Alla visione di Blonde di Andrew Dominik, film di circa tre ore presentato alla Biennale Cinema di Venezia e tratto dal voluminoso romanzo omonimo della scrittrice americana Joyce Carol Oates sulla vita di Marilyn Monroe, si rimane anzitutto scioccati dall'insistenza con la quale ci si sofferma sui momenti più scabrosi dell'infanzia di Norma Jean Baker e delle prime esperienze con il nome d'arte, qualcuna peraltro inventata (il torbido rapporto a tre con un figlio di Chaplin ed uno di Edward G. Robinson).
Allo spettatore non si risparmiano pugni allo stomaco: J.F. Kennedy costringe l'attrice a una fellatio con preliminari alla vista dei suoi assistenti e con telefonata in corso; la poveretta viene ripetutamente posseduta da produttori interessati al suo lancio mediatico; c'è persino un'audace visione intrauterina durante uno degli aborti.
La tesi del regista, a dispetto del grande impegno profuso, è semplicistica: Norma Jean Baker non perse mai la propria fragile identità e accettò supinamente il ruolo di svampita cui la costrinse lo Star System hollywoodiano andando a sbattere contro una ingravescente depressione dalla quale non si riebbe fino alla prematura fine dei suoi giorni.
E' questa dunque la pietra tombale con cui si manda in archivio il mito di Marilyn? Federico Pontiggia, a proposito del film, non usa mezzi termini sul Fatto Quotidiano del 9 settembre: "Blonde è vilipendio di cadavere".
Per la rivista Sentieri selvaggi si tratta di "un film scomposto. Che certamente corre il rischio di essere morboso quanto gli uomini che vediamo approfittarsi della star: Ma come lo giri e riavvolgi di Blonde non ci si libera facilmente".
Forse a questo punto è il caso di chiedersi come mai l'industria hollywoodiana ha fallito ogni qualvolta ha tentato di riproporre il 'facile' modello Monroe con altre attrici (Jayne Mansfield su tutte). Il mito non è stato minimamente scalfito. Chiunque può facilmente constatare che qualunque sia il soggetto di un film, quando irrompe Marilyn si ha la netta sensazione di una presenza 'speciale', di sublime ed ingenua femminilità rassicurante per grandi e piccini. L'armonia delle forme, la purezza dello sguardo non rimandano ad altro che non sia limpida poesia in fattezze umane.
Andy Warhol ne indagò presuntuosamente il volto - "Nel futuro, disse, ognuno sarà famoso per quindici minuti" - con le celebri serigrafie, e Giulio Carlo Argan nella sovraccopèrta della sua Storia dell'Arte Moderna (1770-1970) ne mise una. Forse entrambi inconsciamente attratti dall'enigmatico splendore di quel volto.
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