Gideon Levy è un giornalista ebreo ed israeliano che, alla fine del 2008, non è riuscito ad entrare a Gaza per raccontare l’operazione militare denominata Piombo Fuso. Ad impedirglielo non sono stati i giovani palestinesi o i miliziani di Hamas, ma il governo di Tel Aviv. Levy infatti è un reporter che quando parla della politica israeliana a Gaza usa parole come "guerra inutile" e quando si rivolge ai media della sua nazione li accusa di "disumanizzare e demonizzare" i palestinesi. Levy ha offerto il suo contributo a favore della pace nel documento di Reporters sans frontières su Piombo Fuso, l'attacco che tra il dicembre del 2008 e il gennaio del 2009 ha portato alla morte di 1342 palestinesi, la maggior parte dei quali civili, e 13 israeliani. I documenti con la ricostruzione dettagliata di questa mattanza è contenuta in Gaza. Il libro nero (Lantana editore, 2011). Reporters sans frontières ha raccolto e pubblicato i documenti delle organizzazioni non governative sia israeliane che palestinesi che hanno denunciato gli orrori di questa guerra improvvisa e per molti versi del tutto immotivata. Il quadro apparso già in quei giorni desolante, assume contorni ancora più sinistri. Come, ad esempio, l’attacco deliberato e voluto contro i civili palestinesi definito da Camille Mansour la "dottrina Dahyia" dal nome del sobborgo di Beirut devastato nel 2006 per dimostrare che Israele può colpire chiunque anche lontano da un campo di battaglia.
Un macabro bilancio di uno a cento - Propaganda anti-israeliana con venature nascoste di antisemitismo potrebbe opporre qualcuno, ma i numeri nella loro freddezza lasciano poco spazio alle interpretazioni. Dai documenti emerge che su 1342 palestinesi uccisi tra il 27 dicembre del 2008 e il 18 gennaio 2009, 235 non avevano compiuto i 16 anni e un centinaio erano donne. Il 66 per cento dei caduti erano civili. Israele invece nel conflitto ha perso 13 uomini. Il rapporto di uno a cento nel macabro bilancio non ha incrinato la posizione di Israele sintetizzata da una affermazione del maggiore Avital Lebovich al Washington Post: "Tutto ciò che è legato ad Hamas è un obiettivo legittimo". Difficile dire chi sia slegato da Hamas tra gli oltre 1.400.000 abitanti concentrati in una striscia di terra lunga quaranta chilometri, larga cinque e stretta sotto il blocco delle truppe di occupazione israeliane.
Moralità da fosforo bianco "made in Usa" - A distanza di due mesi dalla fine di Piombo fuso il giornale di sinistra israeliano Haaretz pubblica le interviste ad alcuni soldati israeliani che ammettono l’omicidio di civili durante l’operazione. Ma il ministro della Difesa Ehud Barak, dopo aver autorizzato l’apertura di un’inchiesta, afferma senza mezzi termini: "L’esercito israeliano ha il livello di moralità più alto al mondo". Una moralità che il ministro non mette in discussione neanche dopo la denuncia di Amnesty International sull’utilizzo da parte di Israele di armi al fosforo bianco. Le armi, per dovere di cronaca, sono state fornite dagli Stati Uniti nonostante le disposizioni legislative americane vietino questo tipo di aiuto a stati che commettano regolarmente violazioni di diritti umani.
Il pugno duro di Hamas - Anche Hamas non è esente da gravi responsabilità. La Commissione indipendente per i diritti umani ha raccolto diverse testimonianze di torture e omicidi perpetuati da miliziani palestinesi nei confronti del loro stesso popolo. Hamas ha utilizzato il pugno di ferro per controllare il potere e nel suo mirino sono finiti i militanti di Al Fatah e gli ex responsabili dell’Associazione nazionale palestinese. Con l’accusa di “collaborazionismo” con Israele sono stati feriti o uccisi diversi oppositori politici di Hamas e semplici cittadini. Anche i razzi che Hamas fabbrica in proprio o acquista di contrabbando dall’Egitto sono stati causa di morte da fuoco amico tra i palestinesi.
Fonte: tiscali
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