In Italia non si nasce o, più correttamente, si nasce poco, si vive più a lungo, ma di sicuro si muore. Per cui il paese è sulla via di un impoverimento demografico assai preoccupante. La cosa è stata in discussione particolarmente in questi giorni, anche con l’appello del presidente della Repubblica che ha lanciato l’invito a far di tutto per creare e sostenere le famiglie. Il problema però è di portata epocale e quindi di non facile soluzione; né ci si può illudere di affrontarlo con i soliti incentivi, come se, distribuendo qualche soldo in più e promulgando qualche agevolazione fiscale si possa ottenere che si facciano più figli. Esso piuttosto va investito nelle cause, curando anzitutto di individuarle ed analizzarle.
La prima di queste è senz’altro di carattere etico-sociologico. Le coppie oggi si formano secondo i criteri di una società tutta protesa al provvisorio, all’affermazione nell’immediato, allo sfruttamento perciò dell’occasione e della casualità, ove la precarietà è la regola e il successo appannaggio di pochi, sicché i figli da generare, accudire, possono risultare un inciampo. E l’uomo e la donna che oggi formano coppia, date tali premesse, sono disposti alla rinuncia, alle limitazioni che il generare figli impone? L’impressione è invece che oggi la formazione di una coppia, in ossequio alla società godereccia, sia nient’altro che l’unione di due egoismi.
C’è poi da mettere nel conto una profonda motivazione, diciamo, culturale; e riguarda altresì lo spirito dell’epoca. Fare figli è confondere il se stessi in una specie di sintesi di amore e sacrificio da cui proviene la nuova vita che si fa nascere. Qualcosa che ha a che fare con la poesia; perché l’essenza del generare la prole è si nella procedura biologica regolata dalla scienza, ma nulla spiega pienamente l’ineffabile emozione suscitata dai primi vagiti se non il riferimento ad un incipit che è stato un atto d’amore. Ne consegue come ovvio che quanto pur nella realtà dolorosa di una nascita sa di poesia, difficilmente trovi considerazione nel tipo di società cafonesca, regolata dai furbi, nella quale siamo immersi. Ed è su queste considerazioni riguardanti appunto l’idea della coppia che oggi a tutto pensa che a far figli, che si prescinde dalla tradizionale e affascinante prerogativa del generare; al che può legarsi anche l’esaltazione che si è finito per fare delle coppie omosessuali; cioè (precisiamo a scanso di equivoci), si valuta l’equiparare di tali coppie a quelle tradizionali, come se il generare figli per una coppia sia di nessuna importanza, un optional oggi tutto sommato superfluo.
E infine, non certo ultima ed indifferente motivazione, quella più schiettamente economica. Fare figli comporta un grave senso di responsabilità, per cui, se non ci si sente di averne abbastanza, ci si comporta di conseguenza. A chi, dove, in che modo oggi si consegna una nuova creatura alla vita di tutti? Con quali mezzi, con quali strumenti oggi una coppia dispone la nuova creatura ad affrontare la crescita? E si è in grado o meno di fornire basi solide perché detta crescita si verifichi in condizioni adeguate e non viziate da mortificante dislivello sociale? Sono le domande che una coppia seria si pone e, se non trova risposte chiare, evidentemente si astiene dal fare figli. Anche perché ben sa quel che l’aspetta in uno Stato civile la cui burocrazia considera la famiglia un’istituzione per sostenere i comodi del suo sussistere. Sa che essere genitori, specie n Italia, è incorrere in una serie di obblighi e di complicazioni tassative: basti solo pensare alla faccenda delle vaccinazioni e alle molte vessazioni cui si va incontro nei vari gradi dell’iter scolastico, e infine al tempo in cui un figlio magari lo si avvia ai concorsi per assistere sempre al trionfo dei raccomandati. Insomma a far figli, oltre il senso di responsabilità, ci vuol coraggio e in troppi non ce l’hanno.
Detto questo, ecco che è giusto che qualcosa la politica si decida a fare ma, come abbiamo sopra rilevato, si smetta di illudersi che inventando assegni e contentini ci si possa mettere il cuore in pace, perché è anzitutto questione di mentalità da cambiare, e solo in vista di un’epoca nuova, dove l’uomo torni a contare di nuovo e di più, con gli affetti, la solidarietà, contro l’usura e ogni perversione del potere, nelle sue varie forme.
Purtroppo questa mentalità non pare che si curi. Anzi. Allorché invece si va dicendo di puntare sui flussi di migranti perché questi possono colmare la nostra crisi di nascite, non si fa che eludere il problema, cioè lo si fugge sovrapponendogliene un altro: quello delle difficoltà della cosiddetta integrazione. Non tenendo conto, a proposito che, a parte il favore che si fa a negrieri e imprenditori criminali, l’integrazione tra diverse culture mai avviene se non per sopraffazione dell’una sull’altra, per cui circa il futuro prossimo d’Italia ci sarebbe da stare poco allegri. E di questo auspichiamo consapevolezza.
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