Il Sud non è stato dimenticato, ma saccheggiato a piene mani dal Nord nel silenzio complice di tutti.
Ha fatto del suo perché ciò avvenisse e non ci stancheremo mai di sottolineare le colpe della sua classe dirigente, ma l’abnormità dello scippo subito, la destrezza truffaldina con cui è stato concepito e attuato dalle forze politiche del Nord riunite in ordine sparso sotto le bandiere dell’interesse miope della Lega, impone riflessioni approfondite, una dose rilevante di autocritica e un cambiamento di rotta radicale di politica economica nazionale. Bisogna cominciare a sbaraccare le Regioni e i suoi venti staterelli clientelari per tornare a fare investimenti produttivi con infrastrutture di sviluppo interregionali, a partire dal Sud abbandonato e depredato.
Altro che autonomia differenziata e costituzionalizzazione dello scippo di Stato.
Si permetterebbe alla “banda del buco” del Grande Partito del Nord di non dovere più scavare, sotto traccia, nelle pieghe del bilancio pubblico, ma addirittura di poterlo fare alla luce del sole. Per cui se nasci a Reggio Calabria o nell’entroterra vesuviano le mense scolastiche le vedi solo con il binocolo ma se hai la fortuna di venire al mondo in Brianza hai solo l’imbarazzo della scelta. Paga la collettività, paga la Regione, pagano i Comuni, ma tutti lo fanno con i soldi dei bambini del Sud o per lo meno con quelli che la Costituzione e perfino le regole federali della legge 42 dell’ex ministro leghista Calderoli assegna loro per diritto di cittadinanza.
L’estrazione di risorse dal Sud al Nord è avvenuta con il gioco delle tre carte in salsa leghista dove un criterio che favoriva il Nord, la spesa storica, e che doveva durare qualche mese, è rimasto in vita per dieci anni. Regioni e Comuni del Nord, con dolo politico, non hanno mai accettato di definire i livelli essenziali di prestazione (Lep) e i fabbisogni standard delle singole comunità.
Carta vince (spesa storica) carta perde (Lep e fabbisogni) voilà il gioco è fatto: il ricco è sempre più ricco e il povero sempre più povero.
Sono ballati 60 miliardi l’anno e la sostanza è una sola: si è inventato un meccanismo politico-contabile per cui i ricchi si indebitano, aumentano la spesa storica, e ricevono più soldi pubblici, mentre i poveri commissariati e ingabbiati spendono meno, ricevono meno e diventano sempre più poveri.
Questo scippo di Stato ha spaccato l’Italia in due come non mai e il vaniloquio permanente che resta la cifra prevalente dell’esecutivo gialloverde rischia anche di farci perdere la sovranità. Abbiamo sparato balle fino al punto di farci aprire una procedura di infrazione e di chiuderci i margini di manovra che avremmo avuto. Non è più tempo di operazioni di facciata, l’Italia deve uscire in fretta dal tunnel delle procedure europee per evitare il suo commissariamento. Può e deve farlo avendo come bussola gli investimenti produttivi e mettendo, per iscritto, che reddito di cittadinanza e quota 100 sono stati un bluff e, quindi, liberano risorse che non si impiegheranno più in assistenzialismo o in nuovi sogni fiscali.
Non sappiamo se ciò sarà sufficiente, ma di sicuro è una base imprescindibile per incanalare bene il negoziato. Se all’Europa qualcuno dei nostri governanti si degna di dire che faremo spesa pubblica per fare l’alta velocità fino a Reggio Calabria o la Napoli-Bari o per finanziare università/ricerca e non l’ennesimo regalone clientelare al grande partito degli assistiti del Nord, riceverà solo applausi e incoraggiamento.
L’Europa, a differenza dei secessionisti delle vallate del Nord, sa bene che il problema dell’Italia è l’assenza di infrastrutture di sviluppo a cui il Mezzogiorno è stato condannato per la miopia regressiva della classe dirigente politica dominante nazionale prevalentemente nordista. Dalla Banca d’Italia alla stessa Commissione europea, il problema irrisolto del nostro Mezzogiorno è stato posto al centro della politica economica nazionale come non avveniva da tempo.
Questo giornale si è avvalso dei contributi della Ragioneria generale dello Stato, della Corte dei Conti, dell’Istat, ha chiesto numeri e informazioni, ha fatto il suo lavoro di inchiesta, e può dire oggi con tranquillità che la tac degli errori e delle distorsioni che hanno portato il Nord Est a diventare la capitale nazionale degli statali in Italia è completa, i suoi tracciati sono consultabili e verificabili da parte di tutti.
Nessuno si permetta anche solo di pensare che il conto delle balle venga di nuovo messo sulle spalle dei giovani meridionali. Non c’è una sola istituzione contabile della Repubblica italiana che non ci abbia fornito prove e evidenze dello scippo di Stato e di tutto ciò (molto grave) che fino a oggi non si è voluto vedere. Se non si parte da questa operazione-verità in casa e fuori, l’Italia continuerà a essere il fanalino di coda delle economie europee e pagherà un conto in termini di tassi di interesse che i suoi fondamentali assolutamente non meritano.
Questo giornale lo ricorderà a tutti ogni giorno che Dio manda in terra
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