aperte le candidature; Falcone fu il numero uno. Nel Maggio 1992 finalmente Falcone raggiunse i numeri necessari per vincere l’elezione a superprocuratore. Ma proprio il giorno dopo Falcone venne ucciso insieme alla moglie, a Capaci.
A Borsellino venne chiesto di prendere il posto di Falcone nella candidatura alla superprocura, ma lui rifiutò, sebbene consapevole che quella fosse l’unica maniera per condurre in prima persona le indagini sulla strage di Capaci. Ma quel giorno maledetto purtroppo arrivò anche per lui.
Era il 19 luglio del 1992: Borsellino si recò nella casa del mare, a Villagrazia, con la scorta. Dopo pranzo tornò a Palermo per accompagnare la mamma dal medico e con l’esplosione dell’autobomba sotto la casa, in via D’Amelio, muorì con tutta la scorta.
Questa la vita straordinario di un uomo che come Falcone ha assolto a uno dei compiti più difficili: quello di combattere la mafia. Sono trascorsi 19 anni, ma nessuno potrà mai dimenticare quanto è accaduto a Palermo. In molti ancora ricordano la fragorosa esplosione di via D’Amelio e la nube di fumo che si alzò nera nel cielo. Subito si capì che si era trattato di un attentato mafioso. E subito si immagino che la vittima poteva essere lui stavolta. Borsellino stesso aveva spesso parlato della morta durante la sua vita, forse perché la sentiva così vicina, forse perché capiva che anche lui correva il rischio di essere vittima di chi lo voleva morto. Queste le parole che una volta pronunciò:
"Non sono né un eroe né un kamikaze, ma una persona come tante altre. Temo la fine perché la vedo come una cosa misteriosa, non so quello che succederà nell’aldilà. Ma l’importante è che sia il coraggio a prendere il sopravvento...Se non fosse per il dolore di lasciare la mia famiglia, potrei anche morire sereno".
Ogni anno i palermitani, e non soltanto loro, ricordano il giudice Borsellino con manifestazioni e cortei. Poche settimane fa la città si è alzata all’impiedi per gridare il nome di Giovanni Falcone; adesso si farà lo stesso per Paolo Borsellino. Tantissimi giovani hanno partecipato e parteciperanno alle manifestazioni , proprio quei giovani a cui il giudice era tanto legato e a cui si rivolgeva spesso. Perché proprio tra loro si dovrebbe cominciare a diffondere una cultura del giusto, della legalità e dell’antimafia.
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