È deflagrato in questi giorni l’ennesimo scandalo calciopallico. Nel regno di Eupalla da tempo c’era del marcio, lo si sapeva, soprattutto nelle serie minori, là dove è più facile ungere e corrompere calciatori spesso all’ultima spiaggia, affamati di pecunia più che di gloria.
Oggi sul banco degli accusati ci sono le scommesse, favorite dall’espansione della rete telematica sempre più sofisticata, un sottobosco infinito e desolante, ennesima violazione delle leggi in questo nostro povero e triste paesello. Si è messa in moto la farraginosa macchina della divina giustizia, e prima o poi sentenza arriverà, almeno sul piano ‘sportivo’. Rimane in noi il disgusto, la voglia di dire basta per quest’ennesima presa per i fondelli. Anche per queste ragioni giunge propizio un libro fortemente voluto e ora affettuosamente curato dal rabdomante Massimo Raffaeli, che ha recuperato pagine giornalistiche ingiustamente dimenticate (“non c’è nulla di più inedito della carta stampata” avrebbe sentenziato il grande padre Gianni Brera).
Roma, autunno del 1965, si presenta alla redazione romana del “Corriere dello [leggi tutto ...] Sport” un uomo in cerca di solidarietà e soprattutto di qualcuno che abbia voglia di ascoltarlo. Il direttore Antonio Ghirelli lo presenta a un allora giovane cronista, Mario Pennacchia, che per giorni e giorni raccoglie pazientemente il suo sfogo, stentando a credere che quella che gli viene raccontata sia la verità. Quell’uomo, dall’aspetto trascurato è stanco, altri non è che Giuseppe Moro, ex grande portiere, tante maglie sulle spalle, carriera prima brillante poi in chiaroscuro poi in nero profondo. Persino 9 presenze in azzurro, una partita da incorniciare, Inghilterra-Italia del novembre 1949; specialità: parare i rigori. Giocatore estroso come sono solo i portieri, uomo con alcuni pregi e tanti difetti, mani bucate e bella vita in primis. Tradito dal suo carattere spigoloso e irrequieto, si scontra con allenatori e dirigenti, e infine nel mondo del calcio italiano sembra non esserci più posto per lui. Va ad allenare in Tunisia, ogni tanto ritorna in Italia a bussare a qualche porta in cerca di aiuto. Ha voglia di parlare, di raccontarsi quell’uomo un tempo famoso ora in serie difficoltà economiche, costretto all’esilio africano per sfamare la famiglia. Ha tanta voglia di parlare, un po’ per vendicarsi, soprattutto per discolparsi da accuse infamanti (appunto la corruzione), per gridare al mondo la sua storia, prima favolosa, poi discussa, ora disperata. Il giovane giornalista ha tempo e voglia di ascoltare. Ne usciranno dieci puntate, pubblicate in "Terza pagina" e seguite dai lettori come un romanzo d'appendice, la parabola d’un uomo, l’affresco impietoso d’un ambiente calcistico e sociale da mettere i brividi, dove la parola riconoscenza sembra essere stata cancellata, dove domina incontrastata l’ipocrisia e la reticenza. Moro morirà a Porto Sant’Elpidio il 27 gennaio 1974, ad appena 53 anni.
Fonte: tgcom
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