La storia della faticosa arte dell’attesa. Si potrebbe intitolare anche così l’ultimo libro di Francesca Mazzucato, Storia dello strip-tease, edito da Odoya, che contiene una prefazione firmata da Franco Trentalance. Un saggio che esplora sia la dimensione storica che quella socio-artistica dello spogliarello. Nella lingua italiana è così volgarmente denominata quella forma di spettacolo nata circa un secolo fa per stuzzicare il desiderio maschile tramite l’esibizione pubblica dell’autoliberazione del corpo femminile da ciò che lo veste artificialmente, da ciò che indossa per coprire la propria peccaminosa nudità.
Un’opera d’arte ha bisogno di essere contemplata per essere compresa e per dare giusta soddisfazione ai sensi. Come, del resto, lo striptease. In un’unica parola è racchiuso un mondo, uno spettacolo di vita che si basa su due azioni peculiari: “svestirsi” (to strip) e “stuzzicare” (to tease). Nel titolo del libro i due termini sono volutamente separati da un trattino per enfatizzarne il significato, approfonditamente analizzato nel corso della trattazione.
"Togliere un indumento dopo l’altro è come sfogliare i petali di un fiore". Più l’azione è lenta, ma allo stesso tempo coinvolgente, più cresce l’attesa che si traduce in autentico desiderio. Oggi il voler “tutto e subito” ha portato alla degenerazione di quell’arte fatta di ammiccamenti, di sensualità, di ritualità. Ridare nuovo lustro a tale forma di spettacolo è la missione dell’autrice. Attraverso questo saggio, fitto di descrizioni, di dettagli, di foto d’epoca, di interventi in prima persona, di biografie, di interviste e di aneddoti, emerge il suo personale giudizio di valore.
Un racconto appassionato, e assolutamente non didascalico, di una forma d’arte, o meglio, di una storia di potere declinata al femminile. Difficile da datare, ma fitta di eventi, performance, evoluzioni ed involuzioni. Protagoniste del lavoro della Mazzucato sono le donne, le stripper che hanno fatto storia e che vengono tutt’oggi adorate, se non emulate. Come Gypsy Rose Lee, una bruna e formosa americana di Seattle, che nel 1931 si esibì al Republic Theater di New York, dove fu tenuta a battesimo quella faticosa arte dell’attesa che è lo striptease. E come non basta avere un’idea per definirsi un artista, “non tutte le donne possono spogliarsi: devono saper creare un’illusione, e, per fare questo, occorre arte”, diceva Gypsy.
La decadenza di quest’arte inizia negli anni Cinquanta, quando lo strip non convive più con il tease, ma lo domina fino a farlo scomparire. Come in Italia, dove i nightclub fanno esibire corpi che non si fanno più atto creativo e fantasioso, bensì volgare passatempo per uomini morbosi. Il passo verso la pornografia è molto breve. Icone dei decenni successivi diventano attrici totalmente disinibite come Moana Pozzi, habitué non solo dei set cinematografici ma anche degli studi televisivi. In tutto ciò “c’è più routine e malinconia che vero spirito”, constata amaramente la Mazzucato.
Non bisogna dimenticare poi lo strip maschile, nato negli anni Novanta più come un fenomeno da baraccone che come una forma di spettacolo. Corpi scolpiti, depilati, “a volte un po’ patetici” allietano addii al nubilato e la festa dell’8 marzo. Il cinema, con The Full Monty, film del 1997, ha tentato di dissacrare il rituale dello striptease in totale crisi d’identità, cercando, facendone parodia, di ridargli il lustro artistico e creativo delle origini.
Come sta cercando di fare, con meritato successo, Dita Von Teese, la più famosa performer di neo-burlesque. Il suo bagno sensuale in una coppa di champagne ad altezza d’uomo è diventato il suo imitatissimo cavallo di battaglia. Giochi ironici che fanno della denudazione un atto di eleganza e di inedita creatività. “Si preme il pedale dell’eccesso, ma non quello della nudità: quello dello spettacolo”, scrive la Mazzucato. Sono numerose e molto frequentate le scuole di burlesque nate negli ultimi dieci anni sulla scia dell’escalation della Von Teese. Ma nessun’altra performer, ad oggi, la eguaglia in fantasia e creatività.
La Miss Pin-up Girl of the World in arte Bettie Page, il triangolo pubico indossato dalle soubrette del Crazy Horse, la bubble dance ripresa anche dal video Hollywood di Madonna, il passato da spogliarellista mai rinnegato di Lady Gaga. Queste e tante altre le storie, ovvero le messe in scena di una narrazione, raccontate dalla Mazzucato nel suo libro, che si conclude con un’appendice di interviste a performer contemporanee: webcam girl, spogliarelliste dj, alternative model e cosplay performer. Un vero e proprio lavoro, quello della stripper, che alcune amano e che altre odiano.
Amore per l’arte e odio per la sua mercificazione. Sono quindi storie di attesa, di potere, di liberazione, di opposizione, di conflitto, di decadenza, quelle che l’autrice ha ricercato, analizzato e descritto per dare completezza e sostanza al suo testo, convinta che la formula del successo artistico dello striptease sia quella di “lasciare vivido il pathos dell’attesa”. Perché “questo avviene non solo nei palcoscenici ma anche nella vita”.
Lisa Sommacale
Fonte: Tgcom
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