"Il potere della Legge e di chi lo rappresenta è enorme, nel bene come però purtroppo nel male. Anzi nel male è tutto amplificato". Questa è la premessa che i giornalisti Alessia Lai e Tommaso Della Longa hanno voluto fare prima di avventurarsi nella spinosa inchiesta sui casi di cronaca nera che hanno coinvolto le forze dell'ordine negli ultimi dieci anni. Un tema spinoso perché nessuno stato e nessun governo può permettersi di avere al proprio interno anche un solo tutore dell'ordine "poco fedele" perché verrebbe minato quel rapporto inscindibile che lega Legge e Giustizia. Non è piacevole vedere poliziotti o carabinieri imputati per abuso di potere o per omicidio. Ma non è tollerabile vedere mamme in lacrime e famiglie distrutte a causa di quegli abusi. Nel testo Lai e Della Longa analizzano non solo i "casi" più noti come le morti di Carlo Giuliani, Federico Aldovrandi, Gabriele Sandri e Stefano Cucchi ma anche altri episodi relegati nelle cronache locali e sconosciuti alla maggior parte degli italiani. I due giornalisti hanno dato voce anche ai rappresentanti delle forze dell'ordine denunciando le condizioni di lavoro critiche in cui operano. Il risultato della loro inchiesta è il libro Quando lo stato uccide (Castelvecchi editore, 2011).
Alessia Lai, Tommaso Della Longa come nasce l’idea di scrivere un libro che nella sostanza è un forte atto d’accusa nei confronti delle forze dell’ordine italiane?
Tommaso Della Longa: "Ci conosciamo da molto tempo, siamo entrambi giornalisti con un’esperienza “di stadio” e movimentismo. Un vissuto che nel nostro lavoro ci ha portati spesso, per testate e in occasioni diverse, ad occuparci di ordine pubblico e di questioni che riguardavano abusi commessi nel nostro Paese delle forze dell’ordine. Per anni ci siamo confrontati, tra amici, su questi argomenti, ma è stato dopo i due casi più eclatanti, quelli di Gabriele Sandri e Stefano Cucchi, due ragazzi che vivevano nella stessa città nella quale viviamo e lavoriamo noi (Roma ndr.), che ci è venuto in mente di far diventare le nostre discussioni un canovaccio per il libro".
Prima di arrivare agli episodi di cronaca nera, voi fate un’ampia premessa citando la legislazione e l’organizzazione del servizio di ordine pubblico. Era importante richiamare le regole?
Alessia Lai: "Fondamentale. Non volevamo rischiare di cadere nel puro e semplice atto d’accusa senza andare a scandagliare quali norme e comportamenti rendono possibile e difficilmente punibile l’abuso. C’è, nel nostro Paese, una legge ben precisa, la Legge Reale, che disciplina l’uso delle armi e di altri strumenti coercitivi da parte degli agenti di pubblica sicurezza. Una norma arrivata a noi con un’impostazione figlia degli anni dell’emergenza terrorismo mai modificata anche in virtù di un terrorismo 'nuovo', quello internazionale".
Nel "faccia a faccia con la Polizia" denunciate anche i problemi che poliziotti e carabinieri incontrano nello svolgimento del loro lavoro.
Tommaso Della Longa: "Certo. Proprio per evitare di fare un 'dossier' contro polizia e carabinieri senza andare a sentire i diretti interessati abbiamo deciso di intervistare i sindacati delle forze dell’ordine. Una specie di 'diritto di replica' a fronte di una indagine che non mette certo in buona luce l’operato di certi rappresentanti della categoria. Abbiamo così fatto luce sul disagio nel quale spesso gli operatori di polizia si trovano a dover lavorare, in costante carenza d’organico e con retribuzioni inadeguate. Non è un’esimente per coloro che abusano del proprio potere, ma fa pensare al fatto che spesso, in occasioni di manifestazioni sindacali, da una parte e dall’altra degli scudi ci siano persone che lamentano gli stessi problemi".
Nella vostra inchiesta voi analizzate casi molti diversi. Dato che non sembra esserci una strategia, l’unica cosa che sembra unire le morti di Giuliani, Aldrovandi, Sandri e Cucchi è il tentativo di minimizzare e in qualche modo tutelare gli autori dei reati?
Alessia Lai: "Sì. Sono fatti casuali diventati tragedie per un incrociarsi di eventi che purtroppo accadono molto più spesso di quanto si pensi. I pestaggi durante un arresto, un poliziotto che spara durante un inseguimento, il disinteresse nei confronti di un detenuto che sta male sono fatti all’ordine del giorno in Italia. Ma ce ne accorgiamo solo quando 'ci scappa il morto' e spesso nemmeno allora. Dal 2000 ad oggi abbiamo contato altri quattordici casi, oltre a Giuliani, Aldrovandi, Sandri e Cucchi, nei quali queste pratiche hanno causato la morte di una persona disarmata. Il minimo comune denominatore è il tentativo, da parte dei corpi ai quali appartengono i responsabili dell’omicidio, di ridurre tutto ad un errore, a qualcosa di involontario, di non calcolato. In alcuni casi, quello di Federico Aldrovandi ad esempio, è stato addirittura dimostrato il tentativo di insabbiamento. Del minimizzare spesso sono responsabili anche i magistrati incaricati delle indagini, che tendono a considerare normale e giustificato l’uso della forza da parte di polizia e carabinieri".
Dietro a questi casi di cronaca nera che hanno conquistato le pagine dei quotidiani di stampa nazionali ci sono molti casi di abusi locali.
Tommaso Della Longa: "Ce ne sono tanti. Siamo arrivati fino al 2000 nel cercare di reperire notizie sugli abusi di polizia e carabinieri nei quali è stata registrata la morte della vittima. Nel nostro criterio di indagine abbiamo considerato le persone disarmate per evidenziare l’arbitrarietà con cui i responsabili hanno agito. In un solo caso abbiamo parlato di un sopravvissuto, Rumesh Raigama Achrige, ma perché questo diciottenne comasco è stato raggiunto da un colpo di pistola esploso a bruciapelo che ha causato gravissimi danni permanenti. Dietro ad ogni caso ci sono famiglie che solo in rare occasioni hanno ottenuto giustizia, la grande maggioranza di queste ha visto archiviare le indagini e tornare nelle strade chi aveva ucciso loro un figlio, un marito, un fratello".
Spesso l’atto d’accusa contro un singolo elemento che abusa del potere che gli è stato conferito viene letto come una condanna di tutte le forze dell’ordine e del loro operato. Avete avuto questa sensazione?
Alessia Lai: "È un fatto prevedibile quando emerge che in troppi casi le stesse forze dell’ordine hanno cercato di sminuire, giustificare, se non addirittura insabbiare gli abusi. È giusto fare differenza fra il gesto del singolo e l’intero ambiente al quale appartiene, ma è spesso un malinteso spirito di corpo a dare la sensazione che i tutori dell’ordine rappresentino una casta che si autoprotegge. Punire per primi chi approfitta del proprio potere, non tollerare violenze e abusi è il solo modo per evitare che la condanna di un singolo pesi sull’intero corpo".
Avete avuto problemi o incontrato qualche resistenza nella pubblicazione di questo libro?
Tommaso Della Longa: "I problemi sono stati quelli di reperire le informazioni sui casi meno conosciuti. Se infatti nei casi di Giuliani, Aldrovandi, Sandri e Cucchi è stato fondamentale il supporto dei media alternativi e quello del mondo di internet e dell’informazione 'orizzontale', in numerosi altri siamo dovuti risalire alle famiglie delle vittime o ai loro avvocati solo a partire dai trafiletti di cronaca riservati al caso dai giornali locali. Alcuni sindacati di polizia, poi, non hanno mai risposto alla nostra richiesta di intervista".
Avete avuto il sostegno delle famiglie delle vittime?
Alessia Lai: "Sì. Quelli che siamo riusciti a contattare ci hanno dato sostegno e assoluta disponibilità, nonostante li costringessimo, con le nostre domande, a rivivere il loro dolore. Nei quattro casi principali citati nel libro abbiamo visto un filo conduttore: famiglie forti, coraggiose, determinate a non far dimenticare la propria tragedia. A tutti loro, e anche a chi non abbiamo mai conosciuto, va il nostro ringraziamento".
Fonte: tiscali
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