A trent’anni dalla morte si torna a parlare di Leonardo Sciascia, figura eminente nel panorama della cultura non solo siciliana, ma che di siciliano soprattutto aveva una dote fondamentale: l’acume critico-analitico sull’attualità viva, umana e sociale. E se si torna a parlarne, lo si fa anche riportando le polemiche che accompagnarono i suoi interventi, le sue posizioni dagli anni 70 in poi, sì da potere affermare che Sciascia ancora oggi rappresenta un caso singolare, una presenza discussa nella cultura contemporanea, pur restando senz’altro degna di onori e celebrazioni. Si badi però, discussa non tanto come scrittore né perché colpevole di qualche brutto vizio da uomo pratico, ma per le posizioni di tipo politico assunte in situazioni scottanti della recente storia del paese. Infatti, lui che era entrato appieno nel Partito comunista e che da comunista aveva assunto anche delle responsabilità pubbliche, dai comunisti prese clamorosamente le distanze sia circa il fenomeno delle Brigate rosse e sul caso Moro in particolare, quello che il massimalismo dei capi non gli poteva perdonare; sia per l’ostentazione di una mentalità distaccata dall’ipocrita populismo di una sinistra imborghesita e connivente con gli apparati del potere corrotto e corruttore. Famosa la battuta: né con loro né contro di loro; una posizione che vedremo coincidente, guarda caso, con quella di Vittorini e di Pasolini.
Insomma il comunista Sciascia si rivelava falso comunista, meritevole di scomunica da parte dei magnati del partito, con allora Guttuso in testa. Al che si aggiungeva l’accusa che in fondo il suo comunismo era stato solo opportunismo per fare carriera, in quanto solo stando a sinistra si entrava tra le frequenze e i programmi delle case editrici di prestigio. Né allora era di poco conto l’aggiungersi alla polemica quel tanto di astio che pur serpeggiava contro di lui negli ambienti paesani. Da ricordare, a proposito, che un noto cantastorie dell’epoca, gli dedicava questa specie di strambotto: Ciaschiteddu di velenu / chi camina tirrenu, tirrenu ; alludendo forse ad atteggiamenti o dispetti coi quali sotto sotto dava fastidio.
Ora che è passato del tempo è facile per tutti plaudire alle celebrazioni del personaggio e, come sempre accade, intestarsi le sue idee e vantare di esserne stati sempre seguaci. E fa certo impressione che quel certo culturame di sinistra, quello che in Sicilia ritiene sempre di avere l’esclusiva nell’episodica culturale, parli di Sciascia senza avere ancora fatto ammenda di non aver compreso le sue più che motivate reprimenda. Comunque, a parte il ritorno alle polemiche solo a scopo informativo, a parte il celebrare dovuto da parte degli ammiratori sinceri e di quelli fasulli, sarebbe invece il caso che su Sciascia ci si riunisse per un discorso critico che ne definisca il posto nella storia letteraria e faccia pure luce su gli aspetti di quegli anni tormentati che ne influenzarono la visibilità. Allora verrebbe fuori che Sciascia resta caso fondamentale come dissidenza rispetto al massimalismo rosso; ma anche che alla ideologia antipotere, allora democristiano, faceva contraddizione in lui l’accondiscendenza sul piano pratico a quel potere, per quanto gli offriva credito e favori pratici: un particolare che spiegherebbe il molto e il come di quello che passava e forse ancora passa nel far cultura in Sicilia, soprattutto in quel di Palermo per chi ha le stanze disponibili dei suoi assessori. Soprattutto, con distaccato studio critico, potrebbe stabilirsi anche la esatta dimensione di Sciascia narratore. Perché come tale non fu un grande, cioè non fu un romanziere la cui esperienza riflessiva sia giunta a toccare profondità universali, emblematiche e poetiche, dell’esistenza. Oltre i due gialli più indovinati, Il giorno della civetta e A ciascuno il suo, fu piuttosto un panflettista, ora di maggiore ora di minor respiro, impegnato nella dialettica sociologica e politica del tempo, cui prestava lucidità intellettuale e spesso rara arguzia. Una scelta in fondo che ne esalta la personalità e per la quale gli si deve comunque gratitudine. Fu soprattutto un grande intellettuale, le cui pagine rivitalizzavano la grande tradizione illuministica dei siciliani europei, indagatori e anticonformisti, maestri di chiarezza d’intenti e di scrittura, perciò meritevoli di elogi oltre ogni riserva.
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