S’intitola "Avanza un’ora di luce", è la nuova silloge del poeta catanese Enzo Cannizzo pubblicata da Algra nella prestigiosa collana, “Ginestra dell’Etna”, diretta da Maurizio Cucchi e Antonio Di Mauro.
Cancellato il lenitivo inane di ogni nostalgia, squadrato il disastro, la desolazione, è esausta questa luce: ne ha fatto il poeta nome, ha ridotto “le carni in ceppi tra i fonemi”. E continua a procedere “lungo la sua eco / conclusa tra le pagine” – come già sotto il cielo che pendeva dai lampioni – ora sotto la loro “ombra / cava”, affievolita tra macerie surreali, smorzata. Ché l’occaso, diaccio, non si prende cura di nessun assalto. Ci fu mai l’abbaglio? Dove campano i “superstiti all’eclissi”? Pomo amaro ingoiato, il latte suo ribevuto: riversato in parola: in marcia luce e voce che stringe, strozza: nomina, nomina ancora, pesa: corpo diventa: diventerà liquame, “vitello disceso alla palude / alla malaria all’arsenico alla crepa”. Dice il poeta di essere andato incontro a un viatico di paure in tempi costretti, di taluni entusiasmi – rivelatisi bui, pur cantabili, in una “radice… / recisa… / veloce di lama”; incontro a promesse di apocalissi a basso consumo, senza palingenesi, senza fiamma. Dice pure di essersi portato a incursioni talmudiche in un teatrino distopico – le quinte: la città, l’isola, vuote, febbrili, sincopate, insonni, mute, recluse: stremate d’infamie – con i nomi in trepida carrellata (“i segni gli alfabeti il lampo / la drupa le selci il niobio”) fino alle soglie delle risorse assassine nella stagione terminale della tecnica furiosa: dove il minerale, come il volto slabbrato dal vento “a straccio, a fola”, smette il suo essere “pietra cava / orma fossile” e diviene metallo: chimico elemento, lamiera o traliccio contorto arrugginito: sepolta assieme alle parole, bruciata, ogni reminiscenza del grano: “trebbia arenata // spiaggiato cetaceo d’acciaio / in atra secca tra ruggine memoria / fame infamia formento forasacco”. Dice ancora di non sapere se questa sia poesia o condizione: tempospazio (“ora cava / serrata lama”) nel quale libertà e prigione coincidono nella necessità di ordinare l’amorfo ricevuto (“cubozoi di calcestruzzo filamenti / fosforo bitume rifrazioni”) e accoglierlo insieme alla propria discordanza (…).
(da “Schegge di luce residua”, prefazione di Miguel Ángel Cuevas)
Un estratto da libro:
Slacciata la cintura di sicurezza, raccolse in un sospiro tutta la fatica del viaggio.
La luce morente dell’androne, la puttana tossica che prometteva il paradiso, l’abito stazzonato, la gente, la gastrite.
Sentì di essere vecchio, troppo vecchio, per quel genere di cose.
Il suo ultimo atto, dicono, fu dettare ai profeti una nuova alleanza.
L'Autore, Enzo Cannizzo è nato a Catania nel 1970, dove vive e lavora. Già libraio, da alcuni anni è impegnato nella gestione del wine bar Città Vecchia, all’interno del quale organizza reading di poesia e rassegne culturali che vedono la presenza di figure di rilievo, o appena emergenti, del panorama artistico e letterario. Sue poesie sono apparse in un quaderno collettivo edito da Neon. Alcune liriche presenti in questa raccolta sono state volte in Castigliano dal poeta e italianista dell’Università di Siviglia Miguel Ángel Cuevas.
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