Chiuse il libro, lo trattenne fra le mani con lo sguardo fisso nel vuoto. In realtà stava ripercorrendo, soltanto con vaghi sprazzi di vera lucidità, l‘intrigante storia della sua esistenza. Quell’opera narrativa era incredibilmente vera, non poteva credere che lo scrittore si fosse ispirato alla sua vita per scrivere quel romanzo così, così… Ad un tratto il pensiero si inceppò, non riuscì a trovare la giusta definizione.
Si alzò dal letto, lo sistemò con cura e chiuse la valigia. Dentro quella valigia c’era tutto. Di lì ad un’ora avrebbe lasciato l’albergo. E lui, l’amore impossibile che aveva deciso di allontanare, insieme agli straordinari ricordi. Gli ultimi, per la verità, dolorosi. Gli aveva inviato un biglietto di commiato, come ad un perfetto sconosciuto. L’uomo che aveva amato profondamente non esisteva già da tempo, era cambiato, non lo riconosceva quasi più. Era sicura che non l'avrebbe cercata, lui era fatto così. Quella partenza suggellava il loro addio. Fu formale, volutamente antipatica: doveva smettere di amarlo. Non ricordava bene perché, ma ormai non aveva molta importanza. Fece un giro di ricognizione, un ultimo saluto a quelle pareti che avevano contrassegnato quei lunghi giorni. Volse lo sguardo alla finestra: era senza sbarre o ricordava male? Ancora quella confusione, quella nebbia perenne che le impediva di memorizzare.
Due gentili gerbere bianche, in un vasetto di vetro verde, guardavano il sole. Le accarezzò con dolcezza e le salutò con affetto. Erano state con lei negli ultimi due giorni, e avevano avuto un lungo dialogo. Ma chi le aveva portate? Forse suo marito? Lui le portava sempre i fiori. Doveva avviarsi in strada, il taxi la stava aspettando per condurla alla stazione, e poi da lì avrebbe raggiunto l'aeroporto e preso l’aereo per tornare a casa. Avevano preparato una festa per lei; sua madre, le sue sorelle e il suo fidanzato la stavano aspettando. Doveva controllare il biglietto, per queste cose era piuttosto attenta.
Aprì la borsa, prese la trousse del trucco; una spolverata di cipria, un po’ di delicato rossetto rosa e una spruzzatina del suo dolce profumo. Ora si sentiva davvero pronta. Eppure, c’era ancora qualcosa da fare; ma era bloccata, mentre annaspava nel buio dei confusi pensieri che le impedivano di correre dal suo grande amore. Lui era fantastico, la sua anima gemella, e si amavano ancora tanto. Avrebbe sconvolto tutti i piani per andare da lui, affrontato un nuovo lavoro e una nuova casa. Pensò di affidare i quadri, i libri e i dischi a sua sorella, di lei si fidava. Glieli avrebbe inviati successivamente, quando si fosse sistemata. Doveva arrivare alla nuova destinazione senza troppi intoppi. Si, avrebbe fatto così. Decise di indossare un abito nuovo, molto femminile, con i ricami rosa e le pietre dure: doveva essere bellissima. Un dolce sorriso le illuminò lo sguardo, rendendola improvvisamente sicura e serena.
<<Nonna!>>
Si girò, ancora con il sorriso sulle labbra. Vide una bella ragazza che le ricordava qualcuno, era certa di volerle un grande bene, ma non sapeva chi fosse.
<<Nonna, sono Greta, tua nipote. Sono venuta a prenderti. Ti stanno aspettando tutti, hanno preparato una festa per te. >>
La guardò confusa, poi a poco a poco ricordò. Quella giovane donna era davvero sua nipote, la figlia di suo figlio. Era tanto bella e anche tanto buona, questo lo sapeva con certezza, perché lo sentiva nel cuore. Provò mortificazione per quel vuoto di memoria. Improvvisamente si rabbuiò e restò in silenzio, in attesa che decidessero per lei.
<<Nonna, vuoi fare un’ultima passeggiata nel giardino che ti piace tanto? Fra un po’ ti dimetteranno, dobbiamo andare a casa.>>
Prese fiato e, fissando i lunghi capelli biondi della ragazza, annuì felice con un semplice gesto del capo, senza parole. Doveva raggiungere l'Eden della felicità. E poi doveva andare a casa. Ma quale casa? Non lo sapeva con certezza. Greta si avvicinò alla carrozzina, afferrò i manubri e si portò nel largo corridoio della struttura ospedaliera. Incrociò la dottoressa che aveva in cura la nonna e le si avvicinò.
<<Dottoressa, come sta la mia dolce nonna?>> Sono preoccupata, oggi mi sembra ancora più assente e silenziosa …>>
<<Non si preoccupi, è l’effetto delle cure: l’avviso che potrebbero esserci anche le allucinazioni. L’Alzheimer è una brutta patologia, siamo ancora ai primi stadi. Purtroppo non c’è molto da fare. La malattia seguirà il suo decorso, progredendo… fino alla fine. Godetevi i momenti in cui sarà ancora vigile, perchè saranno sempre più brevi. Mi dispiace.
<< Va bene, seguirò scrupolosamente le cure e i consigli.>>
Con acuto dolore afferrò i manubri della carrozzina e accompagnò la nonna a visitare il giardino dell’ospedale. Chissà perchè le piaceva così tanto! Nel frattempo la dottoressa avrebbe preparato le dimissioni.
<<Greta …>>
<<Si, nonna.>>
<<Scusami, tesoro, se ti do troppe seccature... Non è così? >>
<<No, nonna, ma che dici? Tu sei la mia supernonna! >>
Giunti nel giardino, la nonna divenne improvvisamente loquace. Volle spiegare che proprio lì, un tempo, c’era un piccolo Eden e una quercia secolare dove aveva fatto un indimenticabile e straordinario picnic. E una meravigliosa danza, senza fine. E poi, c'era un sedile in pietra con un’orchidea bianca che faceva capolino. E a destra, un piccolo orto ricco di delizie. Ma ora di tutte queste meraviglie non c’era più niente. Niente. I tempi moderni avevano distrutto tutto, lasciando posto alla cementificazione. Avevano costruito tante case. Parlava la nonna, in preda alle sue allucinazioni, ma dai suoi occhi lucidi di commozione traspariva viva felicità. E talvolta anche tristezza. Aveva scambiato i padiglioni dell'ospedale per palazzi: non si rendeva conto del luogo in cui si trovava. Ebbe un moto di pietà e tenerezza per quella che un tempo era stata una grande donna. Un camice bianco riaccese il fantastico racconto.
<<Greta, in questo meraviglioso giardino ci viveva un medico poi improvvisamente partito, non so perchè. O, forse, sono andata via io...>>
Non era tanto sicura del particolare, povera nonna. Con gli occhi ricchi di compassione continuò ad ascoltare il misterioso e confuso racconto, ma non osò mai contraddirla. E poi, le era sembrata così affascinante e felice con quello scialle ricco di farfalle colorate. Si chiese se quella sconosciuta storia avesse un qualche fondamento, o se fosse conseguenza delle allucinazioni di cui le aveva parlato la dottoressa che l'aveva in cura. Ma ormai che importanza poteva avere? La felicità era davvero racchiusa in un battito d'ali. Si limitò a sorriderle con dolcezza e complicità, mentre continuava a spingere la carrozzina verso l'Eden della felicità.
Marina De Luca
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