“La vita è ciò che ti succede mentre tu progetti altro. […] Mi ripeto sempre che vivo nella parte fortunata del globo, nella parte in cui mi è permesso scegliere e allora, se posso farlo, io scelgo di lottare per la Felicità”. Con queste parole, che hanno l’eco di una promessa e la forza di un richiamo, ha inizio quello che può definirsi un viaggio verso l’ignoto, un racconto che è un gettarsi coraggioso alla vita con tutti i suoi imprevisti per costruire quel puzzle scomposto e misterioso che è la nostra esistenza.
“My Indian Trip. Quando non riesci a smettere di camminare” (207 pp., €13,00, Brigantia Editrice, 2013) è una storia che dialoga a metà tra la letteratura di viaggio e il romanzo introspettivo, il racconto in prima persona di un’avventura vissuta fisicamente e spiritualmente con addosso uno zaino di ricordi e di speranze.
Dario Pastore, autore e protagonista del libro, è un giovane esploratore della vita e del mondo, che tra una lezione di fitness e l’altra, nel centro sportivo di Palermo di cui è proprietario e istruttore, viaggia con lo zaino sulle spalle, una guida turistica e un piccolo notebook per scrivere e condividere le sue avventure. Così ha fatto il 16 gennaio 2011, quando decide di intraprendere un lungo e inaspettato viaggio in India con la promessa di un ritorno.
Come un piccolo Gilgamesh verso l’Oriente, così, si incammina verso il paese del Taj Mahal, del sari e di Shiva, quel mondo rumoroso, colorato, sabbioso e caotico che gli regalerà un’esperienza unica, raccontataci con brillante spontaneità nel corso di pagine appassionanti. L’origine del libro è un blog nato dal desiderio dell’autore di condividere gli istanti della sua esperienza intima, attraverso quel filo virtuale che accorcia le inevitabili distanze di chi si trova dall’altra parte del mondo. Ed è la silloge di quei post il giornale di bordo che ci rende spettatori e attori del cammino di Dario: 42 giorni a spasso per il mondo Indiano, Haridwar, Rishikesh, Dehradun, Delhi, Jaipur, i templi buddisti, il Gange, la spiritualità, le usanze e la “povertà felice” di un paese sorprendentemente saggio.
È una lunga storia di rubri tramonti, immersione nei sensi, bilanci sul passato e lavorio interiore: un viaggio fisico fatto di odori (anche cattivi), sapori, incontri ed emozioni, ma soprattutto spirituale guidato dalla voglia di stupirsi costantemente del mondo, raccontato in un linguaggio familiare, una scrittura parlata che non rinuncia a simpatici colloquialismi, sapientemente strutturati dalla cucina editoriale.
Un libro da leggere con leggerezza e su cui ritornare ad appassionarsi con ammirazione e curiosità. Una spinta ad affrontare se stessi, senza pensare di sottrarre del tempo agli investimenti materiali della vita, perché “il tempo e l’energia spesi per la costruzione del tempio interiore sono un diritto e un dovere di ogni uomo che voglia riuscire a sentire e apprezzare la sacralità della propria esistenza”.
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