L’invito era giunto con abbondante anticipo, era rimpallato per un po’ di giorni tra il tavolino in salotto e la scrivania nello studio, prima di finire nel mucchio della posta da ‘archiviare’ nello scatolone giallo del progetto Cartesio. Il giorno fatidico era infine arrivato e non avevano trovato uno straccio di scusa sufficientemente credibile per sottrarsi a quella seccatura pensava Claudio, passandosi per la terza volta il rasoio elettrico sul mento che stava virando verso un rosso acceso, mentre la sua compagna Valentina era alle prese con phon e piastra.
«Chissà perché voi maschi vi alzate e in cinque minuti siete pronti, mentre noi sembriamo uscite da un girone dell’inferno» disse frustrata.
«Che pensata geniale sposarsi al mattino costringendo gli invitati ad una levataccia di sabato» brontolò Claudio.
«Che pensata geniale invitarci al loro matrimonio» aggiunse Valentina. «Sono usciti con la nostra compagnia al massimo tre volte, li conosciamo appena.»
«Magari siamo i soli amici che hanno» ipotizzò Claudio, che, armato di telecomando, aveva raggiunto la cucina e si stava versando un’abbondante dose di cereali nella ciotola di latte.
«Sbrigati,» gli urlò dal bagno Valentina. «Abbiamo appuntamento tra un’ora con gli altri e devi ancora prepararti.» Parole al vento; Claudio era ipnotizzato dai cartoni animati. Sarebbero arrivati per ultimi, come al solito. Infatti, la compagnia era già seduta al tavolino del bar davanti a cappuccini e cornetti quando li raggiunsero. Valentina si unì al gruppo delle ragazze, mentre Claudio si sedette con gli amici intenti a commentare le notizie sportive, disinteressati ai chiacchiericci delle compagne che proprio non riuscivano a resistere; non potevano fare a meno di impicciarsi degli affari altrui.
Pian piano la piazza si animò; gli altri invitati cominciavano ad arrivare a piccoli gruppi. Il rituale era lo stesso per tutti: le donne scendevano dall’auto, gli uomini andavano a parcheggiare. Dal loro punto di osservazione privilegiato Valentina e le amiche potevano tranquillamente spettegolare sulle nuove arrivate senza timore di essere sgamate. Queste, ignare, si aggiustavano i capelli o si lisciavano le pieghe dell’abito in attesa del ritorno dei loro accompagnatori. Appena li vedevano avvicinarsi, scattava la domanda fatidica “Dove hai parcheggiato?”
«Quello deve aver trovato parcheggio dall’altra parte della città, guarda lei com’è incavolata!» disse Stefi, l’amica del cuore di Valentina, che aveva la lingua più affilata di un rasoio trilama.
«Lo credo bene,» rispose Valentina ridacchiando. «Con quei trampoli che si è messa ai piedi non può andare lontano. È un miracolo che riesca a stare in piedi! »
«Cosa dite, andiamo anche noi? Stanno entrando tutti in chiesa» suggerì una delle ragazze. Seguite dai loro riluttanti compagni, si avviarono. Facendosi portavoce di tutti i maschi, Claudio esordì: «Io … noi … » ma Valentina lo incenerì con uno sguardo eloquente: “non provare nemmeno a pensarlo” dicevano i suoi occhi. La sua adorabile streghetta gli aveva letto nel pensiero e il piano di defilarsi con la scusa di andare a controllare l’auto era fallito miseramente.
«Mettiamoci qui» suggerì ancora Claudio, indicando una fila di banchi completamente vuota e strategicamente vicina all’uscita. Uno sguardo d’intesa tra le ragazze e anche il piano di riserva andò in fumo perché, le scaltre, si disposero strategicamente in modo che, per defilarsi, i loro adorabili campioni avrebbero dovuto letteralmente scavalcarle. Soddisfatte, rivolsero altrove la loro attenzione in attesa dell’ingresso della sposa. Sulla cantoria, l’organista stava provando i registri dell’organo, diffondendo note stridule e gravi a decibel ben al di sopra del limite consentito dalla legge contro l’inquinamento acustico.
Simona, seduta di fianco a Valentina, le fece notare gli addobbi, coprendosi la bocca con la mano per soffocare una risatina maliziosa. In verità erano piuttosto bizzarri; ai lati dell’altare troneggiavano due grandi sfere di giunco intrecciato e dipinte di bianco, tenute insieme da un fascio di rami ugualmente dipinti di bianco. O il fiorista era un fervente seguace dello stile minimalista o gli sposi avevano tirato troppo sul prezzo e i fiori erano stati eliminati.
Lo sposo, in piedi davanti all’altare, consultava ossessivamente l’orologio. Valentina non poteva vederne il viso, ma la sua postura la diceva lunga. Se in quel momento fosse atterrata un’astronave, avrebbe pagato gli alieni perché lo portassero via da lì, ovunque nella galassia, non aveva importanza.
I minuti passavano e gli invitati cominciavano a dare segni di impazienza, quando le note dell’organo annunciarono l’ingresso della sposa. Lo sposo si voltò. “Non mi ero sbagliata” pensò Valentina. “Ha la faccia di uno che sa di essere stato condannato all’ergastolo.” A braccetto del padre la sposa procedeva lentamente lungo la navata. Neppure il trucco sapiente riusciva a nascondere il pallore del volto. Teneva gli occhi bassi e stringeva spasmodicamente con entrambe le mani il bouquet.
«Che bel vestito!» sussurrò Lavinia a Monica, seduta di fianco. Lavinia era la più ‘anziana’ della compagnia e avrebbe dato dieci anni della sua vita per essere al posto della sposa. Fino ad allora, però, il suo era rimasto un pio desiderio. Monica annuì, asciugandosi una lacrima che rischiava di rovinarle il trucco. Appena l’organo aveva intonato la marcia nuziale, l’emozione aveva avuto la meglio sul suo proposito di non sciogliersi in un mare di lacrime.
«Ma la marcia nuziale non viene suonata all’uscita?» domandò Valentina a Claudio, che digitava sull’i phone nascosto da un lembo della giacca. «Ma ti pare il momento?» lo redarguì. Claudio scrollò le spalle e continuò imperterrito.
La sposa nel frattempo aveva preso posto di fianco al futuro marito. Il sacerdote, paterno, diede il benvenuto all’assemblea con un sorriso rassicurante, sebbene non gli fossero sfuggite le occhiate all’arsenico puro che si erano scambiate le consuocere né il viso malinconico della sposa che lanciò uno sguardo di sfuggita al testimone, il quale abbassò il capo e concentrò la sua attenzione alla punta delle proprie scarpe. Uno sguardo a trecentosessanta gradi sul suo ‘gregge’ lo indusse ad elidere dal rituale la frase: scambiatevi un segno di pace. Mantenendo un aplomb degno di un divo da premio Oscar, il brav’uomo compì il suo dovere e nel giro di una mezz’ora li dichiarò marito e moglie.
Un timido applauso e qualche manciata di riso accolsero gli sposi all’uscita sul sagrato. Il fotografo, sudò le fatidiche sette camicie per strappare qualche stiracchiato sorriso per le foto di rito e, dopo qualche scatto, raccolse l’attrezzatura e si defilò.
«Non è certo candidato per il matrimonio dell’anno» esordì Valentina sarcastica quando, in macchina, si tolse gli scomodi sandali e li sostituì con le ballerine. «Non vale la pena sopportare il mal di piedi; hai visto le toilettes degli invitati? Sembra che abbiano svaligiato il magazzino della Caritas.»
«Vuoi dire che posso togliermi la cravatta?» la punzecchiò Claudio. Valentina gli mostrò la lingua. «Se avessi alzato gli occhi dall’ i phone avresti notato che non regnava un’atmosfera da ‘vissero per sempre felici e contenti’.
«Prevaleva una certa tensione, effettivamente.»
«Una certa tensione? Per fortuna che in chiesa sono vietate le armi.»
«Ma al ristorante no; credi che la festa finirà nel sangue? Pensa, finiremmo in prima pagina su tutti i quotidiani. Diventeremo famosi e con le esclusive potremmo guadagnare i soldi per le prossime vacanze!»
«Ma piantala!»
«A parte gli scherzi, mi auguro che vada tutto bene. Sai Vale, al momento del sì ho sperato che uno dei due avesse il coraggio di dire no. Almeno sarebbe finita lì quella … farsa» disse Claudio con un tono disgustato.
«Stai scherzando, vero?» domandò Valentina, turbata dal tono di voce del compagno.
«Niente affatto. Quei due non avevano nessuna voglia di sposarsi ed era evidente che anche i reciproci genitori non facevano salti di gioia. E allora perché non risparmiarci questa penosa sceneggiata?» replicò Claudio alquanto alterato.
«Perché è incinta, ecco perché. Dovevano sposarsi.»
«Ma dai! Siamo nel 2012, mica nel 1800. I tempi sono cambiati!»
«Per noi, ma dove abitano loro, su nell’alta valle, la mentalità è rimasta la stessa di cent’anni fa’. Se metti incinta una ragazza la sposi, punto.»
«Immagino come sarà la loro vita e quella di quel povero bambino non ancora nato.»
«Noi siamo protagonisti della nostra vita e responsabili delle scelte che facciamo» replicò Valentina.
«Amore mio, non sapevo che fossi filosofa!»
«Prendimi pure in giro» replicò Valentina, fingendosi risentita. «Ma ti avverto, la mia vendetta sarà terribile!» Risero entrambi, felici. Claudio le prese la mano e la baciò teneramente . «Ti amo Vale» dichiarò.
«Anch’io ti amo, tantissimo» rispose, appoggiando la testa sulla sua spalla. Proseguirono il viaggio in silenzio, rapiti dalle sensuali note del ‘Bolero’.
«Dovremmo essere quasi arrivati» disse Claudio.
«Speriamo, ho una fame!» rispose Valentina. Infatti, una decina di minuti dopo raggiunsero il piazzale davanti al ristorante dove avrebbe avuto luogo il ricevimento. Gran parte degli invitati aveva già preso d’assalto i tavoli del buffet.
Claudio parcheggiò l’auto e raggiunsero il resto della compagnia tenendosi abbracciati e scambiandosi baci e tenere occhiate.
«Cos’è tutto ‘sto romanticume?» li apostrofò Mauro, uno degli amici.
«Siamo in un castello e io mi sento una principessa … e lui è il mio principe azzurro» rispose Valentina, stringendosi a Claudio.
«Manca il cavallo bianco per essere al completo. Ragazzi, non è il vostro matrimonio!» aggiunse Federico, il compagno di Simona.
«Non ci servono anelli per considerarci marito e moglie. Lo siamo già, e lo saremo per sempre» affermò Claudio, stringendo ancora più a sé Valentina.
«Suggerisco di avvicinarci al tavolo delle cibarie, se vogliamo trovare ancora qualcosa da mettere sotto i denti» propose Valerio, l’amico d’infanzia di Claudio, scapolo convinto e perennemente affamato.
Si unirono agli altri invitati che già lavoravano alacremente di mandibole, ma non si allontanavano di un millimetro dalla postazione conquistata. Facendosi strada con qualche ‘accidentale’ gomitata il gruppo riuscì ad avvicinarsi a un tavolo. Claudio e Valerio, arrivati per primi, si assunsero il compito di rifocillare la compagnia.
«Cos’è, uno scherzo?» domandò Valentina cupa, quando Claudio le allungò il piatto contenente un unico microscopico salatino. Monica fissava sconsolata un minuscolo cannolo, Lavinia una pizzetta poco più grande del ciondolo che portava al collo, Simona una sfogliatina.
«È tutto quello che è rimasto» le informò Claudio costernato.
«Non ho mai visto una pizzetta tanto piccola!» rimarcò Lavinia.
«Sono peggio delle cavallette!» ringhiò Stefi, accodandosi con gli altri agli invitati che con i piatti stracolmi in mano, alla spicciolata, si avviavano all’interno del ristorante. Un cameriere, con un sorriso di circostanza stampato in faccia li accolse nel locale semplice ma elegante, con pareti tinteggiate di bianco, un parquet ben levigato e lucido e i tavoli apparecchiati con sobria eleganza. Il loro si trovava lontano dal tavolo degli sposi, ma strategicamente ‘panoramico’ sulla eterogenea congrega che affollava il salone.
«Credevo che le sale di un castello fossero più sfarzose, arredate con specchi dorati, stucchi, tendoni di seta» osservò Monica, indagando l’ambiente con occhio critico. «Questa sembra il refettorio del collegio.»
«Probabilmente questa era la cucina del castello» le rispose Simona, indicando le travi del soffitto. «Scommetto che al piano superiore gli stucchi e gli specchi si sprechino. Dipende da quanto si è disposti a spendere …» proseguì con una punta di acredine.
«È proprio il matrimonio delle palle» esordì Claudio,immediatamente incenerito dallo sguardo di Valentina.
«Guarda» disse, indicando la sfera di ceramica . « Palle gli addobbi in chiesa, qui centrotavola a palla.»
«Anche le candele!» aggiunse Walter, rovesciando il contenitore e facendo rotolare sulla tovaglia tante piccole lucenti sfere di cera.
Un cameriere, visibilmente imbronciato, cominciò a servire l’antipasto di quello che sarebbe passato alla storia come il ‘pranzo dell’agnolotto orfano’.
«Paté de fois gras?» chiese, con una voce che avrebbe trasformato il morbido impasto in un blocco di cemento. Senza attendere risposta, versò nei piatti una porzione equivalente ad un cucchiaino.
«In questi posti, non si smentiscono mai,» commentò Lavinia, guardando con ripugnanza il mucchietto sperduto nel grande piatto . Quanta verità in quelle parole! Se ne resero conto quando un sussiegoso cameriere con tanto di guanti bianchi, servì loro un agnolotto naufrago in un mare di consommé. Intanto, merito forse del vino, l’atmosfera si stava lentamente scongelando e le conversazioni ai tavoli erano diventate più briose; qualcuno ebbe persino l’ardire di buttare là un poco convinto ‘viva gli sposi’ seguito da un timido applauso.
«A proposito, voi li vedete gli sposi?» domandò Simona. Tutto il gruppo allungò il collo in direzione del tavolo d’onore, ma degli sposi non c’era traccia.
«Avete notato la disposizione dei tavoli?» osservò Simona.
«Sì,» rispose il suo compagno. «Sembrano tanti isolotti. È impossibile comunicare da un tavolo all’altro.»
«Non mi sembra che abbiano tutta questa voglia di comunicare. tra loro» aggiunse Mauro. «A malapena si sono scambiati un saluto!»
«Chi ha proposto questa sistemazione sapeva con chi aveva a che fare» aggiunse Stefi.
«Scommetto che è stata lei» ipotizzò Valentina, indicando con un cenno del capo la matrona che dal tavolo degli sponsali osservava torva la sala.
«Chi, chi?» domandò Lavinia, allungandosi sulla sedia di Valerio per vedere meglio.
«Quella che si è tolta le scarpe» rispose costui sghignazzando. «La madre della sposa, credo.»
«Sì» confermò Simona. «È proprio lei. Sono disgustosamente viola come il cappellino che ha in testa. Sembra un budino alla viola mal riuscito.»
«Con quell’abito giallo sono un autentico insulto al buongusto. Non che gli invitati siano dei campioni di stile, ma lei li supera tutti in grossolanità.» commentò Stefi. «Fossi stata io sua figlia, le avrei proibito di presentarsi al mio matrimonio vestita così. La madre dello sposo invece , tutta in nero sembra pronta per un funerale.»
«Che orribile piccola snob sei. Chissà quanto le sarà costata tutta la toilette.» ridacchiò Valerio, che oltre ad essere scapolo, perennemente affamato era anche pettegolo come e anche più delle ragazze.
«Io vado a rifarmi il trucco» annunciò Monica.
«Vengo con te» disse Valentina.
«Noi usciamo a fumare» annunciarono i ragazzi, alzandosi in perfetto sincronismo.
«Chiamami quando portano la torta» sussurrò Claudio all’orecchio della sua compagna, stampandole un tenero bacio tra i capelli.
«Da quando fumano?» domandò Monica, mentre si avviavano alla toilette.
«Non fumano affatto. Vanno in auto a sentire i risultati degli anticipi di campionato.» rispose Valentina.
Il litigio che si stava svolgendo nel bagno era abbastanza rumoroso da essere udibile nonostante la porta chiusa. Monica e Valentina si guardarono attonite e optarono per una precipitosa fuga.
«Già di ritorno?» domandò Simona.
«Abbiamo scoperto dove sono finiti gli sposi» rivelò Valentina, informando la compagnia del litigio che avevano udito. « Lui gridava e lei stava piangendo. Poi quando abbiamo sentito il rumore di vetri che andavano in frantumi siamo scappate.» L’aspetto positivo del pranzo fu che le portate vennero servite con rapidità; come falchi i camerieri si precipitavano ai tavoli; se avessero avuto in dotazione dei pattini, non avrebbero potuto andare più veloci.
Gli sposi fecero il loro ingresso dietro la monumentale torta. Nonostante gli occhi gonfi e arrossati, la sposa esibì un gran sorriso mentre posava la mano su quella del marito per il taglio della prima fetta, accompagnato dall’applauso dei convitati. Valentina digitò il numero del cellulare del suo goloso compagno, ma non ottenne risposta. Riprovò un paio di volte componendo i numeri degli amici senza esito. Si rassegnò ad andare a cercarli di persona. «Vado a dire ai ragazzi che stanno servendo la torta. Claudio non risponde al telefono e nemmeno gli altri.»
Il piazzale era deserto, si diresse verso lo spiazzo dove avevano parcheggiato, ma anche lì non li trovò. Udì però un vociare provenire dal retro del castello. Prima ancora di vederli sapeva cosa stavano facendo. Con disapprovazione guardò il mucchio delle giacche abbandonate ai bordi del prato dove quei deliziosi bambinoni stavano tirando calci ad un pallone con le loro lucide scarpe da cerimonia. Claudio fu il primo a vederla ed esortò i compagni ad interrompere la partita. «Venite, stanno servendo la torta!» Raccolte le giacche e ripulitisi sommariamente, seguirono Valentina come una fila di scolaretti smaniosi di ricevere la loro fetta di dolce. «Hanno trovato un pallone» comunicò Valentina alle amiche che fissavano con aperta disapprovazione i volti arrossati e sudati dei rispettivi partner.
Arrivò il momento tanto atteso di congedarsi; bacio alla sposa, consegna della bomboniera, auguri e ringraziamenti. Un galante baciamano di Valerio strappò un sorriso attonito alle suocere e un’occhiata stizzita dei rispettivi coniugi.
Sul piazzale si salutarono e si diedero appuntamento per la domenica nel locale dove erano soliti ritrovarsi per un aperitivo.
«Finalmente!» esclamò Valentina abbandonandosi sul sedile. «Non vedevo l’ora di tornare a casa.»
«Che matrimonio triste» commentò Claudio, inserendo un cd di musica classica nel lettore.
«Avevo ragione stamattina quando ti dissi che supponevo che il motivo per cui siamo stati invitati era che eravamo i loro unici amici. Tranne i parenti c’eravamo solo noi» commentò.
«Sì, l’ho notato anch’io.» rispose Valentina. Poi gli raccontò del litigio tra gli sposi che aveva sentito.
«Credevo che la tensione fosse causata dall’attrito tra le famiglie, ma se già hanno litigato il giorno delle nozze, immagino come sarà la convivenza.»
«Anche noi qualche volta litighiamo» gli rammentò Valentina, posando la mano sulla gamba del compagno.
«Sì, ma poi facciamo pace …» rispose, rivolgendole uno sguardo malizioso. «Ci fermiamo a mangiare qualcosa prima di rientrare?»
«Volentieri; ti confesso che ho un certo appetito» rispose Valentina.
Mentre il sole calava rapido, imboccarono l’autostrada e mezz’ora più tardi passeggiavano mano nella mano lungo la sponda del lago, godendosi la brezza e la radiosità del tramonto, verso il loro ristorantino.
«Ciao ragazzi, avete letto il giornale?» domandò Valerio quando la sera successiva la compagnia si ritrovò per l’aperitivo. « Ieri ci siamo persi il finale al fulmicotone del matrimonio!»
Marco gli strappò di mano il quotidiano: «Solo l’intervento delle forze dell’ordine è riuscito a sedare la lite scoppiata ieri nel tardo pomeriggio a un matrimonio. Secondo i presenti, lo sposo ha aggredito il testimone della sposa perché l’ha sorpreso in un luogo appartato abbracciato alla neomoglie. Da voci non verificate ,ma probabilmente attendibili, si è saputo che il testimone è stato in passato legato alla sposa da intima amicizia. I due litiganti sono stati medicati al pronto soccorso e poi portati in caserma, da dove sono stati visti uscire a tarda notte.» lesse ad alta voce. «Questo matrimonio non s’aveva da fare!» commentò Federico, dando voce al pensiero inespresso di tutti.
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