Il 25 agosto scorso, il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio ha ascoltato alcuni funzionari del Viminale sulla vicenda della nave Diciotti, che prima di sbarcare è stata per cinque giorni ferma in rada nel porto di Catania con a bordo i migranti che trasportava, e ha tratto conclusioni che hanno portato a una scelta drastica: Matteo Salvini, ministro dell'Interno italiano, è stato iscritto nel registro degli indagati. Pesantissime le accuse a lui rivolte: sequestro di persona, arresto illegale e abuso d'ufficio. La vicenda era chiaramente destinata a non finire com'era iniziata, e la controffensiva di Gianni Alemanno - sotto forma di denuncia per attentato contro i diritti politici del cittadino - è già pronta per Patronaggio stesso. Ma Salvini è davvero colpevole?
Patronaggio non è un giudice qualsiasi: in carriera ha affrontato persone e situazioni di ogni genere, come l'ex senatore Marcello Dell'Utri e il generale Mario Mori - coinvolti nella trattativa Stato-mafia e condannati nel relativo processo - o gli assassini del beato don Pino Puglisi, motivo scatenante minacce di morte che lo portarono a lasciare Palermo. E per far luce su un caso montato per mano di cotanta autorevolezza e autorità, Il Manifesto si è rivolto a un uomo di altrettanta levatura giuridica e caratteriale: Carlo Nordio, pm che nel palmarès annovera le indagini sulle Brigate Rosse venete prima e su Tangentopoli poi, in un editoriale fa notare punto per punto come la tesi di Patronaggio possa in realtà essere attaccabile - e come, proprio in questo modo, con ogni probabilità, verrà attaccata nelle sedi opportune. Ciò che ne emerge è una netta contraddizione tra ciò che la legge dice, e ciò che invece per molti italiani dovrebbe dire.
Sequestro di persona - Nordio dice che "se Catania era solo un porto di transito, il problema ovviamente non si pone. Se invece era quello di approdo, è valutazione discrezionale del Ministro decidere se uno sbarco sia compatibile con l'ordine pubblico". In questo caso, quello che il giudice definisce "un paradosso" sarebbe dovuto all'impossibilità di imputare alla persona di Matteo Salvini il reato, in quanto nel peggiore dei casi la decisione sarebbe comunque nelle sue piene facoltà. Eppure il concetto di sequestro, non necessariamente applicato alla condotta di Salvini, non sembra così lontano dalla "segregazione in mare" a cui sono stati costretti non soltanto i 137 migranti a bordo della Diciotti, ma anche tutti coloro che per vocazione e contratto hanno prestato servizio e soccorso - ormai una cosa sola - a bordo della nave della Guardia Costiera. Se poi si considera che parte di ciò è avvenuta in acque italiane e per mano di italiani, l'impunità di un atto del genere non necessariamente può essere la strada più edificante per un paese civile. A prescindere dalla carica ricoperta da chi prende le decisioni.
Arresto illegale - Questa accusa presupporrebbe, dice Nordio, un arresto in senso tecnico. Ciò che il giudice fa presente, però, è che agli atti non risulti nessun arresto in assoluto. Come si può accusare qualcuno di un reato senza prove né fondamenti? Per quanto riguarda l'arresto sul quale tenta di far presa Patronaggio, è probabile una disfatta giuridica. Anche qui, però, è difficile marcare un netto confine tra il mettere le manette ai polsi di qualcuno e il trattenerlo in mare aperto in nome di leggi e trattati internazionali, per il rispetto dei quali - come ribadito nel punto precedente - Salvini non è certo l'unico "imputato" sul banco. L'Europa rimane comunque a guardare, mentre Malta spedisce lontano dalle proprie acque oggi questa nave, domani quell'altra. Sforzo di Patronaggio a parte, pare proprio che Nordio abbia centrato il punto.
Abuso d'ufficio - Per Nordio, le intenzioni di Patronaggio sono chiare: quest'ultima imputazione altro non sarebbe che una "rete di protezione per eventuali derubricazioni delle ipotesi precedenti”. Il magistrato aggiunge che difficilmente lo stratagemma potrà aggiungere della sostanziosa carne al fuoco, in quanto le decisioni prese dal ministro Salvini - a suo dire, legalmente - hanno un carattere altamente discrezionale e quindi difficilmente ascrivibili all'abuso di ufficio contestatogli. Se pure non sarà abuso d'ufficio come strettamente inteso nel penale, è quantomeno uno spunto di riflessione il fatto - condannato da un altro "collega" vittima e carnefice, il sindaco di Palermo Leoluca Orlando - che a bordo della Diciotti sia emerso il sottile confine tra ciò che il dovere impone alle forze dell'ordine e ciò in cui questo dovere viene trasformato dalla politica, senza diritto di replica, "Perché così è, e così dev'esser fatto".
A questo punto, è d'obbligo riferire due precisazioni che Carlo Nordio fa a ragion veduta: quella di non essere un amico di Matteo Salvini, e quella riguardo all'apparente "sabotaggio" di Patronaggio, che, precisa, non solo non è tale, ma non è nemmeno mosso da motivi politici o personali. Nordio contesta in particolare due aspetti che esulano da nomi e cognomi e da "chi ha fatto cosa", in favore di obbiettività e correttezza:
Noi faremmo dipendere la sopravvivenza di un ministro, e magari di un governo e di una legislatura, non solo da un'eventuale iniziativa improvvida di un magistrato operoso, ma addirittura da quella, interessata, di un cittadino motivato. [...] L'idea che le Procure possano intervenire nelle scelte migratorie è non solo bizzarra, ma irrazionale e ingestibile.
Il motivo di questa prima contestazione starebbe nel fatto che le scelte di un politico possono essere giudicate e sanzionate dal suo elettorato, mentre nessuno può intervenire su eventuali scelte sbagliate dei pm. E poi ancora, in un articolo su ImolaOggi:
L’iniziativa del Pm di Agrigento è certamente lodevole, tuttavia ci permettiamo di ricordargli, sempre in virtù della nostra anzianità, che i confini tra la solerte diligenza e l’esibizionismo imprudente sono sottili e incerti.
Lo scenario si complica ora dopo ora, con Luigi Patronaggio da un lato, che si prepara a fronteggiare una "macchina del fango" civile e politica pronta a travolgerlo senza fare prigionieri, e Matteo Salvini dall'altro, consapevole di avere dalla sua l'elettorato leghista e la sempre più diffusa approvazione popolare in merito a quanto fatto finora in tema di immigrazione e chiusura dei porti. Rimane aperta la porta per un "terzo incomodo" della vicenda: il qualunquismo di chi, tra uno schieramento e l'altro, ne può approfittare per tirare delle somme che stigmatizzano l'uno o l'altro protagonista, in nome della legge tale e quale, o di valori che non potranno mai essere incarnati alla perfezione né dalle presunte vittime, né dai presunti carnefici. Nessuno escluso, o quasi: chiedere a Genova, dove mai sarà dimenticata quella strage di 43 innocenti che forse mai avrà un vero colpevole.
Fonte: Il Manifesto; ImolaOggi
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