"E a Capaci il 23 di maggio fu l’inferno. Da Roma e da Ciampino avvisarono, a Palermo seppero. La mafia che appare muta fa volare la parola attraverso i muri, i popoli e gli oceani". Con queste parole Nando dalla Chiesa racconta la strage di Capaci del 23 maggio 1992 nel suo nuovo libro intitolato "Una strage semplice".
Nando dalla Chiesa, oltre che figlio del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, assassinato il 3 settembre del 1982, è professore ordinario di Sociologia della Criminalità Organizzata all’Università degli Studi di Milano e dirige l’Osservatorio sulla criminalità organizzata. È presidente onorario dell’associazione "Libera" nonché della Scuola di formazione "Antonino Caponnetto". La sua è una testimonianza che persegue una prospettiva “diversa”.
"Capaci, e la sua continuazione, via D’Amelio: una strage in due tempi -spiega dalla Chiesa- quando il Paese sembrò impazzire. Mentre Milano osannava i giudici, a Palermo terribili immagini di guerra ne raccontavano la carneficina".
Due Italie all’apparenza lontane e, invece, segretamente vicine. "Quella che portò a morte prima Giovanni Falcone e poi Paolo Borsellino fu una strage semplice, frutto di una logica lineare. Che vide convergere Sud e Nord, economia e politica. Che prese la rincorsa all’inizio degli anni Ottanta per conto della mafia palermitana e giunse all’appuntamento di dieci anni dopo, in rappresentanza della paure e dell'ostilità di un intero sistema illegale".
"Su ogni cosa -ricorda ancora dalla Chiesa- l’incubo che il giudice più odiato da Cosa Nostra potesse guidare una struttura nazionale di indagini, da lui ideata, e colpire i crescenti rapporti tra gruppi imprenditoriali d’avventura e capitalismo mafioso; tra mafia e appalti, tra criminalità finanziaria e complicità politiche. Questo è il contesto evidente, il contesto in cui tutto accadde".
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