Sono un maestro di scuola primaria, e non un docente universitario, per cui posso garantire che i danni arrecati dalla didattica a distanza in questo segmento, e direi in tutto il primo ciclo dell'istruzione, sono notevoli. C'è chi, invece, ripete come una sorta di mantra spirituale la tesi propagandista che la DaD (Didattica a distanza) avrebbe "salvato la scuola" dall'emergenza pandemica. Io so solo che c'è chi ha lavorato sodo, per non sortire granché dai propri alunni, ed a parità di retribuzione, e chi si è "grattato la schiena", per dirla senza peli sulla lingua, percependo regolarmente lo stipendio. Direi che è la prassi vigente anche nella realtà quotidiana di chi vive la scuola in presenza, e direi in tutto il mondo del lavoro: "Fantozzi docet". Ma non è il punto centrale del ragionamento. Non mi interessa il "divide et impera" tra i lavoratori della scuola. Dicevo che c'è chi si dimostra convinto, in buona o in mala fede, che "la DaD ha salvato la scuola". Io dico che ha mortificato, in misura ulteriore, i valori della cultura, della democrazia e della giustizia. Ma non è nemmeno questo l'elemento cruciale della mia riflessione, che non è inficiata da umori personali, né da preconcetti. Il nodo centrale è di natura didattico-educativa e, quindi, culturale. È quasi un assioma apodittico, tale è la sua evidenza, che la DaD non abbia sortito risultati di rilievo sul versante pedagogico e culturale. Nella migliore delle ipotesi, la DaD ha tamponato il vuoto che si è generato in seguito ad una crisi epidemiologica di portata planetaria. Il ricorso agli strumenti digitali è stato utile forse per ricucire un legame virtuale con alcuni allievi, specie i più piccoli e fragili. In alcune situazioni virtuose, quanto eccezionali, la DaD ha mantenuto le classi in relazione telematica ed ha favorito un dialogo tra i docenti e i loro discenti. Ed è stato un bene. Io stesso ho impiegato varie forme di didattica a distanza, anzitutto per ripristinare un rapporto di dialogo ed empatia con gli alunni. Ma non tutti i bambini e le loro famiglie hanno avuto la possibilità di disporre degli strumenti (tecnici, economici, umani e culturali) per poter seguire in maniera efficace le attività didattiche on-line. Ma non è soltanto la questione dei dispositivi digitali in comodato d'uso gratuito a beneficio delle famiglie più bisognose (specie le più numerose), o di connessione alla Rete web. È anche e soprattutto una distanza di origine socio-economica, che si ripercuote a livello culturale, ed è riconducibile ad un profondo divario di classe, di status socio-materiale, che esiste al di là della didattica in remoto, ed è una contraddizione insita nella realtà iniqua del sistema capitalista vigente, che si riflette nelle dinamiche della scuola in presenza, o a distanza. Chi potrebbe negarlo? In classe, un valido insegnante, magari provvisto di qualità umane, morali ed intellettuali, intrise di cultura, di estro creativo, prestigio carismatico ed autorevolezza, di sensibilità e di empatia, avrebbe le potenzialità per riuscire a colmare o almeno a ridurre il divario sociale e culturale tra gli allievi, mentre la DaD concorre solo ad accrescere le distanze. In termini astratti, un tipo di didattica proposta in modalità on-line potrebbe servire ad infondere un ricco bagaglio di nozioni didascaliche, nella migliore delle ipotesi. Ma con chi è studioso di suo. Non a caso, i corsi di recupero e/o di integrazione degli apprendimenti, che dovranno attivarsi nel prossimo mese di settembre, sono la spia che tradisce i limiti e le carenze innegabili derivanti dall'esperienza, fallimentare, della didattica digitale. Ne sono convinto.
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