"Una bischera che va volentieri a scuola". Si definisce così Antonella Landi, la "profe", come la chiamano i ragazzi a cui insegna. Diciannove anni di esperienza sul campo, e le critiche alla scuola non mancano, "ma vanno ben distribuite". I suoi bersagli sono inediti, a cominciare dai colleghi, che "in molti casi dovrebbero cambiar mestiere". New entry tra le categorie "colpevoli" di mandare a rotoli la scuola, i genitori, come svela il titolo del suo ultimo libro, edito da Mondatori, in uscita domani 5 ottobre: "Tutta colpa dei genitori".
Perché i genitori?
Le faccio un esempio. Una ragazza torna a casa e dice: "Mamma il prof di filosofia mi ha dato 3", e lei risponde: "Quello di filosofia è un deficiente, ora vado a parlarci io". E magari potrebbe essere l’occasione per dire che "gli insegnanti sono degli scansafatiche, rubano lo stipendio".
Sono affermazioni forti…
Sono gravissime, svalutano la scuola. In un colpo solo si distrugge un castello che cerchiamo di costruire giorno per giorno, fatto di rispetto e considerazione. Nel ruolo di educatori, non dovrebbero esserci contrapposizioni tra le categorie “insegnanti” e “genitori”, siamo tutti adulti e dovremmo essere il loro punto di riferimento.
Non è sempre stato così?
Una volta mi sentivo sostenuta, affiancata, benvoluta. Ora invece mi devo continuamente giustificare, devo difendere le mie posizioni, senza la collaborazione dei genitori.
Cosa è successo nel frattempo?
I tempi sono cambiati, il confronto con i miei non regge: sono diverse le famiglie, il mondo in generale. Però credo che i genitori dei punti fermi debbano conservarli. Vanno messi dei paletti, non dico uguali ai nostri, ma simili nella sostanza, "aggiornati".
Che tipo di paletti?
Le rispondo così: ricevere una pagella piena zeppa di insufficienze e essere portati in settimana bianca, quando i compagni restano a scuola per i corsi di recupero fatti proprio per lui. C’è un lassismo esasperato. Guidare un ragazzo nel suo sviluppo significa anche porre dei limiti, altrimenti è proprio lui il primo a sentirne la mancanza. Ci vogliono coerenza, serietà, impegno.
Sopravvive qualche buon esempio di modello educativo?
Per fortuna sì. Dai primi di settembre insegno in una classe superiore di trenta ragazzi cinesi, nessun escluso È un esperimento in cui crediamo, il contrario di una ghettizzazione. Nel mio libro parlo di ragazzi extracomunitari, ma solo dei pochi che avevo avuto in classe fino ad agosto. Con la full immersion di queste settimane lo riscriverei, arricchendolo di particolari.
Cosa la colpisce? Per questi ragazzi e per le loro famiglie la scuola ha ancora un valore arricchente. Nessun problema disciplinare, a differenza delle altre classi, in cui sono tutti o quasi italiani. Spesso per i nostri ragazzi la scuola è una sosta, un parcheggio, prima che inizi la vita vera. Non capiscono che invece comincia proprio qui.
Crede ci sia un legame tra possibilità economiche e valore che si dà alla scuola?
Non c’è una relazione causa-effetto, ma in qualche modo l’agiatezza economica ha un peso. I ragazzi stranieri non hanno tutto e subito, hanno tempi di attesa più lunghi, e li accettano. Al di là di questo, però, c’è proprio una diversa visione del mondo.
Lei cosa farebbe da genitore?
Non sono mamma per scelta. Anzi credo che proprio questo lavoro abbia contribuito alla mia decisione. Sentivo che non avrei avuto le energie necessarie per seguire un figlio come si deve. E stimo molto alcuni genitori di oggi che ce la fanno. Su due cose però starei attentissima: calibrare la loro autostima e non diventare loro amica. Ecco i due paletti dentro cui muoversi, per non riempire i ragazzi di ego, ma neppure mortificarli.
Però spesso il rapporto d’amicizia con i figli diventa motivo di orgoglio, quasi un traguardo…
Invece fa più danni della grandine. Ognuno deve fare il compito che è chiamato a svolgere.
Fonte: tgcom
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