Se non sbaglio, è di questi tempi una canzone ove si dice: “Sedici anni, non devi piangere mai così”. Ed io ogni volta che la sento mi commuovo fin quasi a piangere, perché penso a mio nipote che purtroppo ho perduto, e ai suoi anni che proprio dai sedici fino agl’infausti diciannove furono di problematica maturazione oltre che di intensi affetti. E di continuo indugio a pensare ai moltissimi altri casi di sedicenni che tra varie e spesso complicate esperienze crescevano sotto i miei occhi di docente, sicché potrei fare una casistica sulle problematiche particolari della crescita dei giovani a partire proprio da quell’età. Quando cioè è facile che meno si stia tra i sollazzi e più si pianga in silenzio e solitudine. Perciò mi viene la spinta a parlarne apprendendo che i governanti propongono di estendere il diritto di voto ai sedicenni, con una norma su cui sarebbero evidentemente tutti d’accordo. infatti sarebbe cosa che non costerebbe nulla, mentre sarebbe argomento da implicare ardue questioni di psicologia, cosa troppo raffinata specie per la politica di questi tempi.
Dunque la canzone che ammonisce il sedicenne a non piangere pone una questione fondamentale: l’età in questione nella crescita di un ragazzo è forse la più delicata circa il suo processo formativo fisico-psichico e culturale; ed è quindi la più soggetta a squilibri, controllabili sì ma tali da non garantire quanto si richiede d’impegno e certezze al di fuori della sfera puramente individuale, quanto fa il coinvolgimento dell’altro, degli altri, della società. Il sedicenne può avere piena maturità dal punto di vista antropologico, e questa in lui esplode soprattutto nei rapporti familiari; egli ha coscienza di sé come soggetto autonomo; ha piuttosto esigenza di raffronto nelle frequenze amicali; è capace di rigore logico e più spesso è categorico e inesorabile nei giudizi; è capace di amare con passione ma per lo più libero da fronzoli; se è intelligente cerca di emergere sposando idee conformi al suo carattere, che può essere deciso o malleabile, facile ad aprirsi alle sollecitazioni di chi gli prospetta convenienza o a scavare trincee in cui scomparire. Il tutto però – ed è questa la cifra caratteristica dell’età in questione, in cui tutto è possibile e tutto resta fluido, nella coscienza di essere nella fase della vita che è, e non può che essere, quella dell’attesa. Un fase di libertà di errare con lievi conseguenze della quale un ragazzo non può comunque essere privato. Cioè, il passaggio da tale fase dei sedicenni a quella dell’età più tipicamente adulta - oggi dagli anni 18 ma dai 21 andava meglio-, se si anticipa, si svuota, in un tratto ancora delicato, l’iter formativo del ragazzo, che ha bisogno appunto dei suoi tempi e delle sue ondulazioni perché il grezzo dell’umano prenda fisionomia più compiuta.
E’ chiaro che non si può fare di tutta l’erba un fascio e a parlare di ragazzi ci scappa sempre l’eccezione dell’eccezionale, ma noi discutiamo l’argomento secondo una scienza della formazione basata sulle esperienze correnti, quelle che vanno tenute in conto quando si progettano disposizioni generali. E purtroppo i politici di questi tempi non sembrano molto portati a servirsi di scienza, stando alle forme persino infantili con cui la politica spesso si conduce: si pensi alla moda invalsa per cui uno che in un partito non trova posto o non trova quello che pretende, batte i piedi e tosto si crea un altro partito personale e trova pure tanti che gli stanno appresso. Giacché non c’è più necessità di avere idee o principi da affermare, ma solo calcoli per seggi da conquistare o da mantenere. E questi politici d’oggi sono quelli che vogliono farsi belli con i giovani promettendo loro di promuoverli elettori, a prescindere dalla scienza e dalla convenienza dell’età. Ma è questo anche un segno di scarsa considerazione del valore della politica, in quanto dare il diritto al voto ai sedicenni non sarebbe perseguire nuovo bene per il paese, ma solo speranza di arraffare un po’ di voti in più. E in questo arraffare poi non c’è neppure cura se a votare saranno anche dei sedicenni come quelli che s’ammazzano litigando dopo la discoteca, o come quelli che muoiono cadendo dal balcone dell’albergo nella cagnara della gita scolastica; o come quelli che corrono in auto contromano senza patente; o i moltissimi --quasi tutti ormai?-, con le teste irrimediabilmente perdute sugli smartphone. Perché intanto per legiferare sui giovani bisogna prima conoscerli. E allora i politici scoprirebbero che i giovani più che avere diritto al voto forse desiderano avere qualche garanzia che per essi si prospetti un avvenire meno precario.
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