Lavoro sui generis Storie di ordinaria ingiustizia (Mondadori), l’ultimo della giornalista Ilaria Cavo, cronista giudiziaria di punta di Matrix (Canale 5) e del settimanale Panorama. Infatti con i lavori precedenti l’autrice ci aveva abituato ai grandi casi di cronaca nazionale, da Anna Maria Franzoni al serial killer Donato Bilancia. Invece in quest’ultima sua fatica la Cavo si cimenta con i casi di “malagiustizia” che sempre più spesso balzano sulle pagine dei giornali. Quando si tratta di vip della politica o dello spettacolo, le storie di ordinaria ingiustizia assurgono a paradigma dei casi assurdi, di vite stritolate dai meccanismi giudiziari e diventano occasio belli del dibattito sulla giustizia italiana.
Ad esempio, il caso che vide coinvolto Enzo Tortora fu il crocevia italiano della malagiustizia, della giustizia spettacolo e della degenerazione dell’utilizzo dei pentiti delle principali organizzazioni criminali di questo Paese. Quello sulla malagiustizia è un discorso rischioso, da “filo del rasoio”. Da un lato del crinale c’è il rischio di denunce spuntate dal corporativismo delle toghe, da una sostanziale irresponsabilità di chi sbaglia “in nome della legge” e da una volontà ritorsiva. Dall’altro lato però c’è il rischio di una squalifica morale dell’intera classe togata; squalifica che sarebbe ingiusta e antistorica in considerazione del fatto che i magistrati sono stati in prima linea in momenti terribili della storia italiana come il terrorismo politico, l’assalto della mafia alle Istituzioni repubblicane, Tangentopoli.
Ciascuno dei capitoli del libro di Ilaria cavo è un racconto pacato, basato sui fatti, da vera cronista qual è l’autrice. Marcello Maganuco, pr di 19 anni di Gela, è rimasto due anni in carcere per traffico di droga. Delle intercettazioni telefoniche mal interpretate dagli inquirenti lo fecero entrare in un tunnel da cui è uscito solo dopo le ferite perenni di una detenzione ingiusta. Ma la battaglia di Marcello non si è fermata all’assoluzione, visto che lo Stato non intende risarcirgli ciò che ha patito sulla pelle.
L’ingegner Ennio Paolucci, dirigente dell’Anas, ha subito 22 processi. Ogni volta che cadeva un masso su un’auto o che si verificava un incidente che implicasse una responsabilità di un cantiere, è stato rinviato a giudizio con l’accusa di omicidio colposo, omissione d’atti d’ufficio, fino all’accusa più grave, per concussione. Uno dei processi in cui è stato imputato è durato 12 anni prima della sentenza di assoluzione.
Persone normali, che ricordano l’Alberto Sordi che nel film Detenuto in attesa di giudizio del 1978, vestì i panni del geometra romano Giuseppe Di Noi emigrato in Svezia che, una volta rientrato in Italia per un viaggio di piacere, viene arrestato per un’assurda vicenda giuridica. L’uomo conosce le umiliazioni di un apparato giudiziario autoreferenziale e ligio a una cieca applicazione della legge. Ilaria Cavo con “Storie di ordinaria ingiustizia” ha il merito di ridare voce ai Di Noi dimenticati negli archivi giudiziari.
Fonte: tgcom
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