Di ciò che la Natura ha generato, niente appare più avvincente delle circonvoluzioni dell’anima, dei labirinti oscuri nei quali essa si perde, muovendo alla ricerca di se stessa in un percorso senza fine, oltremodo complesso ed involuto.
Fernando Pessoa è l’apice letterario dell’introvabile se stesso. La nevrosi del narciso, radicalizzata nell’antitesi Anima-Persona, lo ha travagliato a lungo, per risolversi infine nella nascita del nuovo se stesso.
“Un fulmine oggi mi ha abbagliato di lucidità. Sono nato.” Con queste parole Pessoa mette al mondo se stesso, nel riconoscersi quello che è, mette al mondo la sua Anima ovvero il Pessoa-poeta, al di là della sua Persona ovvero al di là del Pessoa-uomo.
Il travaglio è stato lungo e doloroso. Nell’assiduo scandaglio interiore, Pessoa era divenuto lucidamente consapevole della sua particolare natura. In diverse annotazioni la dipinge con toni drammatici e addirittura angosciosi. Pessoa-uomo ha un carattere “esteriore” - quello che manifesta nella vita quotidiana, nel suo rapportarsi agli gli altri – e non ha un carattere “interiore”: per quanto cerchi ed analizzi se stesso, non riconosce in sé alcuna personalità definita. Il mondo passa attraverso di lui nella dimensione del sogno, le cose hanno aspetti ambigui: prendono corpo in un fluire continuo nell’animo del poeta, che non è altro che il mero passaggio del mondo che lo attraversa. Ed egli è divenuto indolente di fronte a ciò che fluisce dentro di lui e lo pervade; la passività e l’inerzia sono il dominio di questo passaggio dentro di lui. La realtà lo visita in una dimensione trasognata, di impalpabile nebbia, nella quale il poeta dimentica se stesso, la sua percezione cosciente. E le cose hanno un linguaggio allusivo e misterioso, rinviano ad un senso che sempre sfugge e inquieta.
L’inconscio affiora in lui, quanto maggiore è il divieto e l’inibizione di sé che determinano il dominio della Persona, il suo fenomenico essere nel mondo che, come tale, non corrisponde al suo vero essere, ma appunto al senso latino di “maschera” e finzione del se stesso, sovrastruttura che copre la vera essenza, spacciando per reale ciò che è solo apparenza.
Questo “non –essere al mondo” del più vero se stesso, questo non essere nato per il mondo, è ciò che più lo angoscia e lo fa esistere come “nessuno” e “nulla”; mentre nella sua percezione autentica del “di dentro”, dell’interiorità, egli è simile a un dio. Tutto il mondo passa attraverso di lui che, essendo questo “vuoto di essere”, si identifica con questo passaggio, con questo fluire. Egli è ancora la “totalità” nel suo sé, ed è il “nulla” nel suo proiettarsi fori di sé.
L’essere-nullo del Pessoa-uomo sul piano esteriore, l’essere un’impostura, rifluisce nell’essere-nullo dell’interiorità, nell’essere solamente il “luogo” di passaggio di tutto il transeunte. Ma proprio in questo è l’antitesi e l’ambiguità che rende tale “nulla” un “tutto”. E così egli appare in se stesso come un dio “solo cosciente di sé”, il cui solo oggetto è il sé.
La risoluzione di tale contrasto non può essere data che dall’accettazione del proprio se stesso con tutte le caratteristiche che gli sono proprie: il vuoto di sé e il fluire, l’inerzia della volontà, la mancanza di una visione distinta e univoca che non gli consente alcuna determinazione. Ad essa si aggiunga l’assenza di personalità – più volte sottolineata dallo stesso autore – derivante dalla scissione del suo sé in personalità fittizie, veri simboli o immagini delle potenzialità dell’anima.
Tutto questo magma in costante e fluttuante divenire, farà sì che l’Inconscio, dal quale esso proviene, troverà alfine un’estrinsecazione (e, pertanto, un equilibrio consapevole), irrompendo nella nascita del nuovo se stesso.
L’Abdicazione ovvero il parto di sé
La nascita del nuovo se stesso si traduce, in Pessoa, nella rinuncia ad “apparire” nel mondo, vale a dire in abbandono della dimensione sociale e del ruolo pubblico e nel disinteresse dell’essere per l’altro “qualcuno”.
Tale scelta si impone come necessità nel momento in cui il Pessoa-uomo ha preso coscienza del proprio sé come poeta, ed indica una fatalità e un destino che si compie, in quanto cosa di per sé già scelta. Il poeta riconosce, in altri termini, la sua natura e il suo genio; accetta la nevrosi come elemento propulsivo della nascita del Pessoa-poeta e si adegua a quello che egli è. Non gli importa più, pertanto, di “apparire”, nella dimensione pubblica, quello che gli altri si aspettano che egli sia, e si adegua a se stesso. Dopo l’angosciosa, soffocante esperienza di quel nulla-essere che avvertiva dentro di sé, la consapevolezza di essere il teatro di quel fluire perenne, caotico e indistinto, con il quale si è infine identificato, pone l’esigenza stessa del suo venire al mondo.
La presa di coscienza del sé corrisponde alla sua estrinsecazione, ovvero alla dichiarazione programmatica della propria “abdicazione” all’apparire nell’esistenza esteriore, non quale egli realmente è, ma come gli altri si aspettano che sia. Solo attraverso quest’atto si elide l’essere-nulla della realtà che rifluisce nell’essere-nulla del se stesso; e nel riconoscimento della missione poetica, alla quale si sente chiamato (e quindi nella nascita della poesia, come atto consapevole, scelto) è la generazione del proprio se stesso, l’atto che equilibra “essere” e “nulla”, ponendo l’essere del se stesso e della realtà nella sintesi dell’opera d’arte, come compimento ultimo e realizzazione della missione sublime del poeta.
Gli eteronimi
Proprio nel momento in cui Pessoa combatteva la lotta con se stesso, con la lacerante antitesi del suo sé, il materiale accumulato nell’Inconscio quale contropartita delle inibizioni determinate dall’attività cosciente, prorompe nella direzione di un’attività di tipo visionario-allucinatorio che taglia i ponti tra reale e immaginario. Fin da bambino Pessoa aveva sentito il bisogno di creare per lui, come suoi compagni, personalità fittizie, visionate con chiarezza fotografica, elaborate accuratamente fin nei minimi particolari.
Pessoa adulto avverte (conseguenza di un complesso edipico non risolto?) il femminino insinuarsi nella sua sensibilità, avverte di contro la mascolinità del suo pensiero, e teme che una tale spaccatura possa scendere dall’anima nel suo corpo. Lo impedirà, invero, la rigida educazione morale ricevuta nell’infanzia, così che la carica della libido repressa rimarrà nella sua anima. Non si trasformerà in omofilia, ma si presume possa essere stata la causa della generazione spontanea di quei fantasmi, tutti rigorosamente maschili, che sono proiezioni del suo sé, e cioè gli “eteronimi”.
È difficile collegare a qualcosa di concreto l’origine degli eteronimi che appare tutta mentale: crediamo, pertanto, siano parte dell’irruzione dell’Inconscio che sommerge l’attività cosciente nei momenti di estraneazione dalla realtà. E poiché questo avviene in relazione ad una spietata imposizione dell’elemento inibitorio operata dall’attività cosciente, possiamo dire che essi nascano a compensazione dello strapotere di quella.
Queste personalità, sognate in maniera tanto icastica, sono parte della mostruosa macchina compensativa della libido, che genera una realtà fittizia, impalcatura architettonicamente stabile e coerente, come autoterapia della scissione del sé. Esse perdono i connotati di realtà immaginaria: ognuno degli eteronimi è dotato di un carattere ben scandito e preciso, di una personalità sua, distinta e assai più determinata che non sia quella dello stesso “ortonimo”. Pessoa, infatti, è solamente il “medium”, lo scrivano che redige l’opera altrui, vale a dire di personalità che egli ha creato con la carica di sentimenti, di idee e di un mondo che è loro proprio e che non somiglia al suo, tranne che per alcuni particolari aspetti. In confronto ad essi, il poeta ortonimo è una delle tante personalità che hanno vita nella sua anima, e il suo ruolo non è preminente.
Rossella Cerniglia
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