Ci sono giornalisti che camminano, quando va bene, a dieci centimetri da terra e non nascondono un’imperdonabile presunzione, inevitabile filtro tra loro e i fatti. Altri che, per attitudine naturale ed educazione, trasudano umanità e, aspetto non trascurabile, positività: tra costoro si annovera Paolo Conti, inviato speciale del Corriere della sera nonché titolare della rubrica di scambi epistolari con i lettori sulle pagine romane del quotidiano. Importante esperienza professionale, quest’ultima, che mantiene Conti a contatto con il cuore palpitante della Capitale. Solo lui poteva, dunque, scrivere 101 cose che dovrebbe fare un sindaco di Roma per migliorare la città e la qualità della vita (Newton Compton editore), libro dedicato alla città eterna, la caput mundi, ma più che altro una lunga dichiarazione di amore passionale, non priva di passionalità e accenti polemici, ai luoghi e ai personaggi che l’hanno resa grande e miserabile al contempo.
A giudicare da quello che scrive, Roma sembra popolata da furboni e approfittatori. E lei ha deciso di mettere il dito nelle sue piaghe…
"Sinceramente penso che ciascuno dovrebbe offrire il proprio contributo per migliorare la città in cui vive. Io sono un giornalista e penso che la mia quota di collaborazione possa venire dal lavoro che svolgo. Metto il 'dito nelle piaghe', come lei dice, ma con un intento chiaramente costruttivo e civile".
Che rapporto la lega alla città?
"Di autentico e straordinario amore. Sono legatissimo alla città in cui sono nato e dove affondano da almeno cinque generazioni le radici della mia famiglia. Però nutro anche un grande dolore quando la vedo male amministrata, difficilmente utilizzabile e spesso arresa a se stessa. La contemporaneità costringe a molti paragoni e Roma è una delle capitali europee in cui i servizi hanno una qualità purtroppo scadente".
Nel libro si rivolge a un sindaco ideale sottoponendogli 101 cose che non vanno a Roma. Se per incanto fossero risolte, proseguendo il giochino, potremmo dire che ce ne sarebbero almeno altre 101 o è ingeneroso pensarlo?
"Dipende dai punti di vista. Il mio è un elenco personale, quindi molto arbitrario e discutibile, ma chiunque abbia letto il libro alla fine ha ammesso di aver ritrovato in massima parte le problematiche vissute ogni giorno. Parlo di trasporti, inquinamento, manti stradali pieni di buche, verde storico maltrattato, potature opinabili. Insomma, ciò che ogni romano vede tutti i giorni camminando per la città".
Da cronista lei ha conosciuto tanti sindaci, da Argan ad Alemanno. Quali sono le doti che il ruolo richiede?
"Sicuramente una visione d’insieme e non di parte: chi diventa sindaco una volta eletto dovrebbe, a mio avviso, mettere da parte ogni senso di appartenenza politica per porsi dalla parte del cittadino, qualunque partito abbia votato. Poi dovrebbe avere un’idea di fondo del segno che intende lasciare sulla città, senza procedere per tentativi. Infine dovrebbe evitare la politica degli annunci a sensazione… facciamo un parco a tema sulla Roma antica! Lanciamo la Formula Uno all’Eur! Dovrebbe pensare piuttosto ai nodi storici da sciogliere. Un lavoro magari meno spettacolare ma molto più utile per la città".
Che idea si è fatto della parentopoli comunale che ha investito Alemanno?
"Un’idea terribile. Il centrodestra ha sfigurato l’immagine di una forza destinata a cambiare la città. Molto peggio della Prima Repubblica. Una vergogna per la città".
Scrivi che Veltroni è riuscito a far riaprire la Galleria Borghese con un pressing costante sul cantiere. Pensi che altre lentezze della Capitale si potrebbero risolvere con la cura Veltroni ?
"Veltroni è stato sindaco, ha lavorato bene ma nell’ultima stagione in Campidoglio è apparso assai meno deciso . Soprattutto molto attento ai temi che gli sono cari. Penso al lancio del Festival del Cinema di Roma. Altre questioni fondamentali, invece, non sono state risolte. Ma se penso al Veltroni più giovane, proprio quello che da ministro fece riaprire la Galleria Borghese grazie alla sua costanza e insistenza, provo un rimpianto profondissimo: fu una stagione entusiasmante".
Roma è abitata dai romani, non necessariamente romani de Roma come si dice, e frequentata da tanti stranieri… Chi arriva qui si adegua all’andazzo o subisce lo choc?
"Penso che lo choc iniziale sia pesantissimo. Un esempio tra mille: l’impossibilità di attraversare le strade sulle strisce pedonali senza correre il pericolo di essere investiti. E’ un’abitudine incivile da parte degli automobilisti; una vera vergogna per una capitale occidentale".
Che effetto le fa da romano sapere che il Colosseo è quasi pericolante?
"Di tristezza. Spero molto nell’appalto da 25 milioni di euro per il restauro, deciso dalla Soprintendenza speciale archeologica".
Ogni giorno risponde a una lettera tra le tante che arrivano alla sua rubrica sulle pagine romane del Corsera. Di cosa si lamentano in larga parte i concittadini?
"Arrivano moltissime lettere, il flusso è costante. Direi che i filoni sono semplici: traffico, trasporti; sanità; burocrazia, verde pubblico, sporcizia. I romani vorrebbero molto semplicemente un po’ di 'normalità'".
Come mai si parla poco di quanto è sudicia questa città?
"Veramente i nostri lettori si lamentano continuamente. E sono pronti a elencare tutti i disservizi di cui sono vittime. Pretendono dall’Ama una costanza e uno sforzo che, a mio avviso, in questo momento l’azienda non è completamente in grado di sostenere".
Un consiglio a chi stia decidendo di fare un week end a Roma, oltre a quello di leggere il libro?
"Sicuramente una visita obbligata ai musei Capitolini e, in queste ore, alla splendida mostra dedicata alle collezioni Farnese proprio a palazzo Farnese, veramente imperdibile. Poi una bella passeggiata a piazza Navona, a piazza del Popolo, a piazza di Spagna. Una scappata a villa Pamphilj, in assoluto il più bel parco di Roma. Una visita al Maxxi, il neonato museo di arte contemporanea del XXI secolo, capolavoro architettonico romano di Zaha Hadid. Ovviamente sono sicuro che è inutile suggerire di vedere San Pietro e il Colosseo".
Fonte: tiscali
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