La democrazia è senz’altro una bella invenzione per i sistemi politici, solo che dal punto di vista pratico la storia ci dice che non sempre è funzionale. La grande democrazia di Atene, che suoliamo celebrare, ci riporta all’età di Pericle, ma questi era in realtà nient’altro che un dittatore illuminato. Nei tempi moderni la democrazia per essere funzionale al governo di uno stato ha bisogno di cittadini con adeguate doti di riguardo verso il bene comune, essere parte di una coscienza collettiva che il bene comune considerano primario. Non è il caso dell’Italia. Gli Italiani, come popolo, si distinguono per due caratteristiche: quella di considerare la cosa pubblica, cioè quanto concerne gli apparati custodi e distributori delle risorse, un campo ove destreggiarsi per scroccare a proprio favore sempre più e meglio; e quella di considerare propria patria quella in cui ci si ritrova di più per identità di costume, dialetto, tradizioni, in sostanza la propria provincia.
Evidentemente l’evoluzione degli ultimi secoli ha portato cambiamenti e sistemato gli apparati degli stati dietro il concetto di nazione con relative istanze di grandezza e di prestigio. Anche l’Italia ha avuto il suo iter progressivo di unità delle sue parti geografiche, che l’ha portata ai livelli di grande paese europeo, ma a ben guardare come sono andate le cose e come vanno, le due caratteristiche del suo popolo di tanto in tanto sono affiorate ed ora si evidenziano prepotentemente.
Cosa hanno significato i frequenti processi contro fenomeni di corruzione e contro i politici corrotti, se non che lo scroccare contro il bene comune è una prassi del paese? E cosa può significare avere il bisogno di costituire addirittura un’autorità contro la corruzione se non riconoscere che per l’Italia questa è un male endemico che ha bisogno di cure costanti? E male endemico è altrettanto quello di ribadire in vari modi il divario economico tra il nord e il sud del paese, a dimostrazione che la sua unità non si è in realtà mai avuta. Le regioni del nord Italia che continuano a reclamare la difesa della loro distinzione e considerano il potere di Roma un ostacolo da contrastare; e le Regioni del sud, dal Lazio alla Sicilia, che recriminano la lunga incuria dei governi democratici, il falso sovvenzionare e il sostanziale abbandono all’arretratezza. Questo è quanto significa il dibattito di questi giorni, ora che al Nord se ne sono venuti fuori, subdolamente, con la bella invenzione delle autonomie differenziate.
Ed è inutile stare a chiarire e a volere distinguere. Quel che chiedono le regioni del Nord, in particolare Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, è di disporre di risorse finanziarie e strutturali tali da farne uno stato a sé nel rimanente dello Stato fattosi di conseguenza più povero. E in questa richiesta di differenziazione c’è tutta una mentalità che non lascia dubbi: basti pensare che si vuole differenziare ed esclusivizzare il sistema educativo-scolastico. Una follia per chi è convinto che l’Italia sia un paese ancora unito.
La verità è che il Risorgimento che ha unito l’Italia fu opera di idealisti e di una fase della storia densa di istanze retoriche, cui il paese, diviso da secoli e restio ai cambiamenti, non era forse adeguatamente preparato. Fu unito per l’astuzia del Cavour, occorreva col tempo immettere concrete motivazioni e progettazioni economiche di omogeneo sviluppo delle sue parti, occorreva fomentarle orgoglio di nazione. Cose che i vari Governi, da già dopo l’unità non hanno mai fatto. Già con Giolitti il sud serviva per dar fiato al potere centrale che incrementava la ricchezza altrove mentre instaurava il sistema di tacitare il sud con sovvenzioni straordinarie, le quali alimentavano la corruzione delle classi dominanti locali. Quel che oggi si continua a fare. Qualche retorica unitaria in più si ebbe col fascismo; ma la delusione maggiore viene dalle fasi del potere democratico dal dopoguerra ad oggi. Ebbene nulla si è creato e si è speso per affrontare il divario sempre latente tra il sud e in nord del paese, anzi si sono succedute tornate elettorali con preminenze ora di destra ora di sinistra senza che si sia mai preso in considerazione il problema. Anzi, in una straordinaria atmosfera d’indifferenza, tempo fa si sono lasciate fare votazioni in vista di questa distorsione dei poteri delle autonomie regionali quale ore si rivendica. Perché forse non si è stati in grado di distinguere il senso di una democrazia che vota, del perché vota. Si è creduto che basti che il popolo si esprima con delle schede per tenere in piedi un sistema democratico, anche se conseguentemente il paese va alla malora.
Certo la democrazia su basi elettive oggi è come implosa. Si vota per i Comuni, si vota per le province, per le Regioni, oggi qua domani là, si vota per il governo centrale, si vota per i referendum, insomma si va continuamente alle urne e si è in costante campagna elettorale, ma ormai solo per favorire i personalismi. E non sempre di buona qualità. Anzi, ne abbiamo visto e ne vediamo di tutti i colori, con le facce allegre a promettere cambiamenti e miracolose novità, in barba alle esigenze reali del paese, e con gare di protagonismo che sanno spesso di farsesco. Il sud suole fornire buoni uomini di stato, da Crispi a Mattarella, ma si vuole ancora che resti sud differenziato. E questo purtroppo nel colpevole silenzio di intellettuali e di chi opera nel mondo della scuola, tra i giovani, dove invece andrebbe ben ripristinato lo studio critico della storia per definire una buona volta cosa ne abbiamo fatto e ne facciamo del Risorgimento e dell’unità d’Italia, se resta speranza che in futuro l’Italia-penisola conti sempre come stato davvero unito, con ritrovata dignità.
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