Le parole pronunciate da Ursula Von der Leyen, in occasione dell’anniversario dell’Unione Europea, rivelano un apprezzamento per l’Italia a tal punto intenso da generare un inusuale sentimento di compiacimento e di orgoglio.
Siamo invero abituati a giudizi che, pur ponendo non di rado l’accento sulle bellezze artistiche e paesaggistiche, sulle eccellenze e sulla creatività, sono improntati a marcate critiche – molte delle quali a ragion veduta – nei confronti di un sistema Paese di cui vengono sottolineate inefficienze e disfunzioni le quali non rinvengono paragoni negli Stati che, per dimensioni e progresso socioeconomico, sono a noi culturalmente affini.
Se poi quel giudizio è formulato da un rappresentante di Istituzioni estere o internazionali, assai frequentemente esso si risolve in ferme e recise censure nei confronti di quella che viene identificata come una sorta di arretratezza ad ampio spettro.
Di qui il moto di compiacimento, al quale accennavo, per quanto dichiarato dalla Presidente della Commissione Europea. Vi si coglie nitidamente la considerazione per quel che l’Italia rappresenta in termini di storia del patrimonio di idee in una prospettiva tesa ad alimentare il dibattito sui nuovi scenari del futuro; inoltre, per quel che l’Italia ha fatto durante il lungo periodo pandemico e, ancor prima, per l’approccio assunto, tenuto peraltro conto è stato il primo Paese occidentale a doversi confrontare con la crisi sanitaria e la conseguente paralisi economica.
Evocare il Rinascimento – e Firenze in primis, come città da cui tutto parte e si irradia – come modello di ripartenza, assume un precipuo significato: riconosce che l’Italia può contribuire in modo determinante alla nascita di una visione nuova dei rapporti umani e degli assetti socioeconomici.
Nel movimento che nel sedicesimo secolo si radicò, recidendo i legami con le imperanti concezioni dell’epoca medioevale, la svolta fu decretata dall’investimento nella forza, nell’intelletto e nel talento umano, il quale diede vita a un progresso a tal punto repentino e innovatore che a molti diede netta la sensazione di essere in presenza di una trasformazione di sogni, a lungo coltivati, in realtà.
I talentuosi, versatili e titanici esponenti della cultura (a tutto tondo: letteraria, artistica, scientifica, ingegneristica) del tempo, grazie anche a virtuosi fenomeni di mecenatismo, aprirono nuovi varchi (attraverso scoperte, alla cui base vi era il largo ricorso alla matematica e alla fisica, riguardanti, solo per fare qualche esempio, il corpo umano, il calcolo del tempo, le nuove rotte) che valsero a tratteggiare una netta e definitiva cesura rispetto al passato e a gettare le basi della modernità.
L’importanza di un siffatto riconoscimento da parte delle Istituzioni europee è immediatamente intuibile, poiché reca con sé piena consapevolezza dell’esigenza di dar vita a un movimento di pensiero che si dia carico di promuovere un radicale mutamento culturale, coniugando ciò che per tanto, troppo tempo, è stato vissuto secondo logiche di (inaccettabile) contrapposizione: mercati, economia, salute, benessere, ambiente, dignità, libertà fondamentali degli individui.
Vi è un ulteriore riconoscimento, con correlativa ammissione, nelle parole della Presidente della Commissione europea sul quale val la pena di indugiare. Al di là delle contese e delle scaramucce politiche – di cui ogni lettore minimamente avveduto avverte le ragioni motivazionali – le quali valgono a sancire la diversità, innanzitutto per ragioni ideologiche, dei singoli movimenti politici, Ursula von der Leyen dà atto del ruolo fondamentale che il Governo italiano ebbe al momento della deflagrazione della pandemia. E ciò facendosi promotore di un appello affinché l’intervento, nei confronti dell’incipiente crisi, fosse unitario, alla stregua dei fondamentali canoni della solidarietà e della cooperazione.
Un approccio in prima battuta vissuto con freddezza, ma poi pienamente condiviso a livello europeo come la scelta migliore, al punto che l’Italia nel mese di luglio dell’anno scorso è stata la Nazione destinataria, nel c.d. Recovery Fund, della somma di gran lunga più importante. Ben può dirsi che si è trattato di un momento in cui il progetto, che ormai da tanti decenni è alla base dell’Unione europea, ha toccato, sotto il profilo dei contenuti, il livello più elevato.
Tutto bene, allora, potrebbe serenamente concludersi.
In realtà il sopracitato lettore minimamente avveduto è consapevole che così non è. L’Italia, sotto molti profili, manifesta debolezze sconosciute altrove in Europa: inefficienze e complessità della macchina amministrativa, corruzione, organizzazioni criminali tra le più potenti al mondo ramificate sul territorio, divaridi genere, territoriali e generazionali. Solo per citarne alcune, certamente tra le più significative.
Emerge dunque, con tutta la sua forza evocatrice, il lemma Rinascimento: occorre concepire una rinascita che sappia decretare una totale rottura rispetto al passato, attraverso un cambiamento generalizzato e condiviso di mentalità che conduca alla chiara e incondizionata affermazione dei fondamentali principi di efficienza, legalità ed uguaglianza.
Per poter realizzare l’ambizioso obiettivo sarà fondamentale agire con la massima incisività, puntando, tra l’altro, su una progettualità che sappia valorizzare la formazione, intesa come percorso di arricchimento e di crescita culturale, a cui tutti gli individui sono chiamati a partecipare, intriso dei valori fondamentali che sono alla base di una vera e pacifica convivenza civile.
Questo partendo dalle scuole e dalle università, per poi agire incisivamente nel contesto delle pubbliche amministrazioni e del multiforme mondo delle realtà aziendali.
In questo fondamentale itinerario si può senz’altro richiamare il Rinascimento, ma forse prima ancora l’Umanesimo, movimento che già nel Quattrocento seppe porre al centro della riflessione la formazione di individui virtuosi e impegnati nel contesto civile.
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