Ha dissacrato i miti della Gran Bretagna. Ha messo alla berlina il consumismo "made in Usa" disegnando il bambino vietnamita sfuggito al napalm americano in compagnia di Topolino e Ronald McDonald, il pagliaccio di McDonald's. Ha mandato su tutte le furie gli israeliani colorando con il suo stencil il muro che separa ebrei e palestinesi. Non contento, ha fatto irruzione nei musei americani appendendo i quadri delle sue opere al fianco di capolavori riconosciuti. Banksy è entrato di prepotenza nel mondo dell’arte partendo dalla strada e utilizzando i mezzi di marketing che i suoi nemici, i sostenitori del consumismo sfrenato, usano da anni. L’anonimato che avvolge la figura di questo street artist ha reso la sua figura ancora più affascinante. Un fenomeno, che ignorato dagli "addetti ai lavori" dell’arte, è esploso grazie ai consensi ottenuti dalle sue opere tra i divi di Hollywood. Nel 2010 Matt Groening gli ha affidato la realizzazione della celebre sigla dei Simpson e le polemiche non sono mancate. A fare un po’ di chiarezza sul misterioso graffitaro di Bristol arriva il libro Banksy, il terrorista dell’arte (Castelvecchi editore, 2010) di Sabina De Gregori. La giovane esperta di linguaggi contemporanei e di street art ha analizzato per noi il fenomeno artistico chiamato Banksy.
De Gregori, perché ha definito Banksy un "terrorista dell’arte" e non un "rivoluzionario"?
"Il termine terrorista viene smorzato dalla parola arte. In questo modo si allontana dal concetto negativo che nel nostro immaginario ha. Il termine rivoluzionario era troppo dolce. Volevo una parola forte che rendesse l’idea della prepotenza con cui Banksy è riuscito a inserirsi nel circuito dell’arte contemporanea. Mi riferisco soprattutto alle sue incursioni nei musei e alla sua volontà di essere presente nel mondo istituzionale dell’arte. Attaccare le proprie opere in un museo senza nessun tipo di autorizzazione fa di Banksy una persona che semina terrore, senza prendere alla lettera questa ultima affermazione".
Dal suo libro emerge chiaramente l’influenza che la città di Bristol ha avuto sull’artista.
"Bristol ha dato a Banksy quella libertà di espressione che forse altre città non gli avrebbero dato. La città ha due anime molto diverse che convivono: da un lato è una città portuale, quindi triste e desolata nei mesi invernali, ma dall’altro ospita un quartiere dedicato all’arte libera di strada. Quindi Banksy ha avuto la possibilità di esprimersi liberamente in quegli spazi, di respirare dalla metà degli anni Ottanta l’aria dei primi street artist e vivere la nascita e l’esplosione musicale del trip hop. Una forte commistione artistica che è coincisa con l’apertura di gallerie e il moltiplicarsi di mostre e rassegne. Bristol era il riferimento per gli artisti di strada di tutta la Gran Bretagna. Un’altra città, un po’ più chiusa o un po’ più britannica, forse non avrebbe permesso a Banksy di emergere".
Battaglia contro il consumismo, pacifismo e antitradizionalismo: la street art è un nuovo modo di veicolare messaggi politici?
"Il mezzo che Banksy utilizza, lo stencil, è il più semplice per trasmettere dei messaggi alle persone perché è alla portata di tutti. Il metodo e gli strumenti sono uguali a quelli utilizzati per i cartelloni pubblicitari o per quelli elettorali. E’ importante anche la scelta dei luoghi. Banksy predilige posti che sono importanti nella vita cittadina in modo da mostrare a chi cammina in macchina o a piedi i suoi graffiti".
Nel contenuto però sono sempre messaggi di forte impatto politico.
"Non conosco un’opera di Banksy che non contenga un messaggio politico. Spazia dalla ironia contro i regnanti d’Inghilterra alla critica alla guerra. Ogni sua opera contiene un messaggio fortemente simbolico. I suoi lavori nel muro di separazione tra israeliani e palestinesi rappresentano l’esempio più eclatante perché non si è limitato al semplice messaggio politico, ma dalla vendita di quelle opere sono stati ricavati dei soldi poi destinati in beneficenza".
Non conosciamo la sua identità ma il topo, che utilizza come simbolo, è popolarissimo. Ha scelto un animale cittadino piccolo, poco simpatico e che vive nelle fogne per criticare ancora una volta il sistema?
"Il significato è sicuramente questo ed infatti a Londra ha iniziato a disegnare questi topi non nel centro della città, ma nella periferia nord dove vivono gli operai, la working class. La fonte di ispirazione è il francese Blek le Rat (il celebre graffitaro parigino degli anni Ottanta Xavier Prou ndr.) , il primo a rappresentare dei topi sui muri delle città. E’ una costante delle sue scelte stilistiche ma è sicuramente la base dalla quale è partito per sviluppare altre forme di immagine".
L’anonimato unito alle strategie di comunicazione proprie della pubblicità. Pare che Banksy stia utilizzando le stesse tecniche di quel mondo che vuole combattere, è così?
"E’ uno degli aspetti contraddittori di questa figura. Però va detto che, pur essendo molto simili alla pubblicità, i suoi messaggi sono facilmente riconducibili a lui. Quindi la sua manovra è doppia. Utilizza ‘le armi del nemico’ ma ribadisce il suo personalissimo stile".
Basnky è divenuto anche un fenomeno di business. Ignorato dagli addetti ai lavori dell’arte, ha avuto un incredibile successo grazie alle star di Hollywood.
"E’ difficile dire come è iniziato questo rapporto perché non sappiamo niente di Banksy e quindi non sappiamo come sia entrato in contatto con la star system. L’unica certezza è che Brad Pitt, Jude Law, Angelina Jolie e Keanu Reeves hanno acquistato alcune sue opere. Si è parlato tanto delle sue incursioni nei musei americani e questo lo ha fatto conoscere a molte persone. Tra queste c’erano anche i divi di Hollywood. Quando si è sparsa la voce che una galleria londinese aveva le sue opere, questa è stata presa d’assalto da Christina Aguilera e da altre star".
Qual è l’opera di Banksy che l’ha colpita maggiormente e perché?
"E’ quella che ho scelto per la copertina: la cameriera che alza il tappeto per gettare la polvere. E’ una cameriera, vestita come qualche anno fa, che guarda negli occhi chi la osserva e non si vergogna di gettare la polvere sotto al tappeto. E’ una cosa molto rappresentativa del nostro tempo, basta guardare alla cronaca italiana di questi giorni".
Fonte: tiscali
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