Mandorla è una bimba orfana, la madre è appena morta e il padre non l’ha ancora mai conosciuto. Viene adottata dai condòmini di un intero stabile della periferia romana. Così prende le mosse il nuovo romanzo di Chiara Gamberale anche quest’ultimo, Le luci nelle case degli altri, edito da Mondadori, è attraversato da guizzi vitali che lo rendono memorabile. I personaggi e le storie della scrittrice e conduttrice radiofonica – Io Chiara e l’Oscuro su Radio2 Rai - pervadono i lettori per lungo tempo: “La mia grande ossessione e il mio unico hobby sono le persone: sentivo l'impellenza di scrivere un romanzo che mettesse in scena quanto ognuno di noi si formi e magari si deformi attraverso il rapporto con gli altri. A cominciare dai propri genitori, naturalmente. L'idea del giallo emotivo, così come il titolo, è arrivata per conto suo: io l'ho seguita, curiosa e un po'intimorita...", spiega l'attrice in questa intervista. Le luci nelle case degli altri, un bellissimo titolo per un romanzo che ti lascia affondare in una storia di grande fascinazione.
"I titoli, come tutte le idee, ti vengono a trovare: e se senti, di pancia, che ti riguardano, allora restano". Per scrivere ha bisogno di isolarsi?
"Questo romanzo sono riuscita a finirlo su un'isola greca, fuori stagione, solo io e quattro capre. Sono diventate mie buone amiche".Si è ispirata alle figure e all'atmosfera del vecchio quartiere romano di Poggio Ameno?
"Poggio Ameno, nel romanzo, è una specie di non luogo o di luogo dell'anima, dove i personaggi sono messi nelle condizioni di esprimere le loro psicologie e la loro interiorità fuori da un contesto che le influenzi o le determini troppo. Nella mia vita, poi, Poggio Ameno è l'unico posto dove mi sia mai sentita a casa". Lei si è appena trasferita altrove, come influisce un evento simile sulla creatività di una scrittrice?
"Dato il mio attaccamento viscerale per Poggio Ameno, il trasloco è stato un evento traumatico prima di tutto per la persona. La scrittrice vedremo che ne farà, di questo trauma. Per il momento si guarda intorno disorientata".In Filumena Marturano ci sono tre ragazzi, di cui uno è figlio di don Domenico Soriano, ma la madre non rivela quale. Un escamotage per spingere l’uomo ad occuparsi di tutti e tre, con amore paterno. Si è ispirata a Eduardo De Fillippo per la vicenda di Mandorla?
"Ora che ci penso alcune suggestioni in comune ci sono, anche se la ricerca di Mandorla sembra essere quella del padre, e senza dubbio in un certo senso lo è. Ma soprattutto è quella di un'identità personale". La storia sembra un inno alla famiglia allargatissima, è così?
"Più che altro è un inno a una specie di democrazia sentimentale: oggi non abbiamo più un solo modello di famiglia con cui confrontarci e ognuno di noi può e deve capire chi è per poi capire quale modello gli è più congeniale. Nel condominio di Mandorla ce n'è per tutti i gusti. Ognuno sperimenta un modello diverso e nel corso della storia di ritroverà a confermare o a modificare la sua scelta".
Come vive l'oscurantismo tutto italiano che ignora la realtà delle famiglie di fatto, non riconosciute legalmente?
"Con molta inquietudine. Non c'è mica da decidere se quelle coppie esistono o no! quelle coppie esistono, punto. Bisogna assolutamente prenderne atto. Negli occhi incantati ma feroci di Mandorla che osserva tutto questo, esprimo l'incredulità nei confronti di tutta una serie di arretratezze sociali e civili inconcepibili".Nella storia c’è una coppia di omosessuali. Berlusconi ha detto a gran voce agli italiani che è meglio frequentare le ragazze 'allegre' che essere gay. Come ha reagito?
"Ero a pranzo con un mio caro amico gay, quand'è arrivata la notizia. Credo sia una di quelle frasi che dà un'informazione più sul mittente che sui contenuti". La narrativa ha il potere di contribuire a cambiare le coscienze?
"Io ci credo. Non solo come scrittrice, anche e forse soprattutto come lettrice".
Fonte: tiscali
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