Alto, austero, sostava sulla scalinata del vecchio convento, ai piedi del santuario, con lo sguardo smarrito di chi cerca ma non sa cosa trovare. Non sembrava un vagabondo e neppure un accattone, aveva con sé pochi dipinti dispersi sulle scale. Lei si avvicinò, e con curiosità iniziò a guardare le variopinte tele ricche di azzurro, verde e giallo, in netto contrasto col cielo sovrastante vuoto e incolore, apprezzandone l'arte. Con sorpresa anche lui si avvicinò, e chiese, guardandola intensamente negli occhi, di poter scrivere una poesia per lei. L’aveva notata subito, fra la folla di turisti in visita al santuario, le era sembrata una ragazza fuori dal comune. Aveva un’aria sognante e romantica, e grandi occhi vivaci e attenti. Adesso che la fissava da vicino si accorse di quanto fosse carina, con quel sorriso disarmante che la rendeva unica, e i morbidi capelli sciolti sulle spalle. Lei ricambiò lo sguardo e impacciata abbassò gli occhi, nascondendosi dietro un ciuffetto ribelle color oro. Si mosse con incerta eleganza, fissò le radici di un albero secolare, infine decise per un’offerta, benché non avesse chiaro chi fosse quell’uomo. Fu lui a toglierla dall’imbarazzo, iniziando un cordiale dialogo. Dopo essersi presentato, le rivelò che amava scrivere, in particolare poesie, e che in realtà solo raramente dipingeva. I quadri erano l'unico ricordo di un tempo ormai lontano, gli servivano per attirare i passanti in visita al santuario. Avrebbe accettato un piccolo compenso soltanto dopo aver completato una poesia per lei. Lei, contrariamente ai suoi principi, non si negò: si mostrò entusiasta di conoscere quel singolare poeta. Era stupita e affascinata da quell’uomo così elegante nei modi, tanto da sembrare un gentiluomo d’altri tempi. E non riusciva a capacitarsi del perché, un uomo con siffatte caratteristiche, dimorasse sulla scalinata di un vecchio convento proponendo poesie ai passanti in cambio di pochi spiccioli. Intanto lui, compresa la naturale ritrosia, da gentiluomo qual era, iniziò a raccontare di sé e della sua straordinaria vita. Lo fece con garbo, semplicità, senza remore e con mesta rassegnazione. Le parlò di un tempo intenso e felice, di quando era ritenuto uno stimato professionista, un intellettuale studioso delle scienze, delle arti e delle lettere. Fino a quando, travolto da un disastro economico, aveva visto crollare la luminosa carriera, insieme a tutti i beni e la futura invidiabile esistenza. Per tale ragione, era fuggito per sempre da quella società che gli aveva negato serenità e benessere. In un momento di profondo smarrimento, aveva anche ipotizzato di farla finita, ma l’incrollabile fede gli aveva imposto l’assoluto veto. Aveva chiesto e ottenuto riparo in quel convento, giusto ai piedi del santuario, un luogo ideale per meditare, pregare e cercare di ritrovare se stesso. In cambio di vitto e alloggio, si occupava dell'orto e impartiva lezioni di scienze e lettere ai ragazzi delle famiglie indigenti. La vita continuava in una sequela di giorni sempre uguali, nella preghiera e nella meditazione. Il poeta passeggiava immerso nel silenzio della campagna e del luogo sacro, e proseguiva il cammino ascetico e contemplativo atto ad assecondare il vivo bisogno di cambiamento. Era trascorso un tempo indefinito, lasciato scivolare inerme con la vita, pensava di aver dimenticato di aver ricominciato a vivere in un’altra dimensione fino a quando, un triste giorno autunnale, i ricordi erano ritornati ancora più vivi, crudeli e dirompenti. Avvertì i sintomi di un disagio profondo, pervaso da un acuto dolore divenne irascibile, poi confuso e di nuovo cosciente: tutto quello che aveva costruito non esisteva più. Avrebbe voluto fuggire ancora, perfino da quelle mura silenziose e monotone che gli avevano dato un po’ di serenità e sicuro asilo, per tornare ai suoi stili di vita, all’agiatezza, agli interessi professionali, ma non aveva più ancore da usare. Desiderava scrivere, per lasciare un’impronta di sé nelle pagine dei libri, e nelle pieghe della vita. Ma ormai erano soltanto sogni irrealizzabili, le tracce della precedente vita si erano inabissate con il dissesto economico. Per non impazzire, cercò una compensazione. Gli venne l’idea di esporre sulla scalinata del luogo sacro, meta di turisti la domenica mattina, un cartello con la scritta: scrivo poesie. Vi accompagnò le uniche tele che ormai possedeva, ricordi di gioiose pennellate di vita e abbandonati momenti d’arte. Iniziò a comporre versi basandosi sulle sensazioni che i volti dei visitatori del santuario gli suscitavano, assecondando in questo modo la parte più profonda del suo essere. E poi, fra i tanti volti e le numerose rime, aveva visto lei, il suo sorriso gentile e un improvviso arcobaleno nel cielo vuoto e incolore, mentre osservava incuriosita i quadri sulla scalinata. Immediatamente realizzò che solo lei avrebbe potuto contribuire a fargli riempire interi fogli bianchi ormai dimenticati di sogni e pura poesia.
Iniziarono i loro incontri. Lei arrivava ogni mattina sorridente, puntuale, felice di rivederlo sulla scalinata, sempre fiero nel portamento e nel segreto delle sue intime e disordinate emozioni. Erano entrati in punta di piedi nelle loro reciproche esistenze, in una realtà fatta di frasi poetiche e surreali, che attraversavano le indimenticabili gioie e le delusioni che le avevano plasmate. Le parole diventavano sentimenti e musica, con veloci lampi di coscienza: nell'anima, nelle sensazioni e nei pensieri. Non avrebbe mai immaginato di sentirsi così coinvolta dai versi di una poesia.
Inaspettatamente l’aria divenne diversa, i sentimenti respiravano con le delicate rime, con le chiome degli alberi, sublimando sogni impossibili nel primo sole del mattino e nel sole quasi addormentato del tramonto, rendendo il tempo che trascorreva sereno e appagato. Condividevano ogni alito, ogni sospiro, ogni essenza odorosa, ogni nota, ogni lieve carezza, ogni disperato tormento, ogni dolore, ogni gioia, ogni incanto, ogni trattenuta passione… in quei fogli, non più bianchi e solitari. Lei si struggeva per lui, per il triste e sperduto poeta senza nome che ormai viveva in lei. Lui l’ammirava commosso e felice, anche se spesso si allontanava, innamorato di tristezza com’era, e restava immobile e senza versi ad osservare la seducente vita… nell’attesa, forse, di un'illusoria risposta. Vergava appena due righe, poche parole precise, ossessionato dalla perfezione. E sistematicamente, come un rituale, ripiegava con visibile emozione il foglio, dove trasparivano lievi carezze e i delicati abbracci delle loro sofferenti anime. Quindi, restava immobile nel suo rapimento fino a quando lei, con un amabile e comprensivo sorriso, si congedava lasciandolo libero di attraversare i disabitati e complessi pensieri. Fra il poeta e la vita c'erano ostacoli vivi, ormai. Alternava momenti di esaltazione a momenti di totale chiusura; sentiva il peso del mondo, come se lo portasse sulle spalle da solo, e l'eccessiva sensibilità gl'impediva di essere libero e felice, di respirare con l'anima, di godere delle gioie semplici che la vita, nonostante tutto, continuava ad offrire. E anche dell'amore, che tuttavia cercava.
Divenne giorno dopo giorno un appuntamento irrinunciabile, un lento cammino nei labirinti delle loro anime gemelle, due metà perfette strappate per un po’ al percorso del destino. Il poeta scriveva un verso alla volta, sperando che lei ritornasse per continuare la loro fragile estasi. E lei ritornò ogni giorno, sempre sorridente. Per il tempo di una poesia.
Marina De Luca
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