Per due ore aveva combattuto con il traffico dell'ora di punta. Uscire dalla città di venerdì pomeriggìo è sempre una battaglia a colpi di clackson; così erano già le sette passate quando intravide in lontananza il casello dell'autostrada dei Laghi. Accese la radio, cercò un programma di musica, alzò il volume e lasciò che la musica gli riempisse la macchina e la mente. Era una bellissima serata e lui stava andando alla sua casa al lago per godere della sua atmosfera un po' retrò, un po' magica, sicuramente rilassante. All'altezza del casello di Arona decise di abbandonare l'autostrada e di proseguire sulla statale che costeggia il lago. La variopinta massa di turisti che d'estate invadeva le località lacustri se n'era andata e gli abitanti avevano riconquistato i loro spazi e la loro tranquillità. Guardò l'ora sul display del cruscotto; erano già le otto e aveva appena superato il cartello stradale "Benvenuti a Solcio". Calcolò che ci sarebbe voluta un'altra ora abbondante prima di arrivare a casa. Troppo. Aveva fame; a mezzogiorno aveva trangugiato un tramezzino e un orribile caffè. Mise la freccia e parcheggiò nella piazzetta prospicente il porticciolo. Dietro di lui, un'altra auto parcheggiò due posti più in là. Il cellulare che aveva gettato sul sedile del passeggero si risvegliò e iniziò a vibrare. Lo prese, gli concesse un'occhiata e lo ributtò sul sedile, lasciandolo lì a gracchiare mentre scendeva dall'auto. L'aria fresca della sera era satura di profumi; respirò a pieni polmoni, buttò fuori l'aria lentamente e si rilassò. Appoggiato alla ringhiera dalla foggia vagamente liberty, si fermò ad ammirare lo spettacolo del sole che tramontava sull'acqua. A casa, a Milano, non osservava mai i tramonti. Che diamine, era sempre al chiuso. Nel minuscolo porticciolo le barche dondolavano pigre, assecondando il ritmo delle onde che si infrangevano sui sassi. Un paio di barche a vela costeggiavano la riva opposta del lago, la cui acqua cambiava colore mano a mano che il sole tramontava dietro le montagne. Quando il blu intenso virò in grigio argento, tornò all'auto. Recuperò la felpa dal sedile posteriore e prese il cellulare. Non vibrava più, ma sul display lampeggiava insistente la bustina dei messaggi. Quattro sms, tutti uguali "richiama appena vedi i messaggi" inviati dal suo agente letterario che lo tampinava da una settimana. "Col cavolo, che ti richiamo!" pensò. L'ultima volta che aveva risposto alla sua chiamata gli aveva rovesciato addosso una tonnellata di improperi. "Quando ti decidi a finire l'ultimo capitolo? L'editore mi sta col fiato sul collo!" aveva ringhiato. Lui aveva assicurato che glielo avrebbe consegnato nel giro di un paio di giorni, giusto il tempo di apportare qualche piccola correzione. Da allora di giorni ne erano passati ben più di due. Nemmeno poteva dirgli che quel capitolo neanche l'aveva iniziato e che l'unica cosa che aveva finito erano i soldi dell'anticipo che la casa editrice gli aveva versato. Sulla fiducia, perché il romanzo che gli aveva pubblicato l'anno precedente aveva 'venduto bene'. Era stato invitato a presentarlo anche al Salone del Libro di Torino, un palcoscenico di tutto rispetto. Il pubblico, soprattutto quello femminile, aveva mostrato di apprezzare la storia e anche la critica era stata generosa. Ma ogni medaglia ha il suo rovescio. L'editore gli aveva richiesto un altro romanzo da fare uscire sotto Natale e lui, sulla scia dell'entusiasmo, aveva firmato il contratto che prevedeva, tra l'altro, una penale a sei zeri se non ne avesse rispettato i termini. E adesso il tempo era scaduto e lui era bloccato a quell'ultimo sciagurato capitolo. Aveva presentato una bozza un mese prima; una vera schifezza, lo riconosceva, ma non poteva farci niente se non riusciva a trovare la quadra per un finale originale e se il suo agente aveva dato di matto non poteva che giustificarlo. Da allora si era negato al telefono e aveva eliminato tutte le sue mail senza nemmeno aprirle. Attraversò la strada e scese saltellando i tre gradini che separavano il marciapiede dalla carreggiata. Superò un paio di negozietti che vendevano souvenir e la vetrina di un antiquario che esibiva pezzi antichi a prezzi moderni. Bene, avrebbe approfittato di quei giorni di vacanza per mettere a punto un capitolo finale talmente 'esplosivo' che avrebbe fatto balzare sulla poltrona quello stronzo borioso di agente. Sovrappensiero, andò a sbattere contro un orribile troll che indicava l'ingresso di un bar. Sulla lavagna che reggeva tra le braccia sproporzionatamente lunghe spiccava la scritta 'Menù del giorno € 10.' Proprio quello che faceva per lui. Entrò. Un paio di ragazzi stavano giocando alle macchinette nel locale semibuio, mentre il barista commentava la partita di calcio trasmessa alla tv con un cliente.
«'sera» lo salutò.
«Cosa prende?» gli domandò sbrigativo.
«Il menù del giorno va bene» rispose.
«Si accomodi dove vuole» replicò il barista, indicando i tavoli nella sala adiacente per poi tornare a guardare la partita.
Scelse un tavolino accanto alla vetrata da cui poteva vedere un triangolino di lago. Individuò la porta dei bagni e vi si diresse. Il locale, piccolo ma funzionale era perfettamente pulito e profumava di limone. Lo specchio sopra il lavabo gli restituì l'immagine di un viso stanco, con qualche ruga attorno agli occhi e un'ombra di barba. Erano lontani i tempi in cui era stato il bello del liceo, preda ambita della maggior parte delle ragazze, e anche di un paio di giovani supplenti. Ma si riteneva soddisfatto; per essere alla soglia dei quarant'anni, si era mantenuto in forma e qualche filo bianco tra i capelli ancora folti e brillanti lo rendevano più interessante all'universo femminile.
Tornò in sala, dove qualcuno nel frattempo aveva apparecchiato la tavola e acceso le luci. Si sedette e spense definitivamente il telefonino che aveva ricominciato a gracchiare.
«Da bere cosa le porto?»
Alzò lo sguardo e si trovò di fronte il viso fresco e senza trucco di una ragazza. Era molto graziosa; aveva gli occhi di un azzurro intenso e la bocca rosa, con una piccola cicatrice che le tagliava il labbro superiore, conferendole un'aria sbarazzina. I capelli castani e ricci erano raccolti in una coda di cavallo legata con un semplice elastico.
«Un'acqua minerale naturale» rispose.
Seguì con lo sguardo la figuretta snella fasciata nei jeans attillati . Dopo pochi minuti tornò con la bottiglia d'acqua e il vassoio con il menù del giorno: penne al pomodoro, una sottile fetta d'arrosto affogata sotto uno spesso strato di in una salsa viscida e spinaci acquosi, come da copione. Mentre analizzava il contenuto, agganciò lo sguardo della ragazza che gli espresse tutta la sua solidarietà con un lieve sospiro. "La pasta è buona, ma lasci perdere la carne" gli mormorò all'orecchio mentre posava il cestino del pane. Si allontanò lasciando una scia di profumo di lavanda, dolce, fresco, innocente.
Pagò il conto, e vi aggiunse una generosa mancia. Uscendo, per poco non andò a sbattere contro una giovane donna.
«Scusi» mormorò.
Lei gli rivolse un mezzo sorriso ed entrò nel locale.
Raggiunse l'auto, ma si trattenne ancora qualche minuto sul piazzale a fumare una sigaretta. Riprese la statale, praticamente deserta. Dallo specchietto retrovisore vide la donna con cui si era scontrato salire in auto. Per qualche strano motivo, gli rimase impressa nella testa per un buon tratto. Non avrebbe saputo spiegarne il perché. Alla sua sinistra, sul muraglione che tagliava il crinale della montagna, i lampioni facevano da sentinella ai parchi che circondavano le antiche ville signorili che avevano visto giorni migliori. Rallentò davanti alla sfarzosa facciata liberty del Regina Palace Hotel e pensò che un giorno si sarebbe potuto permettere una notte in una di quelle suite tutta ori e stucchi. Rispettò scrupolosamente i limiti di velocità, ma sul rettilineo tra Feriolo e Gravellona lanciò l'auto oltre i cento all'ora. Abbassò il finestrino e lasciò che l'aria della notte gli scompigliasse i capelli e schiarisse la mente. All'improvviso, i fari di un'auto fendettero il buio. L'auto lo sorpassò. Gli parve di riconoscere nel guidatore la donna che aveva urtato. Si diede dello stupido, la sua era una fissazione! E se anche fosse stata lei? La strada è di tutti. Eppure, lo assalì una strana sensazione, forte, istintiva. "Smettila immediatamente" si impose. "Tieni a freno l'immaginazione". Lasciò alla sua sinistra le insegne luminose del centro commerciale e imboccò la strada per Mergozzo . Davanti a lui troneggiava il Monte Orfano, con le sue cave di granito che brillavano bianche nella notte. Il cartello 'Bracco, frazione di Mergozzo' era seminascosto dalla vegetazione e invisibile di notte, ma lui imboccò la strada che saliva nel bosco e dopo poco diventava sterrata. Fermò l'auto sullo spiazzo erboso e spense i fari. Erano trascorsi diversi mesi dall'ultima volta che era entrato in quella casa. Allora non era venuto da solo. Dopo una serata trascorsa in un elegante locale di Locarno erano tornati lì e avevano continuato a festeggiare loro due e una bottiglia di champagne costatagli mezzo stipendio. La mattina dopo si era svegliato con un'emicrania devastante e lei non c'era più. Scomparsa, svanita nel nulla insieme a qualche milione di euro sottratti all'agenzia dove lavorava, la stronza, a cui non mancavano né il coraggio né lo spirito d'iniziativa; doti per altro che apprezzava. E non guastava che fosse anche molto bella. Purtroppo anche l'avidità faceva parte della sua natura. Il lungo braccio della legge l'aveva cercata, inutilmente. C'era stata un'inchiesta, gli inquirenti l'avevano interrogato a lungo e, alla fine ,si erano convinti della sua estraneità ai fatti. La parte più divertente era venuta dopo; quanto si era goduto gli sguardi colmi di comprensione dei suoi colleghi, poveri esseri inutili, senza ambizione, il cui unico scopo nella vita era inculcare le loro conoscenze nelle teste di adolescenti foruncolosi e puzzolenti di sudore. Lui, no, lui non avrebbe sprecato così la sua vita; lui mirava in alto, molto in alto. Lui si meritava ben altro! Aveva delle ambizioni, lui! Se le cose fossero andate come pensava, non li avrebbe più rivisti. Adieu.
Recuperò le chiavi di casa nel cassettino del cruscotto e scese dall'auto. Sbirciò oltre gli angoli dell'edificio, perlustrando con lo sguardo il vicolo in entrambe le direzioni. Accese l'interruttore e la luce diffusa dai faretti gli ferì gli occhi. Nell'elegante salotto stagnava l'odore tipico di un locale rimasto chiuso per tanto tempo. Mentre scendeva la scala a chiocciola e apriva ad una ad una le porte delle stanze, il cuore gli balzò in gola; risalì di corsa e tornò nel salotto. Sul piano di cristallo del tavolino tra i divani spiccava un braccialetto. Fu un miracolo che non gli prese un infarto. Poi, l'adrenalina cominciò a scorrergli nelle vene come una corrente elettrica. Uscì, e imboccò il sentiero che correva lungo il fianco della casa. Al buio, inciampò, cadde, si rialzò, imprecando. Scivolò sull'erba umida, ma continuò a correre finché arrivò alla porticina del seminterrato. A tastoni cercò la chiave nascosta in un sottovaso. Con le mani che tremavano dopo un paio di tentativi riuscì ad aprire la vecchia serratura. Era sudato fradicio. Accese la lampadina che penzolava dal soffitto e corse ad aprire il congelatore. Lo richiuse e si lasciò cadere lungo il fianco dell'elettrodomestico. Il sudore gli imperlava la fronte e aveva la nausea. Attese qualche minuto, poi lentamente risalì lungo il sentiero, dopo aver richiuso il locale. Con circospezione rientrò in casa. Il braccialetto non c'era più. O aveva avuto un'allucinazione o qualcuno era entrato in casa mentre lui era di sotto e l'aveva rubato. Era uscito senza chiudere la porta a chiave; forse un tossico si aggirava nei paraggi e ne aveva approfittato per entrare, rubare il braccialetto e sparire nella notte. Chiuse la porta a chiave e inserì l'allarme. Facendo attenzione a non fare il minimo rumore, scese le scale. Aprì la porta della stanza adibita a studio, la sua preferita.
«Che piacere rivederla. Come mai ci ha messo tanto?»
La voce proveniva dalla poltrona accanto alla finestra. Nascosta dall'alto schienale, non poteva vedere chi aveva parlato.
«Lei chi è?» domandò con voce incerta. «E come ha fatto a entrare in casa mia?»
Lei non rispose. Lentamente si alzò, si girò verso di lui e si limitò a fissarlo. Non poteva crederci! Non era possibile, eppure lì, davanti a lui, c'era la giovane donna che aveva urtato uscendo dal bar non più di un paio d'ore prima. Alla fine si decise a parlare.
«So cosa ha fatto» disse.
«Prego?» rispose, pur avendo sentito benissimo, ma non riusciva a credere che lo avesse detto. La donna estrasse la mano dalla tasca e gli mostrò il braccialetto. Lui lo fissò come se fosse un serpente pronto a morderlo.
«Lo riconosce?» domandò, ma non attese la sua risposta e proseguì. «Certo che sì. Lo giro e, sorpresa sorpresa ecco i numeri magici.»
Lui continuava a fissare l'oggetto, impietrito.
«Dove l'ha preso?» domandò, quando ritrovò la voce.
«Lei cosa crede?» domandò.
Lui era certo che nessuno era sceso nel seminterrato pertanto non poteva averlo preso lì.
«Cosa vuole?» domandò, fissandola con odio feroce.
«Si sieda» lo invitò lei, indicandogli una delle poltrone. «Risponderò alle sue domande, ma prima le racconterò una storia, una lunga storia. Le consiglio di mettersi comodo, sarà una cosa un po' lunga.»
Senza staccarle gli occhi di dosso, si sedette.
«Un giorno di circa un anno fa ricevetti una busta con questo braccialetto, accompagnato da una breve lettera.»
Dalla tasca dei jeans estasse un foglietto e iniziò a leggere. "Ti mando questo braccialetto, tienilo tu. Io ne ho uno uguale. Se dovesse succedermi qualcosa, leggi i numeri incisi al suo interno e mettiti in contatto con questa password. Se tutto andrà bene, mi farò sentire presto. Ti voglio bene. Claudia." Ripiegò il biglietto e lo rimise in tasca.
«Non l'ho più sentita. Poi c'è stata la denuncia di furto da parte dell'agenzia, l'inchiesta e tutto quel pandemonio. È in quell'occasione che ho conosciuto lei, il suo amico scrittore di cui Claudia non aveva mai voluto rivelare il nome. Diceva che così era più intrigante. Ho fatto due più due. Claudia se l'era filata coi soldi dell'agenzia, i numeri incisi sul braccialetto erano quelli di un conto cifrato in un posto dove i soldi cambiano facilmente nome e cognome. Però, io conosco Claudia e c'è qualcosa che non quadra. Sa cosa penso? Che Claudia non sia mai arrivata laggiù. Anzi, non sia mai uscita da questa casa.»
Mentre la donna parlava, lui aveva riacquistato buona parte della sua sicurezza. Quella stupida 'credeva' di sapere; in realtà non sapeva un bel niente.
«Non vorrei sembrarle scortese, ma di quello che lei pensa non mi importa un accidente. Ha il braccialetto, può andare a godersi i soldi quando vuole. Cosa vuole da me?»
«Voglio sapere che fine ha fatto Claudia.» rispose, fulminandolo con gli occhi.
Lui proruppe in una risata cattiva. «Non lo so, se n'è andata mentre dormivo. Ero anche un po' ubriaco, quella sera. Avevamo festeggiato. Come ha ricordato lei, c'è stata un'inchiesta, sono stato interrogato dalla polizia, dagli inquirenti, un vero incubo. Alla fine si sono convinti che io non avevo nessun ruolo nella sua scomparsa. Ed è esattamente quello che dovrebbe fare anche lei.»
«Io, al contrario, penso che lei abbia avuto un ruolo molto importante.»
Lui guardò ostentatamente l'orologio.
«Senta, è molto tardi e sono stanco. Lei è entrata in casa mia senza essere invitata, non mi ha detto nemmeno il suo nome. Sono stato paziente, ma ora questa conversazione è finita.»
La donna si alzò, lui la precedette alla porta.
«Buona notte» le augurò, mentre si dirigeva alla macchina.
Era sudato fradicio. Si congratulò con se stesso per non aver fatto trapelare la minima emozione. Adesso, però, doveva agire in fretta. Non aveva alcuna intenzione di mollare i soldi all'amichetta di Claudia. Il braccialetto che aveva tolto dal suo braccio era ancora al suo posto. Andò nella cameretta degli ospiti, poco più grande di una cabina armadio, si spogliò e infilò la tuta da sub. Scese in cucina e prese la torcia. Uscì sulla terrazza e si infilò nella galleria che collega la casa alla darsena dove teneva la vecchia barca. Tolse il telo che la ricopriva, lo ripiegò sul fondo e allentò la corda che la teneva legata. E adesso cominciava la parte più faticosa. Faceva un freddo cane là sotto; le pareti della galleria grondavano acqua e i gradini erano scivolosi sotto le scarpette di gomma. Riemerse sulla terrazza che aveva il fiatone; si concesse un paio di minuti di sosta, maledicendo le sigarette che gli tagliavano le gambe e il respiro. Si impose di non farsi prendere dall'ansia; doveva agire in fretta, va bene, ma aveva ancora buona parte della notte a disposizione. Entrò nel seminterrato, accese la luce e aprì il congelatore. Afferrò il pesante sacco e, con un tonfo, lo scaraventò sul pavimento. In quel momento scoppiò il finimondo. La porta si spalancò e venne accecato dai fari di un paio di torce alogene. In pochi secondi si ritrovò steso sul pavimento di pietra e le mani ammanettate dietro la schiena. Un paio di braccia lo aiutarono a rialzarsi; sulla porta c'era lei, che con un sorriso soddisfatto faceva girare il braccialetto sul dito medio, mentre un poliziotto gli leggeva i suoi diritti.
«Hai fatto un ottimo lavoro» si complimentò il collega, una settimana dopo seduti al tavolino di un bar.
«Ho avuto anche fortuna» minimizzò lei. «Io ero sicura che lui avesse fatto sparire Claudia, ma non avevo le prove. Claudia era la mia migliore amica, abbiamo condiviso la stessa stanza ai tempi dell'università» proseguì, con la voce colma di tenerezza.
«Hai condiviso la stanza con una ladra?» esclamò il collega, incredulo.
«Già. Non la giustifico, sai, ma Claudia veniva da una famiglia povera e il denaro era la sua ossessione. Era molto bella e non faticò a trovare un lavoro 'redditizio'. Mentre io e le altre studentesse lesinavamo il centesimo, lei non si negava nulla, abiti, vestiti, gioielli. Poi incontrò il padrone dell'agenzia e si fece assumere. Cominciò una nuova vita. Feste, ricevimenti, galà, crociere, vacanze in montagna insieme al suo capo.»
«Se aveva tutto, perché rubare i soldi dell'agenzia?» la interruppe.
«Perché i soldi non erano suoi, ma del suo capo. La faceva vivere nel lusso, ma lei restava una semplice impiegata. Se lui l'avesse 'sostituita', lei non si sarebbe potuta permettere quel tenore di vita col suo stipendio.»
«E così ha pensato di assicurarsi il futuro.» commentò il collega.
«Poi conobbe lui, il professore scrittore di successo. Lei ne era innamorata, me lo confidò durante uno dei nostri incontri. Ci trovavamo per una pizza o anche solo per un caffé. Cominciarono a frequentarsi, ma lui non era economicamente all'altezza. Così, architettò il furto. Forse fu proprio lui a suggerirlo, non lo so. Da quello che mi confidava era chiaro che non gli importava nulla di lei, e mirava solo ai soldi, ma lei era innamorata e non lo capiva.»
«Sarà anche stata innamorata, ma un dubbio deve averlo avuto se ti ha mandato una copia del braccialetto e quel biglietto» disse il suo compagno.
Lei gli sorrise intrigante. «Claudia non mi ha mai mandato né un braccialetto né il biglietto.»
«Ma ....»
«Mi sono inventata tutto per incastrare quel bastardo» sussurrò.
«Che cosa?» sibilò «Ti rendi conto che avresti potuto giocarti la carriera! Pensa se non avessi trovato niente e quello ti avesse denunciata per violazione di domicilio o qualche altra stronzata!» «Io ero sicura che a Claudia era capitato qualcosa. Si sarebbe fatta viva con me, ne ero sicura, dovunque fosse, anche se lei era una ladra e io una poliziotta. Ma non avevo prove. Non avrei mai ottenuto un mandato di perquisizione, tanto più e l'inchesta l'aveva escluso dai sospettati. Inoltre in quel periodo era diventato famoso con quel suo libro; immagina cosa sarebbe successo se l'avessi accusato senza lo straccio di una prova. Dovevo raccogliere le prove. Così l'ho tenuto d'occhio; ma lui non ha mai cambiato stile di vita, né ha fatto viaggi sospetti. Poi, un giorno, mentre guardavo le foto di Claudia su una rivista notai il braccialetto. Era una patacca da pochi euro e mi parve strano vederglielo al polso. Andai a cercare altre foto e in tutte, Claudia lo indossava. Doveva esserci un motivo. Quando l'agenzia denunciò per il furto, si seppe che aveva trasferito i soldi su un conto off shore. Allora ebbi un'illuminazione. Mio nonno soffriva di Alzheimer e la nonna gli aveva messo al polso un braccialetto con inciso il numero di telefono di casa, nel caso si fosse perso. Claudia, poteva averci inciso i numero di conto sul braccialetto, per questo non se ne separava mai. Era solo un'ipotesi, ma da qualche parte dovevo partire. Ne ho comprato uno uguale e ho aspettato che lui tornasse alla casa sul lago. C'ero stata una volta con Claudia, mentre lui era impegnato a presentare il suo libro da qualche parte. Claudia digitò il codice dell'antifurto ad alta voce. "Giocali al lotto" mi disse. Non li ho giocati, ma li memorizzai. Così, la settimana sono entrata in casa senza dover commettere un'effrazione; ho lasciato il braccialetto sul tavolino bene in vista, poi sono scesa nello studio da dove potevo tenere d'occhio il sentiero che scendeva lungo il lato dell'edificio. Lo sentii arrivare; aprì la porta e accese la luce. Subito non deve aver visto il braccialetto perché l'ho sentito scendere le scale, poi però è tornato su di corsa, ed è uscito sbattendo la porta. Mi sarebbe piaciuto vedere la sua faccia! Dalla finestra l'ho visto correre giù per il sentiero. Saranno passati dieci minuti ed è tornato. Quando è entrato nello studio, ho iniziato la recita. Dovevi vedere la sua faccia quando ho estratto di tasca il braccialetto, per poco non gli è venuto un infarto! E' stato molto attento a non dire niente di compromettente, comunque, ma io ormai sapevo di averlo messo in allarme. E come tutti i delinquenti dilettanti sicuramente avrebbe fatto un passo falso. Bastava aspettare e non ho dovuto nemmeno aspettare tanto. Ho avuto giusto il tempo di chiamare i ragazzi che erano pronti ad intervenire. E sai cosa ha detto quell'idiota quando lo hanno ammanettato? »
«No, cos'ha detto?»
«Toglietemi le manette, per favore. Devo scrivere l'ultimo capitolo del mio libro, altrimenti la casa editrice mi denuncia!»
Maria Lacchio
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