La forza di dire “no”, di opporsi agli obblighi di una società ingiusta, diventando veicolo di cambiamento, il volto dell’emancipazione femminile. È la storia di Franca Viola, la prima donna italiana a rifiutare il matrimonio riparatore. Con il suo gesto, Franca divenne simbolo della crescita civile dell’Italia nel secondo dopoguerra e di una Sicilia ancora fortemente arretrata.
Franca Viola nacque ad Alcamo, figlia di una coppia di coltivatori. All’età di 11 anni, con il consenso dei genitori, si fidanzò con Filippo Melodia, nipote del mafioso Vincenzo Rimi. Tuttavia in quel periodo Melodia venne arrestato per furto e appartenenza ad una banda mafiosa e ciò indusse il padre di Franca, Bernardo Viola, a rompere il fidanzamento. Per queste ragioni, la famiglia Viola fu soggetta ad una serie di violente minacce ed intimidazioni: il loro vigneto venne distrutto, il casolare annesso bruciato e Bernardo Viola addirittura minacciato con una pistola al grido di "chista è chidda che scaccerà la testa a vossia", ma tutto ciò non cambiò la sua decisione.
Il 26 dicembre 1965, all'età di 17 anni, Franca Viola fu rapita (assieme al fratellino Mariano di 8 anni, subito rilasciato) da Melodia, che agì con l'aiuto di dodici amici, con i quali devastò l'abitazione della giovane e aggredì la madre che tentava di difendere la figlia. La ragazza fu violentata e quindi segregata per otto giorni in un casolare al di fuori del paese e poi in casa della sorella di Melodia ad Alcamo. Il giorno di Capodanno, il padre della ragazza fu contattato dai parenti di Melodia per la cosiddetta "paciata", ovvero per un incontro volto a mettere le famiglie davanti al fatto compiuto e far accettare ai genitori di Franca il matrimonio riparatore dei due giovani, salvando così l’onore della ragazza. Il padre e la madre di Franca, d'accordo con la polizia, finsero di accettare le nozze riparatrici, ma il giorno successivo, 2 gennaio 1966, la polizia intervenne all'alba facendo irruzione nell'abitazione, liberando Franca ed arrestando Melodia ed i suoi complici.
Secondo la morale del tempo, una ragazza uscita da una simile vicenda avrebbe dovuto necessariamente sposare il suo rapitore, salvando l'onore suo e quello familiare. In caso contrario sarebbe rimasta zitella, additata come "donna svergognata". All'epoca, la legislazione italiana, in particolare l'articolo 544 del codice penale, recitava: "Per i delitti preveduti dal capo primo e dall'articolo 530, il matrimonio, che l'autore del reato contragga con la persona offesa, estingue il reato, anche riguardo a coloro che sono concorsi nel reato medesimo; e, se vi è stata condanna, ne cessano l'esecuzione e gli effetti penali", in altre parole ammetteva la possibilità di estinguere il reato di violenza carnale, qualora fosse stato seguito dal cosiddetto "matrimonio riparatore", contratto tra l'accusato e la persona offesa. La violenza sessuale, infatti, era considerata oltraggio alla morale e non reato contro la persona. Il matrimonio riparatore, dunque, permetteva allo stupratore di una ragazza minorenne, che avesse acconsentito a sposare la donna stuprata, di non essere considerato colpevole del reato di violenza carnale. Ovvero: se un uomo stuprava una ragazza ma poi se la sposava non era perseguibile penalmente.
Il matrimonio riparatore va considerato in connessione al più ampio delitto d’onore: entrambi sono emblemi di una mentalità che concepiva la donna come inferiore e dunque come oggetto di proprietà. Il delitto d’onore è un tipo di reato basato su motivazioni soggettive, che viene cioè perpetrato per proteggere l’onore della propria figlia, moglie o sorella. Questo perché l’onore è stato a lungo considerato un valore sociale importante e quindi un’attenuante. Era questa l’altra alternativa concessa a Bernardo Viola, che però fece una cosa inusuale per quei tempi: lasciò decidere alla figlia, che si rifiutò di sposare il suo rapitore e dopodiché si affidò alla giustizia. L’attenzione di tutta la stampa locale e nazionale fu altissima, perché per la prima volta una donna scelse di dichiararsi “svergognata” e sfidare le arcaiche regole di un “onore” presunto e patriarcale. Durante il processo che seguì, la difesa tentò invano di screditare la ragazza, sostenendo che fosse consenziente alla fuga d'amore, la cosiddetta "fuitina", un gesto che avrebbe avuto lo scopo di ottenere il consenso al matrimonio, mettere la propria famiglia di fronte al fatto compiuto e che il successivo rifiuto di Franca di sposare il rapitore sarebbe stato frutto del disaccordo della famiglia per la scelta del marito. Filippo Melodia fu condannato a 11 anni di carcere, ridotti a 10 con l'aggiunta di 2 anni di soggiorno obbligato nei pressi di Modena.
Melodia uscì dal carcere nel 1976 e fu ucciso da ignoti, il 13 aprile 1978, nei dintorni di Modena, con un colpo di lupara. Franca Viola diventerà in Sicilia un simbolo di libertà e dignità per tutte quelle donne che dopo di lei avrebbero subito le medesime violenze e ricevettero, dal suo esempio, il coraggio di "dire no" e rifiutare il matrimonio riparatore. Franca Viola si sposò nel 1968 con il giovane compaesano amico d'infanzia Giuseppe Ruisi, ragioniere, che insistette nel volerla sposare, nonostante lei cercasse di distoglierlo dal proposito per timore di rappresaglie. Oggi vive ad Alcamo con suo marito, ha avuto due figli e una nipote. L’8 marzo del 2014, è stata nominata Grande Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica italiana da Giorgio Napolitano, perché “il suo coraggioso gesto di rifiuto è stato una tappa fondamentale nell’emancipazione delle donne italiane.”
Il caso assunse una rilevanza non solo nazionale, ma anche internazionale. Venne finalmente ridiscusso il Codice Penale e il ministro Oronzo Reale propose l’abrogazione del delitto d’onore e del matrimonio riparatore. L'articolo 544 del codice penale, sarà abrogato con la legge 442, promulgata il 5 agosto 1981 a sedici anni di distanza dal rapimento di Viola, e solamente nel 1996 lo stupro sarà legalmente riconosciuto in Italia non più come un reato "contro la morale", bensì come un reato "contro la persona". All’epoca dei fatti, Indro Montanelli scrisse sul Corriere della Sera: “Franca Viola e suo padre non hanno detto di no solo a Filippo Melodia. Hanno detto di no a tutto un sistema di rapporti basato sulla sopraffazione del maschio sulla femmina. Hanno detto che lo stupro non è un surrogato dell’amore, e insozza non chi lo subisce, ma chi lo commette. Noi contiamo che da questo processo venga fuori una sentenza che non si limiti a punire il delinquente, ma che condanni in maniera esemplare tutti coloro che se ne sono fatti complici, materiali o morali. La mentalità che essi incarnano”.
“Non fu un gesto coraggioso. Ho fatto solo quello che mi sentivo di fare, come farebbe oggi una qualsiasi ragazza: ho ascoltato il mio cuore, il resto è venuto da sé. Oggi consiglio ai giovani di seguire i loro sentimenti; non è difficile. Io l'ho fatto in una Sicilia molto diversa; loro possono farlo guardando semplicemente nei loro cuori”. Franca Viola è riuscita a sfidare un sistema di credenze e “valori” che non andava bene, con una lotta personale che ha portato all’acquisizione di importanti diritti per tutte le donne italiane. Tutte noi siamo debitrici nei confronti di Franca, che rappresenta ancora oggi un modello, il volto della lotta e del cambiamento in un contesto estremamente difficile.
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