Ingenti tagli a vitalizi dei parlamentari e pensioni d'oro, lotta al fenomeno dell'immigrazione clandestina e senza logica, riaffermazione del ruolo cruciale dell'Italia in Europa, e molto altro: ascoltando e riascoltando il discorso programmatico di Giuseppe Conte al Senato italiano, non si può non essere d'accordo su tanti dei punti d'azione analizzati e promessi dal premier del "Governo del cambiamento". Conte ha previsto uno scenario di rinnovamento e soluzioni, a partire dall’obiettivo primario fissato dalla nuova squadra esecutiva: riportare il cittadino al centro della questione politica. Ma forse è proprio per questa apparente assenza di disaccordo che si rende necessaria una riflessione: i punti affrontati nel discorso di Conte potrebbero mai essere messi in discussione? Che non siano forse degli appigli facili per chi, in un momento delicato della storia politica italiana, si pone l'obiettivo di convincere (e convincersi) di riuscire laddove nessuno ce l’ha fatta veramente?
Dalle agevolazioni fiscali per le imprese alla riprogrammazione delle città e delle pubbliche amministrazioni a misura di disabile, passando per l’introduzione del daspo per i corrotti, ascoltando Giuseppe Conte snocciolare i dettagli dei punti programmatici sembra davvero impensabile che un senatore, un addetto ai lavori o un comune cittadino possano decidere di alzarsi in piedi e dire “no”. Persino quando il premier alza la voce per affermare (educatamente) la propria autorità nell’aula di Palazzo Madama e silenziare chi rumoreggia, per poi riprendere il suo discorso, l’impressione è che l’opposizione protesti più per malumori pregressi, che per reale volontà di contrapporsi in quei frangenti.
D’altro canto però (e anche questa riflessione è forse d’obbligo), se il programma condiviso di cui Conte sarà garante mette in primo piano temi che il cittadino vede ormai distanti anni luce da sé, che colpa può averne il Presidente del Consiglio? A seguito del discorso al Senato, le accuse di populismo “dannoso e facile” sono piovute su Conte, come se da anni ci fosse lui a manovrare la direzione politica della Repubblica italiana; come se fosse stato lui a far accomodare una serie di non-eletti sulle poltrone dei palazzi della politica che contano; come se fosse stato sempre e solo lui a porre l’attenzione sul tema “tweet scandalosi sull’immigrazione clandestina” e non sul vero, annoso tema dell’immigrazione clandestina che l’Italia si ritrova a fronteggiare praticamente da sola, abbandonata dall’Unione Europea nelle acque teatro di morte di migliaia di esseri umani, e tra le mura di hotspot ridotti a sovraffollati centri di detenzione.
Come Conte stesso afferma - e conferma, visto l’interesse di tutta Europa sulla vicenda che lo vede oggi premier: se il populismo è espressione di una politica di ascolto dei cittadini e si concretizza in un anti-sistema che bonifica le aree inquinate del nostro paese, perché condannarlo? L’opposizione, quella vera, sicuramente presente tra i 117 senatori che hanno già votato contro la fiducia a Conte, risponderà senz’altro sul campo contrastando l’azione di governo tramite controproposte attive e sensate. Nel frattempo però il cittadino ha il diritto, ma anche il dovere, di vigilare sulle parole e tradurle in azioni. Su quelle di Conte, così come su quelle di chi lo sta già tacciando di comportamenti velenosi senza aver nemmeno mosso il primo passo. E forse sarebbe anche il caso di ridare lustro alla parola “populismo”, rimettendone significati e interpretazioni nelle mani dell’unico soggetto che li ha dimenticati: il popolo.
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