Storia di un bastardo. Prigioniero delle proprie nevrosi e dell'ubriacatura di potere che lo ha ulteriormente peggiorato. Una giornata scandita dalla guerra quotidiana nel giornale di cui è diventato direttore, con vessazioni distribuite qua e là ai sottoposti, per poi tornare a casa a sognare una impossibile pulizia, scandita dal rapporto deviato con detersivi e disinfettanti. Fino a quando, in questa vita sterile e autosufficiente, entra la passione, o quella che per Valdo, inquietante protagonista di Non sto tanto male, libro scritto dal giornalista Gianni Zanata, edito da Quarup, dovrebbe essere la passione. Ne abbiamo parlato con l'autore.
Il Valdo di Non sto tanto male, cinico e nevrotico, è uno capace di far del male senza pentirsene. E si muove nell'ambiente giornalistico che lei conosce molto bene. Per scrivere questo libro ha in qualche modo somatizzato anni di frequentazioni professionali?
"Ho soltanto usato dettagli di un ambiente in cui lavoro da anni, ma nel giornalismo esistono buone persone, come in altri ambiti. Mi interessava sviluppare questa storia che è come una corda sempre più tesa man mano che la narrazione prosegue. In questo modo il potenziale detonante di Valdo cresce pagina dopo pagina, fino a quando la schiuma esplode ed esce dalla lavatrice, come nella copertina dl libro".
Un noir, dunque. Anche olfattivo, a questo punto?
"Sì, i ricordi del protagonista passano per odori chimici, dai detersivi che lo riportano all'infanzia, alla figura materna, fino alla bizzarra passione per gli ammorbidenti, che osserva con sguardo quasi folle mentre colano giù per il lavandino. Niente profumi di fiori o prati verdi, Valdo vive di emulazione e corsa quotidiana, tutto è emulazione in lui, anche gli odori riposanti. I suoi desideri nascono spesso dalla smania di potere, come quando si innamora di una ragazza, Bianca, che insegue, idealizza, sempre sfuggendo ad un vero contatto umano. Da una parte il desiderio di una vita pura, dall'altra la quotidianità fatta di soprusi, cocaina, tradimento degli amici e di quelli che erano i suoi più fidati collaboratori".
Una storia nera senza catarsi finale né lieto fine, ormai non più necessario alla letteratura, come ci ha detto a suo tempo Massimo Carlotto. Lei è d'accordo?
"Perfettamente, l'happy end forse ha un valore commerciale per altri generi letterari, non per questo. L'unico aspetto vagamente positivo del mio personaggio è un certo romanticismo infantile. Peccato che vada ad alimentare i suoi deliri. D'altra parte se la letteratura moderna, specie il noir, ritrae sempre più spesso personaggi negativi, lo fa come ripetitrice di una realtà in cui siamo immersi. Che non è, evidentemente, una realtà rassicurante. Nel mio libro c'è anche una tenue rievocazione dell'incontro del protagonista con un prete pedofilo".
Uno alla Don Seppia, per intenderci?
"Ecco, pensavo proprio a questo. Il prete che descrivo io è quasi un principiante dell'abuso rispetto a quanto è venuto fuori dai fatti di cronaca recente legati al religioso ligure. Come si fa a pensare ad un happy end di fronte ad una realtà del genere? Al massimo riesco a rifugiarmi nell'ironia, aiuta a sopravvivere. Nella vita come nella scrittura".
Fonte: tiscali
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