"C'è un orologio che segna ventiquattro ore, l'orologio dell'Apocalisse. Lo hanno messo a punto fisici nucleari calcolando l'effetto del surriscaldamento e quello della minaccia atomica. Sapete quanto manca alla fine del mondo? Poco più di due minuti" Erano parole di Gino Strada, che concludono il secondo dei tre capitoli di cui si compone il recentissimo "Non nel mio nome" di Michele Santoro edito da Marsilio.
Ma "quanto manca adesso dopo che si è staccata quella lastra di ghiacciaio e mentre la guerra in Ucraina sta diventando infinita? Pensateci: due minuti prima c'è tutto, i nostri bambini corrono per casa, la vita scorre; passano due minuti e non c'è più niente. Niente di niente. Tutto finito".
Il tenore di questa chiusa raggelante di Santoro grida ai quattro venti il pericolo di un conflitto nucleare in cui verrebbe annullata in meno di due minuti la distinzione tra invasori e aggrediti. Possibile che non si capisca che è scandaloso sol parlare di guerra mondiale nel terzo millennio? e perché la parola "pace" viene nascosta anche nella campagna elettorale italiana (l'unico parlarne è Papa Francesco)? e perché non ne accennano più i giornali italiani? Tutti ciechi e convinti verso il baratro.
Come invertire la direzione? La lettura che della storia recente dà Santoro può essere sicuramente opinabile per quanto scrive su quella che per lui è stata pericolosa abolizione delle libertà individuali per fronteggiare la pandemia. Non gli si può negare invece l'acume con cui focalizza l'ipocrisia politica della NATO nello spacciare guerre di aggressione per guerre di liberazione, fino ad arrivare alle tensioni odierne con gli esiti che via via sperimentiamo, per ora, solo sulle nostre tasche.
Un libro dunque che ci mette in guardia dal pensiero unico con l'intento di promuovere una partecipazione attiva del cittadino in un divenire della storia tra i meno rassicuranti di tutti i tempi.
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