La morte di Cajkovskji, il presunto nazismo dei Wagner, la morte di Mozart, il ritiro di Rossini dall’attività musicale, la vera vita di Nicolò Paganini. Questi i misteri indagati dal giornalista Filippo Facci nel suo ultimo lavoro in libreria, Misteri per orchestra, Mondadori. Per un pubblico abituato al Facci politico, quello della rassegna stampa quotidiana su Canale 5 o delle articolasse graffianti sul quotidiano Libero, questa nella musica classica potrà sembrare una sortita inconsueta. Ma non è così, perché l’autore, oltre a essere un melomane, è un appassionato di musica classica.
Già dalle primissime pagine si capisce che i colpi di scena, nonostante si tratti di casi di cronaca “gelida”- giornalisticamente parlando- non mancheranno. Facci racconta la storia dell’oculista ciarlatano John Taylor, che a due anni di distanza, accecò con uno dei suoi folli “interventi” chirurgici prima Johann Sebastian Bach e poi Friedrich Händel. L’altro dato che colpisce è che oggi immaginiamo questi mostri sacri della musica classica europea come divinità in terra, vezzeggiati e rispettati dalle corti del Vecchio Continente. Facci prontamente demolisce quest’errata convinzione, scrivendo che “nel Settecento… i musicisti, anche a corte, erano considerati dei domestici e mangiavano con la servitù”. Dunque uomini tra gli uomini, spesso ultimi tra gli ultimi, che vivevano e, soprattutto morivano per le tragedie umane del loro tempo. Ad esempio, la tubercolosi si portò via Giovan Battista Pergolesi a 26 anni. Franz Schubert potè comporre e suonare fino ai 31 anni, a causa di una sifilide che lo uccise. Fryderyk Chopin smise di suonare per sempre a 39 anni, morì di polmonite. Un libro da gustare a poco a poco, magari seduti in treno o in autobus. Un viaggio in un retrobottega sconosciuto in cui Facci guida il lettore con disincanto e sobrietà cronachistica, da par suo. Perché fare le pulci ai politici è il suo lavoro; ma indagare i meandri della musica classica- a quanto emerge dal trasporto di Misteri per orchestra- lo diverte di più.
INTERVISTA A FILIPPO FACCI, AUTORE DEL LIBRO
Dopo la biografia non autorizzata di Di Pietro, torni in libreria con la tua grande passione: la musica classica. Il richiamo della foresta rispetto alla contingenza politica di cui ti occupi sia su Canale 5 che su Libero?
Può essere. In realtà ho scritto di musica classica per anni per Il Foglio e per il Giornale, e già in passato pubblicai un libro sull'argomento. Certo, non si può passare la vita a scrivere solo di Di Pietro, come epitaffio sarebbe terrificante: forse, per compensazione, sto cercando di passare dall'infinitamente brutto all'infinitamente bello. O forse, com'è vero, ho usato la modesta notorietà ottenuta scrivendo di cose politiche per poter scrivere delle cose che amavo di più.
Una delle critiche rivolte ai media riguarda lo straripamento di un registro narrativo giallo nelle vicende di cronaca ma anche di politica ("il retroscenismo"). Il tuo libro non rischia di prestare il fianco a questa critica? Insomma ti senti d'aver scritto una specie di "instant book" sulla morte di alcuni grandi compositori? Semmai è il contrario. Ma dico io: un sacco di gente perde tempo dietro a cazzate di fiction o di cronaca tutto sommato trascurabile (cose che dopodomani saranno dimenticate) quando sono a disposizione le storie formidabili e sconosciute di cui la storia della musica è costellata, veri e propri thriller che con rare eccezioni sono rimasti un territorio parzialmente inesplorato di musicologi e appassionati. Si tratta di trame che spesso non hanno niente da invidiare a ben più noti gialli della letteratura, con la differenza che le storie sono tutte vere. Delle storie che io racconto non si ignorano tanto i retroscena, ma proprio la scena.
Nella prefazione descrivi il teatro La Scala di Milano nell'Ottocento: bracieri, liquori, cucine, la pasticceria. Una strada percorribile anche oggi secondo te, perchè i lirici italiani si riprendano dalla crisi in cui versano?
Sì e no. Da un lato sarebbe utile accrescere la polivalenza dei teatri e in generale degli auditorium, rendendoli punti di traiettoria che li schiudano a un mondo che ormai è fuori da ogni circuito. Dall'altra i teatri di una volta erano dei mezzi casini, una cosa esagerata, c'era un baccano d'inferno e non c'era insomma quel rispetto sacrale ma necessario che certa musica richiede.
Sei sempre convinto che Allevi stia alla musica classica come Celentano sta alla cultura?
Alla filosofia teoretica, avevo scritto. Mettiamola così: per me Allevi è una sciagura, è la versione italiana di un genere di musica minimale, facilona, da aeroporto o da ascensore, priva di elaborazione e sviluppo, qualcosa di amatissimo dagli ascoltatori da aperitivo i quali, alla quarta nota, trovano una musica già troppo difficile. E' musica pop, easy listening, una costruzione di marketing che dovrebbe ingannare i gonzi - anche se i gusti son gusti, certo - e che semmai dovrebbe andare a Sanremo: non dissacrare luoghi dove hanno diretto grandi maestri e hanno suonato musicisti veri. Ciò che non sopporto è l'usurpazione di ruolo, trovare i dischi di Allevi assieme a quelli di Mozart, per dire. E' offensivo per chi fa musica seria e diseducativo per chi, sentendo Allevi, si racconti di ascoltare musica classica.
Come hai scelto di quali casi occuparti in "Misteri per orchestra"? E' immaginabile che abbia dovuto fare una selezione da un materiale documentaristico imponente.
E' così, ma ho scelto la sintesi e la selezione estrema. C'è un sacco di roba che alla fine non ho messo. Volevo fare un libro relativamente breve e di facile lettura, perciò ho omesso anche le note e buona parte delle fonti, che avrebbero occupato chissà quanto spazio. Non volevo che potesse essere scambiato per un libro da addetti ai lavori, il che non toglie che dietro ci sia un grande lavoro.
La critica musicale come genere giornalistico sembra oggi confinata a pochissime situazioni canoniche (es. Prima Scaligera). Secondo te è un male e una spia dei limiti culturali del giornalismo italiano o normale fisiologia di un argomento di nicchia?
La stampa italiana ha pressoché rinunziato alla critica musicale - questo per molte ragioni, anche comprensibili – e tuttavia abbonda di cronache musicali stucchevoli e sostanzialmente inutili. Ormai la critica musicale, in effetti, è un optional di categoria lusso, è ridotta a pretestuoso sfondo di pochi eventi cultural-mondani che sono retti, in realtà, da articoli cosiddetti di colore, scritti da giornalisti cosiddetti brillanti che alla stregua scriveranno di moda e di televisione. Bene che vada, è l'operato di un'alta corte di addetti al lavori che sono volti al fiancheggiamento delle istituzioni musicali che dovrebbero giudicare. E', ormai, un ramo di archeologia culturale. In Italia c'è ancora gente brava a scrivere di musica, ma sui giornali sono perlopiù sopportati. Occorre cambiare registro. Io, a modo mio, anche con questo libro, ci ho provato.
Fonte: tgcom
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