Quando qualcosa di inatteso arriva a stravolgere la vita di Coco e Monkey, due simpatiche scimmiette, il mondo va sottosopra. O sopra e sotto, dipende da quale punto di osservazione lo si guarda. Tanto più che a creare tanto trambusto è la malattia grave, come sono molte forme tumorali, soprattutto quando colpiscono i bambini. Coco e Monkey danno voce, forme e colori alle paure dei più piccoli minati dalla malattia, sballottati tra una terapia invasiva e l'altra, consci che il loro aspetto fisico cambierà, così come cambiano la forza e gli entusiasmi personali, messi a dura prova dal disagio ma rinvigoriti dall'assistenza di team di medici e psicoterapeuti capaci. E' di questo che parla Il nostro mondo sopra e sotto, il libro illustrato edito da Tiligù di cui sono autrici Valentina Sulis, Paola Riviezzo e Patrizia Montisci, quest'ultima psicoterapeuta del servizio di Oncoematologia dell'Ospedale Microcitemico di Cagliari. Con lei abbiamo conversato di questo agile libretto che parla soprattutto alla sensiiblità degli adulti, tema che abbiamo approfondito con Giorgio Latti, magistrato e Presidente della Consulta per la disabilità della Provincia di Cagliari.
Patrizia, le immagini di Il nostro mondo sopra e sotto hanno un impatto immediato nel presentare ai lettori l'esperienza che vivono i bambini alle prese con malattie gravi. E' un modo efficace di riportare ad altezza di bimbo lo sguardo degli adulti.
"Questa era la scommessa attorno a cui è nato questo progetto editoriale. I bambini ricoverati per terapie anti-tumorali si trovano schiacciati tra il loro malessere e la proiezione delle paure e la voglia di rassicurazione che viene rivolta loro dagli adulti. Ma questo, paradossalmente, rischia di farli sentire soli. Manca la capacità di essere consapevoli della propria emotività da parte di tanti adulti, solo affrontato questo snodo personale si sviluppa la giusta sensibilità per comprendere l'esperienza che affrontano i bambini ricoverati per cure oncologiche".
Come riescono i bambini ad affrontare l'idea della morte, proprio nella stagione in cui per loro la vita comincia, ed è fatta di divenire, di gioco e di scoperte?
"I bambini capiscono il concetto di morte soprattutto se vedono e toccano una persona che ha perso la vita. Non hanno capacità di astrazione, almeno fino all'età scolastica, in cui viene svelata loro questa esperienza irreversibile. Nell'adolescenza è più complicato, perché è in quel periodo che comincia il percorso spirituale e religioso di una perrsona".
A che punto è secondo lei l'assistenza ai bambini malati gravemente?
"Se facciamo un discorso generale, dico che esistono sempre più medici di vario tipo ma anche operatori culturali che si muovono attorno a questi bambini per la tutela dei loro diritti. C'è un grande fermento in questo senso. Esistono sempre più forme di integrazione tra centri di cura e territorio, che passano anche per le nuove tecnologie legate alla Rete e al video, in modo da evitare l'effetto di isolamento. Ma non bisogna dimenticare che i bambini, anche quando sembrano stare benissimo, sono la categoria più vessata, perché continuano a subire le proiezioni delle nevrosi degli adulti, in una società che ancora fatica ad ammettere gli stati di debolezza, di bisogno, di sconfitta personale".
Giorgio Latti, cresce l'attenzione legislativa e dei media a proposito dei disagi e delle disabilità infantili, ma cosa resta da fare?
"Intanto smetterla di passare dai fatti alle parole, esiste un fondo per le politiche sociali che finanzia tutte le attività di sostegno per chi soffre di malattie gravi e vive la propria disabilità. Questo fondo ha subito, così come i finanziamenti all'istruzione, dei tagli sostanziali che sono stati fatti passare come eliminazione di sprechi. Da una parte mancano i fondi, dall'altra diminuiscono i tempi per il riconoscimento dell'invalidità e l'erogazione di tutti i servizi previsti per chi ha bisogno di particolare sostegno. Un magro contrappeso, se si fanno mancare i soldi per garantire assistenza ai piccoli malati".
Il mondo sotto, dunque, è quello dei bambini, delle loro sensibilitò ferite, della sofferenza rispetto alla distrazione degli adulti. Come se fosse un mare profondo ancora tutto da esplorare.
"Sì, gli adulti continuano troppo spesso a pensare a sé, anche quando si preoccupano per i loro figli sofferenti. Da magistrato lo vedo anche nei casi di separazione, in cui le necessità dei piccoli vengono per ultime e ciascuno degli adulti bada a sopravvivere alla propria esperienza traumatica. Questa è una risposta al proprio dolore personale, certo, è comprensibile. Ma rischia di allontanare i grandi dai piccini proprio quando si presentano quelle esperienze traumatiche che possono essere affrontate positivamente solo con una maggiore propensione all'ascolto dell'altro".
Fonte: tiscali
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