"La sensazione che ho avuto girando per l'Italia a parlare di Pier Paolo Pasolini è che ci sia nei suoi confronti non solo un'incomprensione per il suo essere uno spirito libero, ma per la sua omosessualità dichiarata con forza e additata tanto da farlo soffrire. E poi la sua morte: se fosse morto in un altro modo forse la valutazione dell'uomo e della sua opera sarebbe stata differente". Quanto pesa il pregiudizio? "Molto e, attenzione, non solo a destra ma anche a sinistra: è l'influenza della Chiesa cattolica ben presente nella nostra cultura". Adalberto Baldoni, giornalista, saggista, autore di documentari, già dirigente dell'Msi e poi di Alleanza Nazionale, spiega così la diffidenza che per decenni - "e per certi versi ancora oggi" - ha accompagnato Pier Paolo Pasolini e la sua opera. Negli ambienti di destra come negli ambienti di sinistra (il poeta venne espulso dal Pci per indegnità morale ndr) "oltre alla sua omosessualità, Pasolini pagava l'essere precursore dei tempi. Aveva questa grande capacità di far vedere i processi storici e culturali e non veniva compreso proprio perché troppo avanti". Gianni Borgna, giornalista, docente universitario, già dirigente dei Giovani comunisti e assessore alla Cultura di Roma con Veltroni, divide a metà le ragioni di "una lunga incomprensione" che accompagna forse fino ad oggi la figura dell'intellettuale "che più di ogni altro nel Novecento ha diviso l'opinione pubblica".
Una lunga incomprensione è anche il titolo di un bel saggio innovativo nello stile e ben documentato, edito da Vallecchi (2010, 16 euro). Scritto a quattro mani da Baldoni e Borgna, il testo analizza il "poeta corsaro" nell'ambito della sua poliedrica attività intellettuale e artistica partendo da due esperienze culturali differenti, quella di destra e quella di sinistra, messe a confronto con il coraggio e la franchezza dei fatti. Due strade percorse parallelamente che si intersecano solo per la contemporaneità degli eventi, ma con un assunto comune che è forse l'incomprensione umana e artistica di Pasolini, diretta emanazione del cieco moralismo dell'epoca, che poco spazio lasciava alla libertà intellettuale. E le sue, dice Borgna, "non erano visioni oniriche ma analisi lucidissime. Era un po’ come un sismografo".
Le scosse venivano avvertite con forza dal Pci, quello degli anni '50 e '60, che con difficoltà comprendeva il linguaggio "da intellettuale e insieme da artista: il poeta parlava per metafore e non usava il linguaggio della politica e della quotidianità". Pasolini, continua il giornalista, "fa parte di quei poeti filosofi che hanno unito alla poesia una grande preparazione culturale. Ma soprattutto il Pci era un partito che pensava che gli intellettuali dovessero essere degli intellettuali organici, messi in qualche modo al servizio del partito: invece lui faceva analisi spesso in aperta collisione con quelle del Pci e questo non gli procurava particolari simpatie". Il poeta di Casarza, insomma, "votava comunista, si dichiarava loro amico ma era sempre alla ricerca della verità".
Emblematica della "lunga incomprensione" che circondò il poeta è la lettura che si fece della celebre poesia pubblicata dall'Espresso col titolo "Vi odio cari studenti" e scritta all'indomani del fatti di Valle Giulia. "Anch'io, che nella facoltà occupata c'ero, - dice Borgna - in un primo momento mi sentii offeso da quelle parole. Ma la poesia venne travisata, a partire dal titolo con cui la pubblicò l'Espresso, 'Vi odio cari studenti'. Il titolo originario era 'Il Pci ai giovani'". Cosa il poeta volesse dire agli studenti "borghesi" che occupavano le facoltà (allora l'università non era di massa) è presto detto. "Era un'esortazione a riportare la protesta nell'ambito del partito comunista, dei sindacati, delle forze organizzate degli operai insomma, oppure - spiega Borgna - cari studenti continuate con la vostra lotta borghese, senza approdare a nulla di significativo". E qui rientra anche la famosa apertura verso i poliziotti, "lavoratori giovani e salariati. Molti - ne è convinto il giornalista - non lessero nemmeno la poesia".
"Comunista e frocio" è la sintesi che di Pasolini invece si faceva negli ambienti di destra, argomenti che ne segnavano la totale censura morale e politica. "Fui io il primo - spiega Baldoni, all'epoca penna di punta del Secolo d'Italia - a parlare del poeta dedicandogli un capitolo del mio libro Noi rivoluzionari nel 1985. All'interno dell'Msi l'unico che si discostava dal pensiero dominante fu Beppe Niccolai, apprezzato intellettuale e di grande cultura". Un'occasione persa per la destra sociale. "Nei primi anni Settanta e fino alla morte, Pasolini scriveva sul Corriere articoli illuminanti che avrebbero dovuto far riflettere sulle valutazioni che egli faceva sulla società contemporanea".
Temi importanti come "la droga, l’aborto, la negatività di certa televisione, la scuola così come era stata fatta, l’ambiente, dove lui diceva 'darei l’intera Montedison per una sola lucciola'". Dietro le metafore, spiega ancora Baldoni, "si richiamava alla civiltà contadina, la difesa dei dialetti, della lingua italiana, delle tradizioni. E si pensi poi al famoso articolo Io so, sulle stragi. Tutto ciò - spiega - doveva far riflettere il Movimento sociale, ma c’era un oscurantismo talmente forte all’interno del partito, fortemente influenzato da Giorgio Almirante". E poi, clamorosa, la presa di posizione all'indomani del terribile delitto del Circeo: il poeta, in risposta a intellettuali di sinistra come Alberto Moravia, Enzo Siciliano "per i quali certa violenza stava a destra, la violenza borghese dei pariolini, della Roma bene, Pasolini rispondeva sul Corriere 'guardate che la violenza è in tutti noi, dentro ciascuno di noi c’è il bene e il male'". Ma il "muro di incomprensione" impediva la riflessione sulle parole di Pasolini.
Fonte: tiscali
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