Cara Kitty,
se tu leggessi tutte le mie lettere una dopo l'altra, certamente ti stupiresti di vederle scritte in stati d'animo tanto differenti. Mi spiace molto di essere così schiava del mio umore, non sono la sola, qui lo sono tutti. Se leggo un libro che mi fa impressione, prima di riprendere il contatto con gli altri debbo riassettarmi mentalmente, se no potrei apparire piuttosto stramba. Attualmente, come avrai notato, sto attraversando un periodo di depressione. Non ti saprei dire il perché, ma credo che quella contro cui continuo a cozzare sia la mia viltà.
Stasera, quando Bep era da noi, udimmo una forte e lunga scampanellata. Immediatamente, dalla paura, impallidii e fui colta dai dolori di ventre e dal batticuore.
La sera a letto mi sembrava di essere sola in carcere, senza padre né madre. A volte vado errando per strada, oppure il nostro ricovero segreto è in fiamme, o vengono di notte per portarci via. Vedo tutte queste cose, come se le vivessi realmente col mio corpo, e ho l'impressione che mi debbano presto accadere.
Miep dice sovente di invidiarci perché qui siamo tranquilli. Sarà verissimo, ma non pensa certamente alla nostra paura. Non so nemmeno immaginare che un giorno il mondo torni normale per noi. Ho un bel parlare del "dopoguerra", ma è come se parlassi di castelli in aria che non diverranno mai realtà. Penso alla nostra casa di prima, alle amiche, alle feste scolastiche, come penserei a cose di cui un altro ha fatto esperienza, non io.
L'alloggio segreto col nostro gruppo di rifugiati mi sembra uno squarcio di cielo azzurro attorniato da nubi nere cariche di pioggia. L'area rotonda e circoscritta su cui stiamo è ancora sicura, ma le nubi si avvicinano sempre di più e sempre più stretto diventa il cerchio che ci separa dal cerchio incombente. Siamo immersi nelle tenebre e nel pericolo e urtiamo gli uni contro gli altri cercando disperatamente una via di salvezza. Guardiamo tutti in basso dove gli uomini combattono, guardiamo in alto dove regnano la quiete e la bellezza e intanto siamo tagliati fuori da quella tetra massa che non ci lascia salire in alto ma sta dinanzi a noi che come un muro impenetrabile, che ci vuol schiacciare ma ancora non può ancora. Non posso far altro che gridare e implorare: «O cerchio, o cerchio, allargati, apriti, lasciaci uscire!»
La tua Anna
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