Il primo tifoso ucciso è stato Augusto Morganti in un lontano maggio del 1920 a Viareggio. L'ultimo è il vicentino Eugenio Bortolon precipitato dalle gradinate dello stadio di Parma sempre a maggio ma del 2009. Tra queste due morti, tante storie tragiche di tifosi scomparsi per scontri, per imperizia o per stadi inadeguati. Lo sport più amato dagli italiani, il calcio, si è sporcato di sangue, si è fermato per un breve lasso temporale e poi è ripartito come se niente fosse. In controtendenza rispetto alla filosofia de "lo spettacolo deve andare avanti costi quel che costi" e a ricordare quelle morti c'è il libro Cuori tifosi (Sperling & Kupfer, 2010). Il giornalista Maurizio Martucci ha fatto un'inchiesta analizzando caso per caso le tragedie legate alla storia del "dio pallone". "E' un libro che può abbattere la ghettatizzazione dei tifosi ed eliminare una unitile contrapposizione con chi deve amministrare e dirigere questa parte di società civile", spiega il giornalista romano.Martucci, il problema delle morti negli stadi o legate al calcio ritorna sistematicamente nella storia d’Italia. E’ una casualità o c’è una carenza strutturale nell’organizzazione degli eventi sportivi e nel rapporto con i tifosi?
"C’è una sottovalutazione culturale. Tutto nasce dal presupposto sbagliato che tutto quello che ruota intorno al calcio vada ricondotto a una performance sportiva e agonistica. Non è così. Quello che accade intorno al rettangolo verde è un fenomeno di carattere sociale. Cuori tifosi partendo dal 1920 e, attraverso uno spaccato di storia contemporanea, arrivando al 2009 dimostra che tutti i fenomeni legati al mondo del calcio sono di carattere sociale. I primi caduti, quelli degli anni Venti e Quaranta, sono stati inseriti nel contesto storico tra la Prima e la Seconda guerra mondiale. Lo dimostra il fatto che il morto di Perugia del 1946 è un soldato polacco che si trovava in Italia dopo la fine della Seconda guerra mondiale, mentre il primo morto del calcio nel 1920 si chiamava Augusto Morganti ed era un combattente del primo conflitto mondiale. Questo testimonia il fatto che gli spettatori, i tifosi, il pubblico sono realtà di carattere sociale ed entrano in un contesto calcistico solamente perché sostengono una squadra".Cosa intende dire?
"Nel momento in cui si siedono sugli spalti o si riuniscono in forme di tifo più o meno organizzato rispondono a logiche di carattere sociale. Qui entrano in gioco le metodologie di prevenzione, di gestione e di tutela dell’ordine pubblico e queste responsabilità ricadono sui ministeri, le prefetture e le questure. Ogni qualvolta si è cercato di approcciare a questi fenomeni, si è sempre sbagliato perché lo si è fatto con cecità. Si è puntato l’indice contro i giovani, contro i tifosi ma non si è mai cercato di capire come purtroppo accadono certi fenomeni che arrivano alla cronaca nera".Il suo libro è fatto di tante piccole storie tragiche che investono sia i tifosi che le loro famiglie. Quale di queste storie l’ha maggiormente colpita e perché?
"Parto dal presupposto che, come compare nella copertina di Cuori tifosi, la morte è uguale per tutti. Ogni morte va rispettata perché è un dramma infinito per chi ha sofferto e per quei familiari che continuano a piangere. Detto questo, voglio ricordare la morte di Giuseppe Plaitano a Salerno perché è qualcosa di sconvolgente per vari motivi. Questa morte risale al 28 aprile 1963 in concomitanza con le elezioni politiche. Questo signore stava assistendo a una partita seduto in tribuna e per una maldestra operazione di pubblica sicurezza gli è arrivata una pallottola in mezzo alla tempia. La causa di questa morte è però stata cambiata e fatta passare per lo schiacciamento emitoracico, come se Plaitano fosse morto in una rissa. E' scomparso il fascicolo processuale, non si è celebrato mai un processo, non è stata aperta nessuna inchiesta nei confronti del poliziotto che aveva sparato. C'è una rivolta popolare a Salerno, con la bara di Plaitano che è stata portata sotto la questura con la gente che urlava: 'giustizia, giustizia'. Sono passati 47 anni ma sembrano 47 secoli".Va bene, ma perché l’ha colpita rispetto alle altre?
"Mi ha colpito particolarmente perché dimostra che i mali cosiddetti all’italiana, cioé tipici della nostra mentalità, sono sempre gli stessi. Oggi come allora si tende a depistare, a voler parlare d’altro, a coprire e a creare zone poco chiare. Tutta questa situazione ha delle analogie con la vicenda di Gabriele Sandri, ma c'è una sostanziale differenza. Attraverso un grossissimo sforzo di comunicazione e controinformazione e nonostante il lodevolissimo senso civico da parte dei testimoni l'esito della vicenda del tifoso salernitano è stato completamente diverso. La vicenda di Giuseppe Plaitano rispetto a quella di Gabriele Sandri ha un esito pazzesco e folle. E’ una morte abbandonata, ancora oggi c’è un figlio che piange un padre senza un motivo e senza avere avuto giustizia".Analizzando tutte le storie dei “caduti del calcio” ritiene che quelle di Plaitano, Paparelli, Filippini e gli altri siano considerate morti di serie B?
"Sono considerate morti di serie C perché prima di Cuori tifosi non esisteva un tracciato di storicizzazione. A differenza di quanto accade con le morti bianche sul lavoro o dei caduti delle due Guerre mondiali o degli Anni di Piombo. E ancora di tante altre morti contemporanee come Meredith oppure Garlasco che presentano una pubblicistica fiorente e una storicizzazione viva di quei passaggi storici. Anche se il calcio è una delle industrie più importanti a livello nazionale, si è sempre parlato poco delle morti del calcio e quando è stato fatto si è cercato di strumentalizzare e creare audience e non per ragionare e creare un terreno di condivisione e pacificazione. Il mio libro colma questo vuoto culturale e vuol fare vedere che queste non sono morti di serie C ma hanno pari dignità con gli altri decessi avvenuti per mano violenta o per imperizia sul lavoro. Non sono vite diverse e hanno lo stesso valore".Lei ha pubblicato recentemente anche Football Story, musei e mostre del calcio nel mondo.
"E' un nuovo percorso che viaggia parallelo a Cuori tifosi perché crea la cultura sul passato e la storia del calcio. Sono due percorsi paralleli, ma convergenti. Il calcio sta vivendo una crisi d'identità profondissima. Il cosiddetto 'neocalcio', il 'calcio moderno' o 'calcio business' sta tracciando uno spartiacque con la società civile. Con la tesserea del tifoso si sono creati i tifosi virtuali, tifosi da televisione e tifosi da prodotti commerciali. Se vogliamo salvaguardare la radice storica e la tradizione del calcio, non possiamo prescindere da chi purtroppo ci ha lasciato la vita e da chi per 150 anni ha reso questo sport un fenomeno popolare e non un prodotto commerciale".
Fonte: tiscali
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