Il professore Giuseppe Conte, attuale presidente del Consiglio, è certamente persona di non comune levatura intellettuale e culturale, se, pur essendo nuovissimo ai primi piani della politica, ha ottenuto tanto prestigio in Italia e all’estero. E nessuno però ha rilevato quanto invece ha per noi profondo significato, cioè che il suo successo forse deriva proprio dal fatto che egli è emerso al difuori dei soliti e noti apparati politici, oggi ormai marci e consunti. Perciò soggetto nuovo e pulito. Il caso ha voluto che sia stato designato dai Cinque stelle. Questo però ora ha il suo peso, ed un conto oneroso che gli si presenta da pagare, in quanto detto movimento, che aveva massimo credito in sede di protesta, giunto ad assumere responsabilità di governo, ove mediazione e compromesso sono tutto, lo ha un po’ trascinato nel suo improvvisare e rischia di travolgerlo con le pretese irriflessive e contrastanti di una base irrequieta. E questa è già una spiegazione della situazione in cui si dibatte la politica italiana del momento: un governare che richiede fatica oltre misura e che procede come stando sempre in bilico sul vuoto, con problemi sempre nuovi e sempre di più difficile soluzione. Occorrerebbe a sua volta che chi è a capo sia guida non solo lucida e sicura, ma anche libera e spedita, sorretta da solida fiducia e in un contesto di contributi da parte di politici che tendano all’unità. Invece nel presente, il contesto è giornalmente alquanto agitato e reso precario da una dialettica micidiale tra personalismi corrivi e solo avidi di potere. Sembra non ci siano più idee o principi a suggerire posizioni e scelte di governo e che non importino più i progetti utili al futuro del paese; e in tale condizione anche un soggetto pulito rischia di sporcarsi di fango appiccicoso.
Purtroppo il panorama della cosa pubblica oggi ci offre personaggi che giovano soprattutto ai battibecchi sterili e agli sproloqui tribunizi e talvolta sboccati della televisione. Sono infatti sempre gli stessi che infestano i telegiornali, che poi sono sempre strumenti di regime, magari non più unico ma quasi. Ci sorbiamo continuamente il Di Maio, che è un concentrato di supponenza e di presunzione; il Salvini col dente avvelenato per i pieni poteri che gli sono sfuggiti una volta, e che ora ostenta di avere già in tasca coi sondaggi. Personaggio pittoresco questo, specie pensando a quando fa i comizi brandendo corona e crocifisso, cosa ridicola e di pessimo gusto ma che lui sa di effetto presso molto zuticume lombardo-veneto ed ora, a quanto pare, anche presso il cardinale Ruini. E, dietro questi due, la Meloni che ridà numeri e speranze ad uomini tutti d’un pezzo come erano i camerati; ed ancora Berlusconi che non si rassegna ad essere divenuto politicamente marginale. E senza dimenticare Renzi, un esemplare di sfacciata libidine a voler fare la prima donna a tutti i costi, se ha potuto rinnegare il partito di cui era a capo invece che contribuire a risollevarlo, e creare un suo clan onde assicurarsi applausi esclusivi. E, intendiamoci, non si tratta di personaggi che politicamente non abbiano ciascuno qualcosa da dire, solo che per essi la smania del prevalere soggettivo supera l’interesse per gli obiettivi concreti del far politica, il futuro per loro è solo il seggio e il numero di seggi da conquistare nella imminente tornata elettorale. Per questo non fanno che cercare di mostrarsi più furbi, alimentare il litigio, fare dichiarazioni e battute, vantare il distinguersi su ogni questione. E se si presenta un guaio, la colpa è rovesciata sempre solo sulle spalle di chi regge palazzo Chigi. Se si tratta di disporre una manovra, tutti a tirare l’acqua al proprio mulino, senza considerare cosa e quanto si ha sul tavolo da trattare. Tutti a volere ottenere quanto promesso al proprio elettorato, a costo di mandare il paese alla malora, rabbiosi come tanti cani sopra un osso, senza tenere conto che, come nel caso di questi giorni, può trattarsi di osso già per sé spolpato.
A questo punto, se noi fossimo in Conte, faremmo, come mossa scioccante, un discorso alla nazione tipo quello famoso di De Gaulle nel’68; o, magari, cercheremmo il modo di far giungere a tutti gli italiani, che sono smarriti, preoccupati e indignati, un messaggio speciale che smascheri l’ambiguo giuoco dei politici e dei loro poveri interessi. Che al paese vada una voce onesta, valida a spiegare come stanno le cose e come senza inganno possa affrontarsi la realtà. L’Italia nella congiuntura politica internazionale resta un paese fragile, ha un debito pubblico che non le consente di alzare troppo la voce come vorrebbe fare Salvini; che non può uscire dall’euro e per starci subendo meno guai e mantenere un posto dignitoso nel contesto europeo deve scegliere le giuste alleanze, quelle che pure le consentano di sostenere le oscillazioni nell’equilibrio mondiale; che occorre quindi il barcamenarsi non gridando e litigando ma usando voci diplomatiche di mediazione; che le esigenze del nostro paese, vecchio e vittima di molte, ataviche trascuratezze, anche criminali, sono varie, troppe, e contrastanti tra il nord e il sud di esso, per cui si fa quel che si può ma non può pretendersi molto e non si può sperare in magie risolutive; che attualmente rischiare di compromettersi con un sovranismo antistorico e tra i pericoli della demagogia parafascista, sarebbe catastrofico. Sicché nel paese si rifletta bene su tutto questo, specie quando e se accadrà di tornare a votare. Dovrà tornare il tempo civile degli uomini onesti per i quali fare politica è servire piuttosto che servirsi del potere.
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