Non credo ci sia da aggiungere molto a quanto abbiamo già detto ai nostri lettori circa la vicenda drammatica che stiamo vivendo – chiusi in casa, impotenti e atterriti, sotto l’incombere di un virus perverso -, cioè che tutta la nostra sicumera tecnologica e scientifica è stata sconfitta in un niente e solo ci è lasciata la speranza che la sorte ci risparmi. C’è però il problema del dopo ed è sul dopo invece che ci sarebbe da dire molto. Infatti pare già diffusa la convinzione che la burrasca passerà e tutto possa riprendersi come prima e in tutti i sensi insomma si possa tornare a godersi la pacchia, come nulla fosse accaduto, perché così è stato sempre, come se l’accaduto non debba lasciare alcuna grave lezione. E sarebbe grave errore. Anzitutto perché è saggio considerare che il passato in genere non torna perché nulla torna mai uguale dopo una tempesta, poi perché quanto sta accadendo non è certo che abbia davvero una conclusione e non piuttosto si attesti in qualche modo come novità negativa fattasi latente o non lasci codicilli non indifferenti. Ma soprattutto non è possibile che quanto di raro ed inusitato sta accadendo non comporti un seguito di opportuni avvertimenti e di necessari ripensamenti. Non è possibile che non conseguano rientri della coscienza civica e addirittura non si riveda tutto un modo d’intendere la società umana e l’idea del suo evolversi nel tempo. Sarebbe un’occasione sprecata, un rimarcare la banalità intellettuale quale vige oggi nei social, il definitivo barattare il concetto di intelligenza umana con quello del “tutto ormai funziona in digitale”. E termini social e digitale fanno bene ironia su un’umanità alquanto a corto di sentimenti e di buon senso, che vorrebbe illudersi, per esempio, come per il campionato di calcio basti solo spostare delle date, onde Ronaldo e sgambettatori simili continuerebbero a percepire scandalose cifre, tre volte quelle degli scienziati. E illudersi che ogni affarismo torni spregiudicato a regolare ogni campo di attività, compreso quello degli ospedali oggi in tilt. Sarebbe davvero segno di barbarie irredimibile, non essendo più in grado questa nostra epoca di rifondare principi spendibili in proiezione futura, di rassicurare le giovani generazioni, ove non si va oltre l’immediato usa e getta, imbrigliati in un processo disumanizzante.
Dunque quanto sta accadendo gioverebbe piuttosto a costringerci ad una revisione radicale del modo di stare in questo mondo da parte dell’individuo, oltre a quello che storicamente ne costituisce il vissuto generale, cioè la politica. (Mettendo da parte però – diciamolo in parentesi - che qualche indagine coraggiosa andrà fatta, se c’è pure qualche video che denuncerebbe di questo virus già nel 2015!).
Intanto la lezione ha un prima pagina evidente. I politici, non solo quelli italiani, si sono rivelati del tutto impreparati all’occorrenza. E’ vero infatti che le sventure epocali sono imprevedibili, ma quando colpiscono la società organizzata, ci sarebbero gli organizzatori che sanno quel che c’è da fare per limitare i danni e lo sanno certo un po’ meglio di come s’è visto fare in queste settimane. In Italia poi, a ben osservare, i politici, avvezzi ormai al fatto che il fare politica si è ridotto a faccenda di personalismi esasperati, si è scontato il massimo della disorganicità, dell’incertezza e dell’allarmante chiacchera televisiva; mentre risultava sempre più chiaro che l’opinione pubblica considera la politica qualcosa che già li riguarda poco, perché i suoi problemi sono altri e sono concreti e scottanti. Ci sono poi altre evidenze rimarcate con questa epidemia, non ultima quella della vera entità del legame tra le varie nazioni d’Europa: fino a che punto esso ha reale consistenza? E funziona, senza se e senza ma, nelle emergenze? Ancora una volta è sembrato di no e la necessità che urge è offuscata da prese di posizione equivoche o arrangiate. Come pure è bastato l’incombere di una calamità di enormi proporzioni come l’attuale, per far riemergere l’atavico inconveniente del nostro paese, quello di essere male unito e pretestuosamente amministrato in forma regionalistica; sicché si delineassero ancora una volta le distanze tra il suo nord e il sud e perché si ripetesse la mal celata conflittualità tra poteri centrali e quelli dei Governatori delle varie regioni, illusi forse di averne acquisita una specie di sovranità assoluta e poter fare campanilismo. Insomma la materia in oggetto è più che cospicua ed occorrerebbe forte volontà generale per metterci mano. Chi sa se lo sconvolgimento attuale, benché crudele lezione, non sia l’occasione buona per trovare la tanta chiarezza che occorre. Una buona volta per tutte.
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