Palermo è una città che vanta un curioso rapporto, con ogni probabilità unico al mondo: quello, perfettamente bilanciato, tra bellezze e misteri che la avvolgono e la incorniciano in un suggestivo quadro identitario. In ogni vicolo si respirano storia e passione, in ogni piazza forza d'animo e sofferenze, in ogni palazzo nobiliare benessere e crisi nera. Questo affascinante rapporto si concretizza nel libro "Sulle Orme dei Beati Paoli", di Francesco Buccellato, edito da Youcanprint, con la prefazione del professor Elio Giunta, l'illustrazione di copertina di Dario D'Arpa e un brano in dialetto siciliano di Giuseppe Valdesi.
Il libro è un viaggio fotografico nella Palermo del XII secolo, profondamente intrisa di ingiustizie e per questo bisognosa di giustizieri: i Beati Paoli, appunto (ma sulla loro natura il dibattito è ancora aperto). Abbiamo intervistato Francesco Buccellato per comprendere a fondo il suo viaggio, e le ragioni alla base di esso.
D: In un'occasione lei si è descritto "un palermitano qualunque", a indicare che questo libro sia nato dal cuore e non con pretese di vanagloria. Cosa spinge allora il palermitano qualunque a realizzare un'opera come "Sulle Orme dei Beati Paoli"?
R: "La vita a volte ci riserva delle belle sorprese, non mi sarei mai immaginato che avrei realizzato e presentato un mio libro. Innanzitutto voglio precisare che non sono né un fotografo professionista né uno storico, ma solamente una persona appassionata e innamorata di Palermo e della sua storia, dei suoi magnifici palazzi, monumenti, vicoli, chiese, mercati, sapori e odori".
D: Perché i Beati Paoli?
R: "La passione per il romanzo 'I Beati Paoli' risale alla mia infanzia: nelle serate invernali, mia nonna mi raccontava storie e aneddoti legati al libro, e mi leggeva brani del famoso romanzo. Io ascoltavo e mi appassionavo. In casa avevamo un’edizione molto antica del libro, mia nonna non me la faceva toccare per paura che gliela rovinassi. Poi, negli anni ’70, l'editore Flaccovio fece una riedizione del libro e ne regalò una copia a mio zio, il giornalista Gustavo D'Arpe. Così il romanzo finì in casa mia ed io potei leggerlo e rileggerlo diverse volte, innamorandomene completamente".
D: Il suo è un viaggio fotografico, ma anche dai tanti significati intrinseci: le vie della città sembrano divenire un tutt'uno con l'obiettivo della macchina e con l'osservatore, e sembrano rivelare una Palermo sopita. Esiste ancora, quella Palermo?
R: "Il palermitano che passeggia per Palermo si inorgoglisce imbattendosi nella chiesa, nel palazzo, nel vicolo o nel mercato descritti nel romanzo. Io ho fatto proprio questo: sono andato in giro con la macchina fotografica a riprendere, indagare fare ricerche storiche, chiedere informazioni, parlare con persone, con bottegai dei vari mercati, il tutto seguendo passo dopo passo il libro di Natoli. E ho descritto i vari luoghi testimoniandoli con molteplici scatti fotografici, con grande passione e amore per la nostra città, anche se oggi mi appare un po’ bistrattata e negli ultimi decenni venuta agli altari della cronaca solo per fenomeni di mafia e delinquenza. La nostra città merita ben altro, e noi tutti abbiamo il dovere morale, da buoni palermitani, di divulgare e far conoscere le nostre tradizioni, la nostra storia, la nostra cultura e tutto quello che di bello offre Palermo a chi la visita".
D: Il libro è un percorso letterario con riferimenti storici di prim'ordine. Possiamo considerare "I Beati Paoli" di Natoli una pietra miliare della letteratura siciliana e palermitana?
R: "Eccome. L'opera uscì per la prima volta nei primi anni del Novecento, in dispense, sul Giornale di Sicilia. Il successo che ebbe fu enorme. I motivi sono principalmente due: il primo è dovuto all'importanza che il romanzo assunse da un punto di vista di divulgazione culturale, dato il grande impatto che ebbe sul popolo siciliano. Era un periodo storico in cui l'alfabetizzazione andava molto a rilento. Il secondo motivo è che nell’immaginario collettivo del popolo palermitano i Beati Paoli sono paladini di giustizia di un’epoca passata, quando per un cittadino comune ottenere giustizia o aver riconosciuto un diritto era una vera chimera. Rivolgersi al tribunale dei Beati Paoli quindi era l'unica cosa che si potesse fare, in quanto i nobili facevano il bello e il cattivo tempo sottomettendo e rendendo succube il popolo".
D: Eppure molti critici e storici hanno accostato i Beati Paoli alla mafia, dichiarando che essi ne furono gli antesignani; persino i mafiosi stessi si sono pavoneggiati definendosi gli eredi dell'antica congrega. Qual è la verità?
R: "In merito a ciò si apre una disputa fra gli storici, a cominciare dal marchese di Villabianca, esponente di quella nobiltà di cui abbiamo parlato prima, che dichiarava i Beati Paoli una 'scellerata congrega' di giustizieri e sicari che applicavano una giustizia sommaria e violenta, molto simile a quella della mafia. Invece nell'Ottocento lo storico e critico Vincenzo Linares riabilita queste figure, dichiarando che il loro tribunale faceva da contraltare ad un potere baronale che imperversava in Sicilia e che rendeva il popolo schiavo. Quindi i Beati Paoli, rendendo giustizia, rendevano il popolo libero. Perché non esiste libertà senza giustizia".
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