Il reddito di cittadinanza è un decreto in continua evoluzione. Tante le polemiche e le perplessità. I beneficiari, stando a un ultimo aggiornamento, è di 4.916.786 persone, corrispondenti a 1.734.932 nuclei familiari, dove il 27% dei beneficiari non ha famiglia. Altro cambiamento è quello riguardante i cittadini stranieri che potranno accedere all’assegno: rientreranno i cittadini italiani o di paesi Ue, familiari titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, familiari provenienti da paesi che hanno sottoscritto convenzioni bilaterali di sicurezza sociale, cittadini di paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno Ue per lungo-soggiornanti”. E, infine, avranno anche diritto i residenti in Italia in via continuativa da 10 anni, che corrisponde al 5% circa degli stranieri in Italia.
Inoltre, nei primi 18 mesi in cui il beneficiario riceverà il reddito di cittadinanza, secondo quanto riporta la Repubblica, verranno presentate solo due offerte di lavoro: la prima entro i primi sei mesi e in un raggio massimo di 100 chilometri dal luogo di residenza; la seconda tra i 6 e i 18 mesi con un raggio di 250 chilometri. La terza offerta, quella per cui decadono i limiti di distanza, arriverà solo dopo i primi 18 mesi, ovvero al ‘secondo giro’, dopo una pausa di un ulteriore mese per verificare che il beneficiario abbia ancora i requisiti per accedere all’assegno mensile. Se inizialmente l’obbligo di accettare una proposta valeva per i primi 12 mesi, ora si sposta a dopo i 18 mesi. Più mesi, dunque, in cui il beneficiario usufruirà della misura senza lavorare, fatta eccezione per le poche ore settimanali di lavori di pubblica utilità.
La preoccupazione riguarda il Sud Italia, dove il rischio di non ricevere un’offerta congrua, considerando l’alto tasso di disoccupazione e la minore offerta di lavoro, è più concreto. Proprio al Mezzogiorno, dove si trova il 53% della popolazione che potrebbe accedere al reddito, c’è il rischio che arrivino ancora meno offerte di lavoro e che il reddito venga erogato per più tempo senza diventare una misura reale per il reinserimento al lavoro. Inoltre, circa il 65% delle famiglie beneficiarie ha figli minori o disabili a proprio carico, il che restringe ulteriormente il campo per quanto riguarda le offerte lontane dal luogo di residenza.
Alle aziende spetterà il compito di segnalare i posti di lavoro vacanti sul portale del reddito di cittadinanza. Nel caso in cui un’impresa assuma un beneficiario della misura, riceverà uno sgravio contributivo che va dai 5 ai 18 mesi, più uno aggiuntivo per donne o soggetti svantaggiati. Lo sgravio corrisponde a una mensilità del reddito non incassata dal beneficiario in quanto assunto: prima viene assunto il lavoratore, più mesi di sgravio riceve l’azienda. Se l’assunzione avviene dopo sei mesi di erogazione del reddito, l’azienda avrà diritto a sgravi per i restanti 12 mesi di fruizione della misura da parte del beneficiario. Per rientrare in queste agevolazioni, però, l’azienda deve rispettare alcuni requisiti: non deve mai essere stata sanzionata per violazione di norme previdenziali e di tutela delle condizioni di lavoro; deve assumere a tempo pieno e indeterminato e deve impegnarsi a non licenziare per due anni senza giusta causa; deve assumere solamente per incrementare il personale, tranne nel caso di ricambio con un pensionato.
Tra le novità delle ultime bozze c’è anche l’introduzione di un aiuto per chi avvia un’attività, rinunciando al reddito di cittadinanza. Ai beneficiari del reddito che avviano un’attività lavorativa autonoma o di impresa individuale entro i primi 12 mesi di fruizione è riconosciuto in un’unica soluzione un beneficio addizionale pari a sei mensilità di Rdc, nei limiti di 780 euro mensili. Anche coloro i quali fanno parte di un nucleo familiare beneficiario possono avere due mensilità anticipate a titolo di incentivo, ma l’avvio dell’attività va comunicata entro 30 giorni all’Inps, altrimenti si va incontro all’esclusione dalla misura.
Ma in tutto questo, tante sono le perplessità, perché la preoccupazione possibile è che la metà del reddito di cittadinanza possa andare nelle casse degli evasori. Lo sostiene la Cgia di Mestre, secondo cui è possibile ipotizzare che circa la metà della platea dei teorici destinatari di tale misura potrebbe essere composta da persone che lavorano in maniera irregolare. E visto che per l'anno in corso ai beneficiari del reddito di cittadinanza il governo erogherà 6 miliardi di euro, verosimilmente la metà della spesa, pari a circa 3 miliardi, potrebbe finire nelle tasche di persone che non ne hanno diritto.
Infatti, come spiega il coordinatore dell’Ufficio studi, Paolo Zabeo: “a causa dell'assenza di dati omogenei relativi al numero di lavoratori in nero presenti in Italia che si trovano anche in stato di deprivazione, non possiamo dimostrare con assoluto rigore statistico questa tesi. Tuttavia, vi sono degli elementi che ci fanno temere che buona parte dei percettori del reddito di cittadinanza potrebbe ottenere questo sussidio nonostante svolga un'attività lavorativa in nero, sottraendo illegalmente alle casse dello Stato un'ingente quantità di imposte, tasse e contributi previdenziali. L’amministrazione pubblica, al netto delle misure di contrasto previste, sosterrà con il reddito di cittadinanza un pezzo importante dell’economia non osservata”.
Per giungere a queste conclusioni, la Cgia è partita dai dati Istat, secondo cui ci sono poco meno di 3,3 milioni di occupati che svolgono un'attività irregolare. E se da questo numero si detraggono chi non ha i requisiti per accedere al sussidio, si ottengono circa 2 milioni di persone impiegate nel sommerso. Vale a dire la metà dei 4 milioni che il governo stima percepiranno il reddito di cittadinanza.
Con la diffusione dell'economia sommersa si rischierà che a rimetterci non è solo l'erario, ma anche le tantissime attività produttive e dei servizi, le imprese artigiane e del commercio.
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