Angelina sollevò sbuffando la pesante saracinesca della lavanderia e si preparò rassegnata ad affrontare un'altra buona mezza giornata di lavaggi e di stirature con il suo pesante ferro da stiro che sbuffava più di lei.
Entrando, volle dare un'ultima occhiata alla grande strada che brulicava di macchine e di gente e che scendeva dritta fino all'imboccatura del porto, dove, in quel momento, transitava un bianco e gigantesco ferry-boat.
Si era all'apertura pomeridiana e il sole, che cominciava a tramontare, tingeva tutto di un rosso acceso.
Angelina alzò gli occhi al grigio cielo di marzo ed entrò, con una stretta al cuore.
Il grande oblò della macchina lavatrice le sembrò più minaccioso e lugubre del solito. Era come un grande occhio di vetro privo di pupilla e tra poco, quando la macchina si sarebbe messa in movimento, vi avrebbe visto girare vorticosamente maniche di camicie ed impermeabili, e mucchi di pantaloni di vari colori, da dove non sporgevano, però, né braccia, né gambe, come fossero indossati da fantasmi.
Scacciò quella brutta immagine dalla mente e indirizzò la sua attenzione sulla montagna di biancheria ancora da lavare, portata la mattina da frettolosi ed infreddoliti clienti. Sovrastava il mucchio un grande paltò di morbidissima lana color marrone scuro con un colletto di pelliccia anch'esso marrone, ma di una gradazione più chiara.
Istintivamente lo prese e subito sentì qualcosa di morbido che le rotolava sui piedi. Guardò a terra e notò, vicino al cesto della biancheria, una piccola agenda di pelle nera. Si chinò per prenderla e, nel fare questo gesto, le attraversò la mente un lontano ricordo di scuola: la lettura di un breve racconto inserito in un'antologia. La storia di un ragazzo, forse negro, non ricorda bene, che trova per strada un grosso chiodo arrugginito, caduto magari da un carro che era transitato di là. Il ragazzo lo raccoglie, non ne può fare a meno, ma poi con quel grosso chiodo arrugginito caduto…"apposta", uccide una bambina…
Come il grosso chiodo arrugginito, anche la piccola agenda di pelle nera aveva voluto essere raccolta "per forza" da lei. Ma che male poteva causare a chiunque quella minuscola, innocua agendina che se ne stava "buona" nelle sue mani?
Volle aprirla: era fitta di nomi, scritti con un ordine meticoloso da una calligrafia minuta, nervosa, certamente maschile. Certamente di quel signore dall'aspetto imponente e dal viso di pietra che aveva portato quella mattina il grande paltò di lana marrone e poi se ne era andato svelto su una macchina straniera di grossa cilindrata guidata da un autista tutto vestito di nero.
- "Angelina! Angelina! Ma che diavolo fai? Sei rimasta incantata?...che guardi?" –
Chi la riportava bruscamente alla realtà era la vecchia padrona della lavanderia, l'acida e rinsecchita signora Adele.
Angelina non l'aveva sentita entrare, assorta com'era nell'esame dello strano libriccino e ora la vecchia le stava davanti e la guardava con aria dura e interrogativa, da dietro i suoi occhiali dalla montatura di osso, poggiati in precario equilibrio su un naso secco e affilato.
Angelina si scusò, farfugliò altre incomprensibili cose, poi le mostrò quello che aveva trovato.
Angelina andò dietro al traballante asse da stiro, afferrò con rabbia il pesante ferro da stiro che assomigliava ad una vecchia locomotiva sbuffante in procinto di partire faticosamente per chissà dove e, prima di chinare il capo sul lavoro, volle ripensare ancora una volta alla grande strada che portava al mare e al bianco ferry boat e volle ripensare anche alla piccola agenda di pelle nera che aveva riposto con cura nella piccola tasca del suo attillato camice azzurro.
Non vedeva l'ora di arrivare alla chiusura e di esaminarla con più attenzione. Quella piccola agenda era carica di misteri, come il suo proprietario, che immaginava sotto una luccicante pioggia di monete d'oro, e a lei piacevano i misteri, la facevano sentire viva…
Le venne anche l'idea di mostrarla al fratello che faceva il poliziotto, ma non poteva trattenerla che fino a domani, perciò non avrebbe fatto in tempo. Si sarebbe incontrata con Giovanni, questo era il nome del fratello, solo domenica, quando ritornava – almeno per quel santo giorno – in famiglia.
Per il resto della settimana lei viveva in una modesta pensione, da sola; quasi senza amici.
Ora, però, non sentiva la solitudine: aveva per compagna la "sua" piccola agenda di pelle nera. "Sua", almeno, fino all'indomani, quando sarebbe ritornato il legittimo proprietario, il signor Ferdinando Barca, l'uomo dalla faccia di pietra.
* * *
L'uomo dalla faccia di pietra, come lo chiamava Angelina, si era appena alzato dal letto e ora si esaminava allo specchio, con i suoi occhi senza luce, che non facevano trasparire nulla, come quelli di un pescecane che vaga senza meta, nel buio degli abissi. Non era a casa sua; da tempo non ci metteva più piede, sorvegliato com'era dalla polizia, braccato dai suoi numerosi nemici e perciò stava sempre sul chi vive e cambiava spesso rifugio e compagnia.
Ora gli dava ospitalità Eleonora, una bionda ossigenata flessuosa e procace, con le labbra di fuoco e la pelle di seta.
Sempre assetata d'amore passava le sue giornate nel grande letto dalla testata d'ottone bagnata d'oro zecchino, e non ne usciva che di tanto in tanto, felinamente, con gli occhi che buttavano lampi.
Ferdinando Barca continuava a fissarsi allo specchio, massaggiandosi il mento. Si arroellava il cervello cercando di ricordare dove aveva potuto smarrire la sua piccola ma preziosa agenda di pelle nera. Preziosa perché conteneva numeri e nomi senza i quali si considerava perduto.
Rientrò in camera da letto senza nemmeno dare un'occhiata a Eleonora, che se ne stava nuda e beata, tra le coperte, e sembrava dormisse.
Un brivido di freddo gli attraversò la schiena e lo costrinse a serrare di più il cordone del suo accappatoio. Si era a marzo inoltrato, ma faceva ancora un freddo del diavolo e il grecale soffiava forte e faceva sbattere incessantemente porte e finestre.
Il freddo vento di marzo gli fece balenare un'idea e una piega si formò sotto l'angolo destro della bocca. La lavanderia! la lavanderia della signora Adele! Ecco dov'era la sua preziosa agenda! Ma certo, l'aveva lasciata nella tasca del paltò che aveva portato in lavanderia. Diamine! perché non ci aveva pensato prima? Doveva telefonare subito a quella vecchia bisbetica.
Rilevò il numero dalla ricevuta che gli avevano dato per il ritiro e lo impostò velocemente sulla tastiera del telefono. La voce acidula della signora Adele affiorò dalla cornetta.
Quella benedetta ragazza! Se la conoscesse come la conosco io!...Bé, può venire domani a riprendersela, assieme al paltò…"
Ferdinando Barca soffocò un'imprecazione che avrebbe fatto raggelare il sangue alla sia pur coriacea signora Adele, biascicò un saluto e chiuse la comunicazione. Poi compose un altro numero, sempre di fretta, e sibilò con tono basso, ma deciso, degli ordini secchi ad una voce che rispondeva a monosillabi e sembrava provenisse da una pentola vuota che rotola giù per una rampa di scale.
* * *
La mattina dopo Angelina non si presentò alla lavanderia e nemmeno il giorno successivo. La signora Adele, imprecando contro una gioventù che non rispetta niente e nessuno e che pensa solo a divertirsi, se non peggio, si rassegnò subito alla sua assenza ed espose in vetrina un cartello con la scritta "CERCASI COMMESSA".
L'uomo dalla faccia di pietra si alzò dal letto e tornò ad esaminarsi allo specchio. Eleonora si mosse appena, mugolando. I suoi occhi acquosi, senza espressione, non tradivano il turbinio di pensieri che gli attraversavano la mente.
Fece una doccia calda e rientrò nudo e gocciolante in camera da letto alla ricerca di un accappatoio.
Aprì l'armadio di noce laccato color avorio e tirò fuori la gruccia degli accappatoi. Sentì come un piccolo tonfo e qualcosa di morbido che gli sfiorava i piedi nudi.
Per la prima volta i suoi occhi ebbero come un guizzo. Non abbassò lo sguardo per vedere che cosa l'aveva sfiorato: lo sapeva già. Era la sua piccola agenda di pelle nera.
* * *
Angelina fu ritrovata due giorni dopo, colpita a morte da due colpi di fucile in piena fronte, sull'erba umida di un prato di periferia, distesa supina, col suo camice azzurro attillato strappato in più punti, le gambe larghe e gli occhi spalancati, al grigio cielo di marzo.
* * *
Piero Juvara, Aprile 1987
Graziella Campagna fu trucidata barbaramente dalla mafia nel messinese a soli 17 anni, solo per avere ritrovato nelle tasche di un cappotto lasciato nella lavanderia dove prestava servizio, una agendina e dei documenti, che comprovavano la vera identità di un pericoloso boss della mafia latitante già da tempo.
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