Arrivando a Palermo dall’aeroporto Falcone-Borsellino, all’altezza di Capaci sul monte che sovrasta l’autostrada a carattere cubitali si legge una scritta “NO MAFIA”. Un paradosso? Se si presta fede all’immagine della città che i media contribuiscono ampiamente a sbandierare ai quattro venti, innescando una reazione a catena coi pregiudizi radicati e difficili da estirpare allora sì, è un paradosso. È innegabile che la mafia esista, non è né un’invenzione né un’entità astratta, ma criminalizzare un’intera città è ingiusto e ignobile.
La mano che ha scritto “NO MAFIA” è quella dei palermitani onesti, generosi e gentili e vittime due volte; della violenza malavitosa e dell’incomprensione del ‘continente’. La domande che sorgono spontanee sono: “È un’incomprensione ‘pilotata’? E chi ne trae vantaggio?”
Questa incresciosa situazione favorisce indubbiamente la giungla di interconnessioni tra le ‘alte sfere’ intricata e impenetrabile, spesso letale per i coraggiosi che ne azzardano l’esplorazione. Scandali e scaldaletti, affari loschi devono essere scopati sotto il tappeto. La corruttibilità che non viene considerata un crimine, come in realtà è, il falso senso di giustizia sono le piante velenose che i palermitani vogliono sradicare, onorando le persone che hanno sacrificato la propria esistenza in nome di quei valori in cui credevano: onestà, coraggio, giustizia. La lista di questi martiri è lunga, lunghissima; alcuni sono assurti agli onori della cronaca, ad altri è stato dedicato un trafiletto, altri ancora sono scomparsi nell’anonimato. Anche questo fa parte dell’umana ingiustizia, ma la realtà è che ognuno di loro ha scolpito lettera per lettera NO MAFIA nel cuore dei palermitani. L’aveva scritta nel cuore anche don Pino Puglisi, anonimo, innocuo prete di borgata. Ma don Puglisi non era ‘innocuo’; per la criminalità organizzata si dimostrò una vera spina nel fianco. Cosa faceva don Pino per mandare in fibrillazione la malavita? Niente di eccezionale in apparenza; semplicemente insegnava ai ragazzi il rispetto, in primo luogo per se stessi, l’onestà. Spiegava che la giustizia non è vendetta, che l’onore non si conquista uccidendo, che il potere, la ricchezza, il successo non si ottengono sfruttando il prossimo. Li esortava a non diventare loro stessi vittime di un potere diabolico, perverso e spietato che li avrebbe intrappolati in un gorgo dal quale non sarebbero più usciti. Don Pino offriva loro comprensione, affetto ma anche la possibilità di riscattarsi da una condizione di vita borderline con un lavoro onesto. Tutto questo faceva don Pino e la mafia non lo poteva permettere. Lui si stava accaparrando la miglior fonte di approvvigionamento da destinare alla manovalanza; e cosa peggiore, stava ‘intossicando’ le menti di tanti ragazzi con tutte quelle storie sulla giustizia e sull’onestà.
«Me l’aspettavo» dirà, Lassù, accogliendo in un abbraccio tutti i palermitani per i quali è e sarà don Pino per sempre. Il profumo dei suoi Fiori sarà il profumo della sua Palermo.
Maria Lacchio
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