A ben osservare quel che accade di questi tempi nel mondo e in particolare in Italia, con un Governo che è costretto a darsi da fare solo per non cadere, a fronte di un’opposizione che grida e impreca pur non potendo garantire altro progetto credibile, ci si domanda se non stiamo attraversando una fase storica al cui fondo ci sia qualcosa di anomalo, come la mancanza di un’idea di futuro, una filosofia negativa sul concetto di progresso civile dell’umanità. Intanto ci sono da fare due considerazioni. La prima è che i sistemi democratici secondo quello che è stato finora il canone occidentale sono tutti in crisi; l’altra che la cosiddetta globalizzazione ci presenta un conto chiaramente fallimentare. E sono queste, e non altre, le considerazioni che, pur rinnegate, spiegano nelle vicende politiche in genere il trionfo della volontà di sopraffazione contro il dialogo e soprattutto della volgarità contro il garbo conveniente della ufficialità. Quel che oggi constatiamo ha forse motivazioni da evidenziare.
Ragioniamoci sopra. La storia c’insegna che la democrazia non è il miglior sistema di governo degli stati; non lo è mai stato. I Greci, che hanno inventato tutto e lasciato ai posteri il procedere solo con note a margine, hanno inventato anche la democrazia e ne hanno dato lezione con lo splendore dei tempi di Pericle; ma Pericle era nient’altro che un despota illuminato: e questo dice tutto. Infatti nelle vicende dei popoli nessuna svolta significativa, nessun progetto incisivo sulle loro vicende si è mai avuto se non per merito di singolari personalità che hanno gestito il potere appunto come despoti, appassionati però soprattutto del bene pubblico. Ecco allora come può spiegarsi la nevrosi che oggi qua e là sconvolge l’ordine politico degli stati europei, ove appunto le democrazie sono implose o tendono ad implodere per intervenute necessità, sia perché logore o difettose, sia perché usate in eccesso, o abusate piuttosto, mentre si nota la mancanza di personalità di spicco in grado di guidare un qualche governo, con spirito liberale, verso il progresso. Anzi, magari con faciloneria si vorrebbe rischiare l’insipiente soluzione dell’uomo forte, ben sapendo, ad esempio, che uno scamiciato come Salvini non potrebbe mai essere un Pericle. Né a sua volta si può pensare che, aggiornando in qualche modo i sistemi d’uso democratico, possano andare meglio le cose, se il funzionamento della gestione del potere di uno stato ha bisogno comunque e sempre, oltre che di intelligenza, di libertà decisionale. Ed è davvero un guaio se in politica, ogni volta che occorre qualche decisione, si debba attendere che questa venga presa da troppe teste e non mai da una che ne rappresenti la sintesi, come accade, per esempio nell’America presidenziale. Da stupire perciò per quel che si macina in Italia dove c’è chi pensa che democrazia voglia dire che tutti possano pretendere qualcosa, tutti siano in grado di farsi valere in ogni frangente e d’inficiare ogni decisione. Il caso dei Cinque stelle, con quella specie di loro ragazzata che è la piattaforma Rousseau, sa persino di ridicolo. E figuriamoci in nome di quanta democrazia i Cinque stelle e tutti gli altri partiti e partitini insorgerebbero unitamente, se venisse fuori la proposta di qualche legge che annulli i privilegi dei parlamentari o li limiti, unica cosa che sarebbe necessaria per guarire la politica, renderla efficiente per il paese, e che però solo un despota illuminato potrebbe realizzare.
Passiamo quindi a dire della globalizzazione, un vocabolo di cui non c’è politologo che non se ne riempia la bocca, e col quale si giustifica, quasi rassegnati, l’enorme aumento della sproporzione tra povertà e ricchezza: quella più scandalosa e diffusa, questa in mano a pochi. Perché globalizzazione significa soprattutto eliminazione di limiti e di barriere per gli scambi tra i popoli ma che favorisce soprattutto chi ha qualcosa da scambiare cioè i ricchi, gli affaristi; mentre pone fine alla tutela contro le sopraffazioni dei mercati e rende più difficile ogni sforzo di libera ma più diffusa acquisizione della ricchezza disponibile. Bastava invece favorire una più aperta gestione degli scambi, un più diffuso operare con senso di mediazione e di reciproco sostegno tra i popoli, soprattutto evitando i conflitti e il farsi guerre distruttive. Perché in fondo in questo sta la possibilità di progresso della civiltà, considerando oltretutto che l’identità dei popoli, che si esprime in nazioni, vige secondo un ordine naturale tutt’altro che facilmente cassabile e la celebrata globalizzazione sarebbe perciò strumento contro natura. E’ quanto in ogni caso si constata chiaramente se si pensa che ogni paese sembra aspirare più a essere in grado di difendersi e di sopraffare l’altro prima che pianificare rapporti vari e molteplici di convivenza e di reciproco sostegno. Onde il disporre di armamenti sempre più sofisticati sia da parte delle grandi potenze che di tutti gli altri stati che ne sono al seguito. E questo viene provato anche dal caso Europa, dove appunto l’orgoglio di nazione è rimasto talmente solido da relegare alla insolubilità i problemi della sua auspicata unione. Una solidità che pare corrisponda a una legge di natura etnostorica, se le varie nazioni di essa hanno creato delle strutture in vista di una possibile unità mentre invece tutte vi accedono per farvi valere ciascuna i propri interessi particolari. E con questo ce n’è abbastanza per intendere adeguatamente il presente e restare magari tra i pochi a viverlo e soffrirlo con un po’ di consapevolezza.
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